Peter
James e Nich Thorpe attribuiscono alla fine della società e civiltà
maya una drammaticità pari a quella del suo esordio:
“Il
fenomeno [dovetti verificarsi] subito dopo l’anno 800 d.c.,
interessando prima alcune località, per poi estendersi rapidamente
in tutte le terre basse del Guatemala, del Belize e del Messico. I
luoghi simbolo della progredita cultura maya vennero abbandonati, la
popolazione si ridusse in maniera consistente (si parla di milioni di
individui) e nel volgere di un centinaio di anni ampie zone vennero
evacuate per non essere mai più occupate. Un chiaro segno del
disastro che colpì le Terre Basse del Sud è la sparizione, attorno
all’830, delle gloriose iscrizioni erette dai governanti. Preso in
sé, questo fatto non è sufficiente per affermare che i Maya nel
loro complesso, stessero correndo un serio pericolo, ma i loro
governanti sicuramente sì: non vennero più erette nuove costruzioni
e gli edifici funebri dell’aristocrazia si fecero sempre più rari
e meno elaborati, le città più importanti intrapresero la china di
un lento ma inesorabile declino.”1
Un
esempio di questo inesorabile declino culturale ci viene offerto da
quello che succede a Tikal:
“i
governanti, attorno all’800, cessarono di commissionare opere
architettoniche e le iscrizioni che registravano le loro vite e le
loro gesta diventarono sempre più rare e meno puntuali. Dopo l’830
non furono più erette nuove costruzioni e le iscrizioni sparirono
del tutto. La popolazione, diminuì di due terzi, a giudicare dal
numero delle abitazioni abbandonate. I pochi superstiti di Tikal
erano concentrati nelle abitazioni di pietra rimaste in piedi, coi
tetti che rischiavano di crollare da un momento all’altro e con il
pattume ammucchiato in stanze o in cortili una volta ben curati. I
sopravvissuti cercarono di mantenere in vita la tradizione ma con
scarsi risultati, per lo più si limitarono a trasportare frammenti
di antiche pietre istoriate e ad erigerli in modo precario, a volte
perfino capovolti. Dopo un centinaio di anni Tikal venne
definitivamente abbandonata. La foresta pluviale ben presto riprese
il sopravvento e la città rimase sepolta fino alla fine del
diciannovesimo secolo, quando finalmente venne riportata alla luce
dagli archeologi.”2
Quindi,
tra l’800 e il 900, una dopo l’altra le più importanti città
crollarono, e in alcune di esse l’arresto dello sviluppo e dello
splendore fu brusco, come nel caso di Uaxactùn,
ove gli edifici che si stavano costruendo rimasero incompleti. In
altre città le piattaforme su cui si dovevano elevare i templi
rimasero sgombre. Copan smise
di arricchirsi di nuove iscrizioni nell’800 d.c., e dieci anni dopo
fu la volta di Quiriguà,
Pietras Negras, e di
Etzna. L’ultima iscrizione di Tila
risale all’830; all’849 quella di Oxkintok.
A Seibal, Jimbal, Uaxactùn, Xultùn e Chichen
Itza continuarono fino all’889. L’ultima
data maya risale al 928 d.c, iscritta su una rozza stele a San
Lorenzo presso La Muneca.
L’attività
costruttiva di Bonampak
dovette durare fino all’810 d.c., e a Palenque
ci si ferma al 748 d.c. buona parte delle
ultime stele sono decorate in uno stile decadente ed alcune
presentano un forte influenza della cultura messicana. Andò in parte
diversamente nella penisola dello Yucatan a nord, dove la tragedia
viene procrastinata di circa un secolo. Nelle colline Puuc, ai
confini coi bassopiani, la città di Uxmal
attorno all’850 divenne la capitale di un
grande territorio.
La
stessa Uxmal, a quanto
pare, iniziò a declinare attorno al 925 d.c. Ma su quali furono le
cause del crollo della civiltà maya cercano di dare una risposta sia
David Webster (il cui libro La misteriosa fine
dell’impero maya nasce appunto con
l’intento e lo scopo di rendere più chiare le cause del crollo),
sia Eric Thompson che, nel 1931 avanza le seguenti pionieristiche
spiegazioni del crollo del periodo classico:
- mutamenti climatici;
- esaurimento del suolo;
- malattie epidermiche;
- terremoti;
- guerre (intestine e/o non);
- decadenza nazionale;
- cause religiose e superstizioni.
