mercoledì 30 maggio 2012

L’Aristotelismo del rinascimento e Pietro Pomponazzi


L’Aristotelismo del rinascimento
All'interno del mondo accademico la tradizione aristotelica continua ad essere la filosofia dominante. Non è sbagliato affermare che i peripatetici continuano ad affrontare, ormai in maniera sterile ed estenuante, quelle tematiche che erano state precedentemente tracciate dagli scolastici.
Ciò significa che, per tutto il periodo del quattrocento e del cinquecento, compresa una buona parte del seicento, l'aristotelismo ha continuato ad offrire una concezione generale del mondo e della fisica. Gli studi avanzarono, però, secondo altre linee, molte delle quali ebbero genesi all'interno di tutte quelle concezioni mistico – magiche – platoniche, che culmineranno in una nuova concezione della scienza, che scalzerà del tutto, nel corso del seicento, la visione aristotelica – scolastica.
La figura più rappresentativa dell’aristotelismo rinascimentale è Pietro Pomponazzi (1462 – 1525), autore del celebre “ De immortalitate animae”, cui seguirà in risposta alle polemiche un’Apologia e un Defensorium. Postumo uscirà il De naturalium effectuum admirandorum causis sive de incantationibus, ripubblicato col De Fato.
La sua opera più famosa e discussa fu il De immortalitate animae, dove l’uomo, pur essendo collocato al limite tra natura e soprannatura, tra temporale e eterno, non viene posto al di sopra del limite naturale. Anzi, esso viene richiuso in sé, pur mantenendo la sua particolare tensione verso l’eterno.
Pomponazzi polemizza con il platonismo e l’averroismo perché fautori di un dualismo che rompe la sostanziale unità dell'uomo. Inoltre, critica il pensiero di Tommaso, colpevole nell'aver separato ciò che è sostanzialmente unito. Pomponazzi giunge, addirittura, a capovolgere la tesi tomista, affermando che l’anima di per sé è mortale e solo per un secondo aspetto (secundum quid) immortale.
L’unicità dell’anima viene provata dal legame tra l’anima razionale e l’anima vegetativo – sensitiva. Ed infatti l’intelletto non conosce nulla senza fantasmi. Ciò perché la vita razionale non può esercitarsi senza la vita sensitiva. Non si può nemmeno dire, se ci si vuole attenere all'interno del sistema aristotelico, che l’anima sia creata da Dio. Bisogna, semmai, affermare la generazione, ossia il passaggio da una forma all’altra. Pertanto non creazione, ma generazione dell’uomo dall’altro uomo. La morale non può trovare fondamento in una ricompensa ultraterrena e nemmeno in una presunta immortalità dell’anima. Ed infatti, agire per un premio futuro o per paura è un atteggiamento servile, che può e deve essere adottato dal popolo, dal volgo, ma non dall’intellettuale. La virtù per Pomponazzi basta a sé stessa, e chi la pratica, seppur ateo, salva il principio della virtù meglio di coloro che affermano l’immortalità. Pomponazzi intendeva in tal modo separare filosofia e teologia. Il suo pensiero, però, è stato travisato, con il risultato di esser stato indicato come ateo. Nell’opera De naturalium effectuum causis sive de incantationibus si cerca di capire se vi siano cause soprannaturali di fenomeni naturali. Il saggio, però, ben presto verte su altre argomentazioni quali il valore dei miracoli, delle profezie e delle religioni. Pomponazzi riduce i miracoli a eventi naturali, ed, infatti, scrive “Veda ognuno nella legge di Mosè, nella legge dei gentili, nella legge di Maometto avvengano miracoli quali si leggono nella legge di Cristo; e ciò è giusto perché è impossibile che vi siano mutamento così grandi senza grandi prodigi o miracoli. Ma non sono miracoli in quanto siano contrari alla natura e fuori dell’ordine dei corpi celesti, ma si dicono miracoli solo in quanto sono fatti inconsueti e rarissimi”. Il profeta, il taumaturgo, il fondatore di religioni, sono considerati, dal Pomponazzi, come persone dotate di particolari virtù con le quali riescono a predire gli eventi prefigurati nei cieli, o a utilizzare le forze della natura per realizzare opere straordinarie, che il volgo considera soprannaturali o miracolose, perché incapace di coglierne le cause. Il nostro filosofo spiega, quindi, in maniera naturalistica i miracoli, dicendo che non li capismo solo perchè ancora non sappiamo spiegarli mediante la nostra scienza. A tale spiegazione naturalistica dei miracoli, ne aggiunge una seconda politica. Ed infatti, per Pomponazzi i miracoli non sono altro che l’invenzione di politici e sacerdoti per condurre in obbedienza il popolo ignorante e per assumere il potere.
Da sottolineare è anche la riduzione delle religioni, come ogni altro evento storico, al moto dei cieli che ne segna il nascere, la fortuna e la decadenza.
Altra opera di notevole importanza è il De Fato in cui si affronta il problema della correlazione tra provvidenza, fato e libero arbitrio. In tale scritto Pomponazzi afferma che la spiegazione più coerente la offre lo stoicismo. La teologia cristiana, invece, cerca, in maniera contraddittoria, di salvare la libertà umana e l'onniscienza e onnipotenza di Dio.

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