venerdì 25 maggio 2012

Periodo post–classico maya


Peter James e Nich Thorpe attribuiscono alla fine della società e civiltà maya una drammaticità pari a quella del suo esordio:

“Il fenomeno [dovetti verificarsi] subito dopo l’anno 800 d.c., interessando prima alcune località, per poi estendersi rapidamente in tutte le terre basse del Guatemala, del Belize e del Messico. I luoghi simbolo della progredita cultura maya vennero abbandonati, la popolazione si ridusse in maniera consistente (si parla di milioni di individui) e nel volgere di un centinaio di anni ampie zone vennero evacuate per non essere mai più occupate. Un chiaro segno del disastro che colpì le Terre Basse del Sud è la sparizione, attorno all’830, delle gloriose iscrizioni erette dai governanti. Preso in sé, questo fatto non è sufficiente per affermare che i Maya nel loro complesso, stessero correndo un serio pericolo, ma i loro governanti sicuramente sì: non vennero più erette nuove costruzioni e gli edifici funebri dell’aristocrazia si fecero sempre più rari e meno elaborati, le città più importanti intrapresero la china di un lento ma inesorabile declino.”1

Un esempio di questo inesorabile declino culturale ci viene offerto da quello che succede a Tikal:

“i governanti, attorno all’800, cessarono di commissionare opere architettoniche e le iscrizioni che registravano le loro vite e le loro gesta diventarono sempre più rare e meno puntuali. Dopo l’830 non furono più erette nuove costruzioni e le iscrizioni sparirono del tutto. La popolazione, diminuì di due terzi, a giudicare dal numero delle abitazioni abbandonate. I pochi superstiti di Tikal erano concentrati nelle abitazioni di pietra rimaste in piedi, coi tetti che rischiavano di crollare da un momento all’altro e con il pattume ammucchiato in stanze o in cortili una volta ben curati. I sopravvissuti cercarono di mantenere in vita la tradizione ma con scarsi risultati, per lo più si limitarono a trasportare frammenti di antiche pietre istoriate e ad erigerli in modo precario, a volte perfino capovolti. Dopo un centinaio di anni Tikal venne definitivamente abbandonata. La foresta pluviale ben presto riprese il sopravvento e la città rimase sepolta fino alla fine del diciannovesimo secolo, quando finalmente venne riportata alla luce dagli archeologi.”2

Quindi, tra l’800 e il 900, una dopo l’altra le più importanti città crollarono, e in alcune di esse l’arresto dello sviluppo e dello splendore fu brusco, come nel caso di Uaxactùn, ove gli edifici che si stavano costruendo rimasero incompleti. In altre città le piattaforme su cui si dovevano elevare i templi rimasero sgombre. Copan smise di arricchirsi di nuove iscrizioni nell’800 d.c., e dieci anni dopo fu la volta di Quiriguà, Pietras Negras, e di Etzna. L’ultima iscrizione di Tila risale all’830; all’849 quella di Oxkintok. A Seibal, Jimbal, Uaxactùn, Xultùn e Chichen Itza continuarono fino all’889. L’ultima data maya risale al 928 d.c, iscritta su una rozza stele a San Lorenzo presso La Muneca.
L’attività costruttiva di Bonampak dovette durare fino all’810 d.c., e a Palenque ci si ferma al 748 d.c. buona parte delle ultime stele sono decorate in uno stile decadente ed alcune presentano un forte influenza della cultura messicana. Andò in parte diversamente nella penisola dello Yucatan a nord, dove la tragedia viene procrastinata di circa un secolo. Nelle colline Puuc, ai confini coi bassopiani, la città di Uxmal attorno all’850 divenne la capitale di un grande territorio.
La stessa Uxmal, a quanto pare, iniziò a declinare attorno al 925 d.c. Ma su quali furono le cause del crollo della civiltà maya cercano di dare una risposta sia David Webster (il cui libro La misteriosa fine dell’impero maya nasce appunto con l’intento e lo scopo di rendere più chiare le cause del crollo), sia Eric Thompson che, nel 1931 avanza le seguenti pionieristiche spiegazioni del crollo del periodo classico:


  • mutamenti climatici;
  • esaurimento del suolo;
  • malattie epidermiche;
  • terremoti;
  • guerre (intestine e/o non);
  • decadenza nazionale;
  • cause religiose e superstizioni.

