sabato 23 giugno 2012

Voltaire


Voltaire (1694 – 1778) nel 1733 pubblica Le lettere filosofiche, considerate il manifesto dell'illuminismo francese e condannate ad essere bruciate dal Parlamento francese. Del 1751 è il saggio storico Il secolo di Luigi XIV. Del 1759 sono i romanzi Candido, La principessa di Babilonia, Zadig o il destino, L'ingenuo. Altra opera è il Dizionario filosofico (condannato anch'esso dal parlamento). Del 1763 è il Trattato sulla tolleranza, del 1776 i Dialoghi di Evemero, del 1756 il Saggio sui costumi e lo spirito delle nazioni.
Voltaire è una delle figure più importanti ed eminenti dell'illuminismo francese. Tutta quanta la sua filosofia polemizza contro le varie forme di oppressione politica e di intolleranza religiosa. In lui, inoltre, si ha una spassionata fiducia nella ragione dell'uomo. Una ragione non dogmatica, capace di rinnovare la vita civile.
Voltaire si configura contrario a qualsiasi forma di metafisica contemporanea e avverso ad ogni forma di scolastica. Filosoficamente si allaccia alla filosofia lockiana e newtoniana. Seguendo Locke, Voltaire polemizza contro ogni forma di innatismo, ed afferma l'origine sensibile di tutte quante le conoscenze. A Newton, invece, riconosce il merito di avere compiuto una vera e propria rivoluzione scientifica e di aver scoperto la legge di gravitazione universale.
Voltaire si pone come un deista, ed infatti, afferma la convinzione che l'ordine dell'universo presuppone un'intelligenza suprema ordinatrice del tutto. Dio è il primo motore intelligente eterno, che ha formato un mondo eterno. Voltaire difende con forza la religione naturale, e polemizza contro quei philosophes che hanno sviluppato concezioni materialistiche ed ateistiche. Il deismo o teismo propugnato da Voltaire è quello di una religione pura, ragionevole, universale. Una religione che ha il suo nucleo essenziale nell'adorazione di Dio e nell'esser giusti, e da cui derivano tutte le religioni storiche, che, nel corso del tempo, si sono intrise di pratiche inutili e sterili. Il nostro filosofo polemizza contro queste religioni, in special modo contro il Cristianesimo, che è colpevole di atrocità e violenze.
Inoltre, rifiuta qualsiasi tipo di dogmatismo spiritualistico. Ciò perché non è mai stato dimostrato che l'attività del pensare non sia della materia allo stesso modo della facoltà del sentire. Pertanto, non si può sapere se vi sia una facoltà immateriale a cui spetti la facoltà del pensare. Il negare l'immortalità dell'anima non significa negare la legge morale. Ed infatti, interi popoli, come quello ebraico, e tanti filosofi hanno negato l'immortalità dell'anima, ma non per questo sono stati immorali.
La morale tracciata da Voltaire è una morale relativa alla società, e cioè “la virtù e il vizio, il bene e il male morale sono in ogni paese quel che è utile o nocivo alla società”. Il relativismo morale ha, però, un imperativo. Ed infatti, per Voltaire l'uomo ha avuto da Dio i mezzi per acquisire l'idea di giusto e di ingiusto, di bene e di male. Chiarificatrici sono le parole di Voltaire: “Il bene della società è l'unica misura del bene e del male morale”.
Molto più profonda è, invece, la riflessione di Voltaire circa la libertà. Essa è vincolata alla volontà, e cioè al fine di realizzare ciò che è buono e ciò che procura piacere. La libertà è vincolata alla volontà, la quale ci indirizza secondo il giudizio che ci formiamo su ciò che è buono e ciò che è cattivo. Ma il giudizio che noi ci formiamo è legato necessariamente ai canoni valoriali della società in cui cresciamo. Società che, quindi, ci condiziona sin da piccoli. Per tale motivo, l'uomo nel suo agire, e nella sua libertà, è sempre vincolato. Questo tema viene chiarito ulteriormente nel Filosofo ignorante. Qui si sottolinea ancora di più il limite della libertà degli uomini, che sono creature di un essere eterno, il quale li inserisce in una “immensa macchina di cui sono appena un'impercettibile rotellina”. La presenza di Dio in tutto viene ancora di più chiarita in un ultimo scritto di Voltaire, e cioè nel Bisogna prendere partito ovvero il principio di azione (1775). Qui viene affermato che nella realtà esiste un solo principio di azione, e cioè il grande essere. Egli è la causa universale, il principio di azione che conferisce ai singoli tutte le loro facoltà.