Tale
elenco, con alcune leggere riformulazioni è sorprendentemente simile
alle spiegazioni tuttora discusse dagli archeologi. In linea
generale, possiamo sostenere, seguendo la classificazione proposta da
David Webster, che gli studiosi dibattono principalmente su due
gruppi di spiegazioni, ossia:
- Spiegazione del crollo delle elitè
- rivolte contadine;
- guerre interne;
- invasioni straniere;
- crollo delle reti commerciali;
2) Spiegazioni relative ad un crollo totale del
sistema
A)
Cause non ecologiche:
- crollo delle retti commerciali;
- crisi ideologiche;
B) Cause ecologiche:
1. Cause ecologiche
catastrofiche
- terremoti, uragani ed eruzioni vulcaniche;
- cambiamenti climatici (siccità);
- malattie epidemiche dell’uomo;
2. Cause ecologiche a lungo termine
- degradamento del paesaggio agricolo a causa
dell’attività dell’uomo.3
Precisiamo
che, al fine di non perderci nel dedalo di teorie, spiegazioni e
ipotesi, che il mondo scientifico ha proposto sui Maya, ci stiamo
attenendo alle categorie più accreditate dagli studiosi mayanisti,
tralasciando quelle meno riconosciute. Eric thompson , a tal
proposito, scrive:
“non
è assurdo supporre che vi sia stata una serie di rivolte contadine
contro la minoranza teocratica di preti, “parroci – signorotti”,
per così dire[…]e di nobili. Queste sollevazioni potrebbero essere
state provocate dall’aumento della domanda di servigi in opere di
costruzione e nella produzione di cibo a favore di un numero
crescente di persone improduttive. Una frattura fra i gruppi potrebbe
anche essere stata prodotta dall’adozione da parte della gerarchia
di culti religiosi esotici, come il culto del pianeta Venere: i
contadini avrebbero avuto il sospetto che la gerarchia non intendesse
più svolgere la sua funzione principale, quella di rendere propizi
gli dei della terra, i soli in cui i contadini credessero veramente.”
Questa
è l’ipotesi che il grande studioso propone:
“città
dopo città i capi e la loro casta vennero spodestati, o più
probabilmente vennero massacrati dai contadini; il governo della cosa
pubblica allora sarà passato in mano ai capi dei rivoltosi dei
piccoli centri. La costruzione di edifici e l’erezione di stele si
fermarono bruscamente. La massa continuava ad affluire nelle città
per certi riti religiosi e forse per il mercato; ma i grandi edifici
lasciati all’abbandono andarono poco a poco in rovina. La
vegetazione cominciò a invadere le corti e le terrazze, a mettere
radici sui tetti.”
Altra
ipotesi difesa da Eric Thompson è che gli attacchi di popolazioni
barbariche a nord avessero indebolito alla lunga l’impero e reso
la situazione politica difficile da gestire. Tuttavia, per Thompson
resta la rivolta dei contadini la causa principale del crollo, (anche
se non scarta del tutto i probabili sconvolgimenti climatici e le
cause ecologiche). Come sostiene egli stesso in una intervista
rilasciata alla BBC nel 1972 ove afferma che “la teoria che io
stesso preferisco è quella che attribuisce le cause a una rivolta di
contadini contro i signori, perché questi ultimi stavano perdendo
quella inveterata abitudine alla cooperazione: ‘vi daremo la
pioggia se voi costruirete le piramidi’. Per dirla con l’Antico
Testamento, i signori si misero ad adorare altri idoli, come il
pianeta Venere e gli dei della guerra, che non aiutavano per nulla i
contadini. Per questo, secondo me, i contadini si ribellarono ai loro
padroni”. Continuando nella sua intervista egli sostiene che una
volta caduta l’aristocrazia, la popolazione maya continuala sua
serena quotidianità, ma avviò un inesorabile processo di
impoverimento culturale, provocato dal fatto che le opere edilizie
cessarono e che le conoscenze, possedute solo dei sacerdoti (gli
unici a sapere scrivere) svanirono in breve tempo. Il mayanista
Victor Wolfgang von Hagen è dell’opinione che la causa della
disgregazione delle città e del rilassamento della struttura sociale
dell’impero è da vedere nel fatto che i contadini erano sempre
alla ricerca di luoghi ove vicino vi fossero delle cisterne d’acqua.