Tale elenco, con alcune leggere riformulazioni è sorprendentemente simile alle spiegazioni tuttora discusse dagli archeologi. In linea generale, possiamo sostenere, seguendo la classificazione proposta da David Webster, che gli studiosi dibattono principalmente su due gruppi di spiegazioni, ossia:


  1. Spiegazione del crollo delle elitè
  1. rivolte contadine;
  2. guerre interne;
  3. invasioni straniere;
  4. crollo delle reti commerciali;


2) Spiegazioni relative ad un crollo totale del sistema
A) Cause non ecologiche:
- crollo delle retti commerciali;
- crisi ideologiche;
B) Cause ecologiche:
1. Cause ecologiche catastrofiche
- terremoti, uragani ed eruzioni vulcaniche;
- cambiamenti climatici (siccità);
- malattie epidemiche dell’uomo;
2. Cause ecologiche a lungo termine
- degradamento del paesaggio agricolo a causa dell’attività dell’uomo.3

Precisiamo che, al fine di non perderci nel dedalo di teorie, spiegazioni e ipotesi, che il mondo scientifico ha proposto sui Maya, ci stiamo attenendo alle categorie più accreditate dagli studiosi mayanisti, tralasciando quelle meno riconosciute. Eric thompson , a tal proposito, scrive:

“non è assurdo supporre che vi sia stata una serie di rivolte contadine contro la minoranza teocratica di preti, “parroci – signorotti”, per così dire[…]e di nobili. Queste sollevazioni potrebbero essere state provocate dall’aumento della domanda di servigi in opere di costruzione e nella produzione di cibo a favore di un numero crescente di persone improduttive. Una frattura fra i gruppi potrebbe anche essere stata prodotta dall’adozione da parte della gerarchia di culti religiosi esotici, come il culto del pianeta Venere: i contadini avrebbero avuto il sospetto che la gerarchia non intendesse più svolgere la sua funzione principale, quella di rendere propizi gli dei della terra, i soli in cui i contadini credessero veramente.

Questa è l’ipotesi che il grande studioso propone:

“città dopo città i capi e la loro casta vennero spodestati, o più probabilmente vennero massacrati dai contadini; il governo della cosa pubblica allora sarà passato in mano ai capi dei rivoltosi dei piccoli centri. La costruzione di edifici e l’erezione di stele si fermarono bruscamente. La massa continuava ad affluire nelle città per certi riti religiosi e forse per il mercato; ma i grandi edifici lasciati all’abbandono andarono poco a poco in rovina. La vegetazione cominciò a invadere le corti e le terrazze, a mettere radici sui tetti.”

Altra ipotesi difesa da Eric Thompson è che gli attacchi di popolazioni barbariche a nord avessero indebolito alla lunga l’impero e reso la situazione politica difficile da gestire. Tuttavia, per Thompson resta la rivolta dei contadini la causa principale del crollo, (anche se non scarta del tutto i probabili sconvolgimenti climatici e le cause ecologiche). Come sostiene egli stesso in una intervista rilasciata alla BBC nel 1972 ove afferma che “la teoria che io stesso preferisco è quella che attribuisce le cause a una rivolta di contadini contro i signori, perché questi ultimi stavano perdendo quella inveterata abitudine alla cooperazione: ‘vi daremo la pioggia se voi costruirete le piramidi’. Per dirla con l’Antico Testamento, i signori si misero ad adorare altri idoli, come il pianeta Venere e gli dei della guerra, che non aiutavano per nulla i contadini. Per questo, secondo me, i contadini si ribellarono ai loro padroni”. Continuando nella sua intervista egli sostiene che una volta caduta l’aristocrazia, la popolazione maya continuala sua serena quotidianità, ma avviò un inesorabile processo di impoverimento culturale, provocato dal fatto che le opere edilizie cessarono e che le conoscenze, possedute solo dei sacerdoti (gli unici a sapere scrivere) svanirono in breve tempo. Il mayanista Victor Wolfgang von Hagen è dell’opinione che la causa della disgregazione delle città e del rilassamento della struttura sociale dell’impero è da vedere nel fatto che i contadini erano sempre alla ricerca di luoghi ove vicino vi fossero delle cisterne d’acqua. Ciò fece sì che la ricerca di nuovi campi allontanasse i contadini dalla città fino a indebolire i rapporti e i legami dei braccianti con le queste.4 David Webster è invece dell’opinione che una causa rilevante furono le guerre intestine ed esterne, le quali interessarono il popolo maya per tutta la loro storia. Webster non crede che i mutamenti climatici potessero portare ad una crisi tale da abbandonare in un secolo i maggiori centri, né è convinto che i contadini siano i veri protagonisti di questa crisi da cui mai più si riprenderanno. In pratica egli vede nei conflitti, nei tradimenti, nella corruzione tutte quelle cause che hanno indebolito la rete organizzativa della loro società provocandone il crollo. Peter James e Nick Thorpe si trovano d’accordo con David Webster, infatti sostengono che