La visione di Voltaire è, pertanto, fortemente pessimistica, perché pone l'accento sull'esistenza del male e del dolore, delle guerre e delle catastrofi naturali. Per Voltaire l'esistenza del male non può essere negato, perché esso fa parte della vita e si inserisce in quella immensa macchina di cui abbiamo detto sopra. Filosofi quali Leibniz e Shaftesbury hanno raccontato delle favole. Queste tematiche vengono ampiamente trattate in Candido o dell'ottimismo, dove si polemizza contro l'ottimismo provvidenzialistico dei teologi e dei leibniziani.
Il pensiero di Voltaire denuncia la misera condizione umana in difesa della ragione, e, conseguentemente, il nostro filosofo si pone in contrasto e in lotta contro i soprusi del potere politico e religioso e contro gli interessi che sottostanno alle costruzioni metafisiche. Voltaire non scrive in nome di utopie e chimere, bensì in costante riferimento al proprio tempo contemporaneo. Ed infatti, si batte contro il fanatismo, la superstizione, il dispotismo, gli organi giudiziari, le ingiustizie sociali. Egli stesso si fa difensore dei diritti degli uomini. Esemplare a tal riguardo è il Trattato sulla Tolleranza. Quest'opera prende spunto da un processo tenutosi a Tolosa contro un protestante. Processo che termina con la condanna e la morte del religioso. Da questo caso particolare Voltaire allarga il proprio discorso per denunciare le conseguenze nefaste dell'intolleranza, soprattutto di quella cristiana. Alla base dell'intolleranza si ha la superstizione, che per Voltaire è “quasi tutto che va oltre l'adorazione di un Essere supremo e la sottomissione del cuore ai suoi ordini”. Quindi tutto ciò che si formalizza in dottrine e riti, e che ha permesso la persecuzione e gli omicidi.
Il secolo di Luigi XIV è considerata la prima opera storica moderna. Qui Voltaire polemizza sia contro gli storici eruditi ed annalistici, sia contro gli schemi provvidenzialistici della storiografia ecclesiastica. Per Voltaire, il compito dello storico è quello di cogliere lo spirito di un'epoca. Spirito che si esplica al di là degli avvenimenti, e che si palesa nelle relazioni, negli usi, nelle idee, nei costumi di un preciso periodo storico. Nel Saggio sui costumi Voltaire sintetizza la storia universale dai popoli selvaggi all'impero Romano, dal medioevo all'epoca moderna, al fine di cogliere “lo spirito, i costumi, gli usi delle principali nazioni in rapporto a fatti che non è lecito ignorare”. Bisogna, pertanto, andare oltre i puri avvenimenti per cogliere ciò che di particolare ha un'epoca; per fare ciò bisogna comprendere il periodo storico di cui ci si sta occupando. In questa ricerca dello spirito delle nazioni non cessa la polemica di Voltaire verso tutto ciò che di irrazionale, superstizioso e fanatico si è avuto nella storia dei popoli. E proprio questi elementi hanno ostacolato il progresso dell'uomo. In queste tematiche troviamo tutto l'ideale illuministico di Voltaire, che afferma l'importanza della ragione umana, e che vuole liberare l'uomo dai miti e dalle false credenze per portarlo alla piena consapevolezza di sé. Questa fiducia nella ragione, nei lumi della ragione, interesserà tutta la metà del settecento. Gli illuministi, infatti, affermeranno che solo mediante la ragione si possono debellare i pregiudizi e superstizioni, e fondare una società civile giusta e libera dai governi tirannici e dalla povertà.

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