All'interno
del mondo accademico la tradizione aristotelica continua ad essere la
filosofia dominante. Non è sbagliato affermare che i peripatetici
continuano ad affrontare, ormai in maniera sterile ed estenuante,
quelle tematiche che erano state precedentemente tracciate dagli
scolastici.
Ciò
significa che, per tutto il periodo del quattrocento e del
cinquecento, compresa una buona parte del seicento, l'aristotelismo
ha continuato ad offrire una concezione generale del mondo e della
fisica. Gli studi avanzarono, però, secondo altre linee, molte delle
quali ebbero genesi all'interno di tutte quelle concezioni mistico –
magiche – platoniche, che culmineranno in una nuova concezione
della scienza, che scalzerà del tutto, nel corso del seicento, la
visione aristotelica – scolastica.
La
figura più rappresentativa dell’aristotelismo rinascimentale è
Pietro
Pomponazzi
(1462 – 1525), autore del celebre “ De
immortalitate animae”,
cui seguirà in risposta alle polemiche un’Apologia
e un Defensorium.
Postumo uscirà il De
naturalium
effectuum
admirandorum
causis
sive
de
incantationibus,
ripubblicato col De
Fato.
La
sua opera
più famosa e discussa fu il De
immortalitate animae,
dove l’uomo, pur essendo collocato al limite tra natura e
soprannatura, tra temporale e eterno, non viene posto al di sopra del
limite naturale. Anzi, esso viene richiuso in sé, pur mantenendo la
sua particolare tensione verso l’eterno.
Pomponazzi
polemizza
con il platonismo e l’averroismo perché fautori di un dualismo che
rompe la sostanziale unità dell'uomo. Inoltre, critica il pensiero
di Tommaso, colpevole nell'aver separato ciò che è sostanzialmente
unito. Pomponazzi giunge, addirittura, a capovolgere la tesi tomista,
affermando che l’anima di per sé è mortale e solo per un secondo
aspetto (secundum
quid)
immortale.
L’unicità
dell’anima viene provata dal legame tra l’anima razionale e
l’anima vegetativo – sensitiva. Ed
infatti l’intelletto non conosce nulla senza fantasmi. Ciò perché
la vita razionale non può esercitarsi senza la vita sensitiva. Non
si può nemmeno dire, se ci si vuole attenere all'interno del sistema
aristotelico, che l’anima sia creata da Dio. Bisogna, semmai,
affermare la generazione, ossia il passaggio da una forma all’altra.
Pertanto non creazione, ma generazione dell’uomo dall’altro uomo.
La morale non può trovare fondamento in una ricompensa ultraterrena
e nemmeno in una presunta immortalità dell’anima. Ed infatti,
agire per un premio futuro o per paura è un atteggiamento servile,
che può e deve essere adottato dal popolo, dal volgo, ma non
dall’intellettuale. La virtù per Pomponazzi basta a sé stessa, e
chi la pratica, seppur ateo, salva il principio della virtù meglio
di coloro che affermano l’immortalità. Pomponazzi intendeva in tal
modo separare filosofia e teologia. Il suo pensiero, però, è stato
travisato, con il risultato di esser stato indicato come ateo.
Nell’opera De
naturalium effectuum causis sive de incantationibus
si cerca di capire se vi siano cause soprannaturali di fenomeni
naturali. Il saggio, però, ben presto verte su altre argomentazioni
quali il valore dei miracoli, delle profezie e delle religioni.
Pomponazzi riduce i miracoli a eventi naturali, ed, infatti, scrive
“Veda
ognuno nella legge di Mosè, nella legge dei gentili, nella legge di
Maometto avvengano miracoli quali si leggono nella legge di Cristo; e
ciò è giusto perché è impossibile che vi siano mutamento così
grandi senza grandi prodigi o miracoli. Ma non sono miracoli in
quanto siano contrari alla natura e fuori dell’ordine dei corpi
celesti, ma si dicono miracoli solo in quanto sono fatti inconsueti e
rarissimi”.
Il profeta, il taumaturgo, il fondatore di religioni, sono
considerati, dal Pomponazzi, come persone dotate di particolari virtù
con le quali riescono a predire gli eventi prefigurati nei cieli, o a
utilizzare le forze della natura per realizzare opere straordinarie,
che il volgo considera soprannaturali o miracolose, perché incapace
di coglierne le cause. Il nostro filosofo spiega, quindi, in maniera
naturalistica i miracoli, dicendo che non li capismo solo perchè
ancora non sappiamo spiegarli mediante la nostra scienza. A tale
spiegazione naturalistica dei miracoli, ne aggiunge una seconda
politica. Ed infatti, per Pomponazzi i miracoli non sono altro che
l’invenzione di politici e sacerdoti per condurre in obbedienza il
popolo ignorante e per assumere il potere.
Da
sottolineare
è anche la riduzione delle religioni, come ogni altro evento
storico, al moto dei cieli che ne segna il nascere, la fortuna e la
decadenza.
Altra
opera di notevole importanza è il De
Fato
in cui si affronta il problema della correlazione tra provvidenza,
fato e libero arbitrio. In tale scritto Pomponazzi afferma che la
spiegazione più coerente la offre lo stoicismo. La teologia
cristiana, invece, cerca, in maniera contraddittoria, di salvare la
libertà umana e l'onniscienza e onnipotenza di Dio.
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