“ verso la fine del periodo classico scoppiò una vera e propria guerra nel cuore dei territori maya, e città come Dos Pilas furono impegnate in campagna di conquista, commemorate da statue che riproducono aristocratici fatti prigionieri Alla fine la stessa Dos Pilas venne saccheggiata, conquistata, ed abbandonata dai suoi cittadini. La proliferazione delle guerre determinò la conversione della forza lavoro ora impiegata nella costruzione delle fortificazioni attorno alla città. A parte quelli che si erano rifugiate entro le cinte murarie, i contadini vengono abbandonati al loro destino. Le campagne rese insicure dalle guerre e la fuga dei contadini verso le città abbassarono decisamente la produzione agricola. Gli aristocratici erano i veri responsabili e probabilmente ad essi fu attribuita la colpa di tutti i guai che ne seguirono.”5

A questo punto, possiamo inferire che la causa del crollo dei Maya, maggiormente accreditata negli ultimi tempi dagli studiosi, è la lotta intestina nell’impero. I conflitti hanno recitato la parte di protagonista nell’indebolimento delle città e nello sfaldamento del tessuto sociale. Le nuove conoscenze acquisite in merito alla storia di questo popolo ha permesso di potere comprendere meglio le dinamiche politiche delle città, che in perenne reciproco conflitto si indebolivano a vicenda in guerre dal carattere anche molto cruente. Le nuove cause prese in esame sono il risultato dell’avere capito che i Maya non furono niente affatto un popolo pacifico. Studiosi come Paul Gendrop, Herbert Wilhelmy, Pietro Bandini e David Webster hanno infatti chiarito la natura bellicosa di questo popolo, che non risulta più un’eccezione nel panorama storico. La tesi di Thompson circa la natura pacifica dei Maya, specialmente in epoca classica, come già detto, è ormai del tutto superata. Pertanto risulta ormai confutata sia la teoria della “rivolta dei contadini” enunciata negli anni ‘60 dal mayanista Eric Thompson, sia la teoria che vede nei cambiamenti climatici, nell’erosione dei terreni agricoli e nella siccità la fine della civiltà mesoamericana. Alcuni studiosi comunque rimangono dell’opinione che il crollo dei Maya sia da attribuire a cause essenzialmente ecologiche; è il caso di Michael Coe che ritiene tali cause alla base dell’infittirsi di guerre per la ricerca di nuovi terreni coltivabili.6
1 Ibidem, pagg. 23- 24
2 Ibidem, pagg. 24 – 26.
3 David Webster, op. cit., pagg. 214 – 215.
4 Victor Wolfgang von Hagen, Antichi imperi del sole, Arnoldo Mondadori editore, Milano 1999, 11.a. ed. 2002, (1.a.ed. 1963), passim. Titolo dell’opera originale: The Ancient Sun Kingdoms of the Americans.
5 Peter James-Nick Thorpe, op. cit., pag 35.
6 Cfr. Michael D. Coe, op. cit., pag. 120.

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