Ciò fece sì che la ricerca di nuovi campi allontanasse i contadini
dalla città fino a indebolire i rapporti e i legami dei braccianti
con le queste.4
David Webster è invece dell’opinione che una causa rilevante
furono le guerre intestine ed esterne, le quali interessarono il
popolo maya per tutta la loro storia. Webster non crede che i
mutamenti climatici potessero portare ad una crisi tale da
abbandonare in un secolo i maggiori centri, né è convinto che i
contadini siano i veri protagonisti di questa crisi da cui mai più
si riprenderanno. In pratica egli vede nei conflitti, nei tradimenti,
nella corruzione tutte quelle cause che hanno indebolito la rete
organizzativa della loro società provocandone il crollo. Peter James
e Nick Thorpe si trovano d’accordo con David Webster, infatti
sostengono che
“
verso la fine del periodo classico scoppiò una vera e propria guerra
nel cuore dei territori maya, e città come Dos Pilas furono
impegnate in campagna di conquista, commemorate da statue che
riproducono aristocratici fatti prigionieri Alla fine la stessa Dos
Pilas venne saccheggiata, conquistata, ed abbandonata dai suoi
cittadini. La proliferazione delle guerre determinò la conversione
della forza lavoro ora impiegata nella costruzione delle
fortificazioni attorno alla città. A parte quelli che si erano
rifugiate entro le cinte murarie, i contadini vengono abbandonati al
loro destino. Le campagne rese insicure dalle guerre e la fuga dei
contadini verso le città abbassarono decisamente la produzione
agricola. Gli aristocratici erano i veri responsabili e probabilmente
ad essi fu attribuita la colpa di tutti i guai che ne seguirono.”5
A
questo punto, possiamo inferire che la causa del crollo dei Maya,
maggiormente accreditata negli ultimi tempi dagli studiosi, è la
lotta intestina nell’impero. I conflitti hanno recitato la parte di
protagonista nell’indebolimento delle città e nello sfaldamento
del tessuto sociale. Le nuove conoscenze acquisite in merito alla
storia di questo popolo ha permesso di potere comprendere meglio le
dinamiche politiche delle città, che in perenne reciproco conflitto
si indebolivano a vicenda in guerre dal carattere anche molto
cruente. Le nuove cause prese in esame sono il risultato dell’avere
capito che i Maya non furono niente affatto un popolo pacifico.
Studiosi come Paul Gendrop, Herbert Wilhelmy, Pietro Bandini e David
Webster hanno infatti chiarito la natura bellicosa di questo popolo,
che non risulta più un’eccezione nel panorama storico. La tesi di
Thompson circa la natura pacifica dei Maya, specialmente in epoca
classica, come già detto, è ormai del tutto superata. Pertanto
risulta ormai confutata sia la teoria della “rivolta dei contadini”
enunciata negli anni ‘60 dal mayanista Eric Thompson, sia la teoria
che vede nei cambiamenti climatici, nell’erosione dei terreni
agricoli e nella siccità la fine della civiltà mesoamericana.
Alcuni studiosi comunque rimangono dell’opinione che il crollo dei
Maya sia da attribuire a cause essenzialmente ecologiche; è il caso
di Michael Coe che ritiene tali cause alla base dell’infittirsi di
guerre per la ricerca di nuovi terreni coltivabili.6
1
Ibidem, pagg. 23- 24
2
Ibidem, pagg. 24 – 26.
4
Victor Wolfgang von Hagen, Antichi imperi del sole, Arnoldo
Mondadori editore, Milano 1999, 11.a. ed. 2002, (1.a.ed. 1963),
passim. Titolo dell’opera originale: The
Ancient Sun Kingdoms of the Americans.
6
Cfr. Michael D. Coe, op. cit., pag. 120.
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