martedì 29 maggio 2012

Averroè


Al-Ghazali (1058-1111) scrisse un’opera dal titolo La distruzione dei filosofi. In essa polemizza contro la filosofia di Avicenna e di Al-Farabi, criticando il principio di causalità, che pone, a suo dire, un limite all’infinita volontà di Dio. Ciò lo porta ad un totale scetticismo verso le possibilità della ragione.
Averroè (1126-1198) nasce a Cordova, nella Spagna islamica, e si viene a configurare come l’ultimo e più grande pensatore della tradizione musulmana. I suoi studi vertevano, oltre alla filosofia, alla medicina, al diritto e alla matematica. Le sue opere più importanti furono i commenti ad Aristotele, un commento all’Almagesto di Tolomeo, il Liber universalis de medicina, La distruzione della distruzione dei filosofi, in cui si oppone al pensiero di Al-Ghazali. Averroè fu un grande ammiratore dello stagirita Aristotele, e, difendendo la sua filosofia, afferma che in essa sono esposte in maniera scientifica le stesse verità che si ritrovano nel Corano rivaluta, pertanto, l'importanza veritativa della filosofia e della scienza, andandosi a configurare contro la posizione dei tradizionalisti come Al-Ghazali. Per Averroè Dio è principio di razionalità. L’essenza non ha una realtà distaccata dall’individuo: le sostanze individuali costituiscono la realtà; e sono composte di materia e forma, potenza e atto. La materia dà luogo alla forma passando dalla potenza all’atto. Il mondo è eterno perché eterno è Dio, motore immobile. Questo muove il cielo delle stelle fisse, e il moto si propaga nei cieli intermedi, fino a giungere al mondo. Secondo Averroè esiste un unico intelletto agente, che è l’ultima delle emanazioni divine, separato ed unico per tutti gli uomini. Anche l’intelletto potenziale o materiale non è individuale ma unico. L’intelletto potenziale si può trasformare in intelletto agente e pertanto, ne possiede la stessa natura. L’intelletto potenziale infine, si trova diversificatosi nei diversi individui soltanto perché riceve dai sensi immagini particolari e differenti. L’anima umana è separata dall’intelletto potenziale, del quale semplicemente partecipa: perciò l’anima individuale non è immortale. La conoscenza si risolve in un passaggio dalla potenza all’atto, dalle immagini date dai sensi ai concetti. I concetti, intelligibili in potenza, lo diventano in atto quando l’intelletto potenziale viene illuminato dall’intelletto agente, dando luogo all’intelletto acquisito. L’anima ha una specie di intelligenza puramente passiva, sulla quale agisce l’intelletto potenziale: l’intelligenza con cui essa pensa le è in realtà estranea e le si comunica solo nel momento in cui effettivamente pensa. La negazione dell’immortalità dell’anima e l’affermazione dell’eternità del mondo erano in profondo contrasto con gli insegnamenti del Corano. Per superare tale contrasto, Averroè introdusse la teoria della “doppia verità”. Con essa si stabilisce il bisogno di distinguere tra la predicazione letterale del Corano, valida per il volgo incolto, e il senso più riposto del testo sacro, che è compito dello studioso andare ad indagare.

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