martedì 29 maggio 2012

Duns Scoto


La condanna parigina del 1277 colpiva, oltre alcune tesi centrali dell’aristotelismo, anche alcune tesi sostenute da Tommaso d’Aquino. Questa condanna non faceva altro che testimoniare il profondo divario tra le dottrine filosofiche (intese con le dottrine aristoteliche) e la tradizione cristiana.
Il pensiero filosofico da Duns Scoto a Ockham acuirà ulteriormente il solco tra aristotelismo e teologia.
Giovanni Duns Scoto, appartenente all'ordine francescano, nasce in Scozia fra il 1265 e 1270. intraprende gli studi prima a Oxford , poi a Parigi e infine a Colonia. Muore nel 1308.
Egli sostiene l’impossibilità di dimostrare in sede filosofica l’esistenza di Dio come principio creatore, libero, onnipotente e provvidente.
La filosofia aristotelica può soltanto giungere a un Dio di natura immateriale partendo dagli effetti. Un Dio che, così come aveva insegnato Avicenna, genera ab aeterno attraverso intermediari,. Afferma, però, Dun Scoto, che “l’onnipotenza di Dio nel senso di potenza assoluta è solo oggetto di fede e non può essere provata dalla ragione naturale, tanto è vero che i filosofi, appoggiandosi alla ragione naturale, non l’hanno potuto affermare partendo dai loro principi”. D'altronde, afferma Dun Scoto, la rivelazione ci insegna che la natura umana in questa vita terrena non è la natura creata direttamente da Dio nel primo uomo, ma una natura decaduta a causa del peccato di Adamo. I filosofi, ignorando la rivelazione, hanno confuso e scambiato la natura umana decaduta per la vera natura umana. Da questo errore dei filosofi è nata una teoria della conoscenza che si affida ai sensi, e pensa che mediante essi si possa giungere agli universali. Tale conoscenza è vera soltanto per noi che siamo uomini decaduti. Non lo è, però, per la vera natura umana, che possiede un intelletto capace di cogliere le essenze in maniera diretta. Ciò perché l’uomo non decaduto possiede lnel proprio intelletto la facoltà intuitiva.
La vera dimostrazione non è quella aristotelica che dagli effetti giunge, a posteriori, alle cause. La vera conoscenza, infatti, procede dalle cause agli effetti. Nella condizione attuale, in cui l'uomo è decaduto per il peccato originale, non si possono avere vere dimostrazioni. Ciò è, purtroppo, il grande limite della filosofia. Per tale motivo la validità delle prove dell’esistenza di Dio non hanno validità. Ad esempio, la prova, a posteriori, che risale dai mossi ad un primo motore rimane una prova ferma al mondo fisico, e, pertanto, non prova la trascendenza di Dio. Conseguentemente, per Scoto, solo la metafisica che può dimostrare l’esistenza di Dio. Ciò perché essa esce fuori dal mondo della causalità fisica, muovendo dal concetto metafisico di essere. La conoscenza di Dio rimane, però, sempre una conoscenza insicura ed oscura in sede naturale, e, comunque si proceda, non si può giungere alla conoscenza dei suoi attributi. Quest'ultimi, però, vengono insegnati dalla rivelazione. Per queste ragioni la teologia trascende la filosofia, anche quando essa utilizza alcuni dei suoi concetti.
Notevole fortuna ebbero alcune teorie del nostro filosofo, come quella negante la distinzione tra essenza ed esistenza o essere. Pertanto, per Scoto l’essere è tale in quanto esiste. I singoli esistenti, sottostanti a processi di nascita e morte, hanno una struttura metafisica complessa. Tutti gli esistenti sono formati da un sostrato distinto dalla forma, che è la materia.
Questa materia indeterminata viene determinandosi attraverso una successione di forme che essa riceve.
Originale di Scoto è anche il principio di individuazione: questo non è la materia signata come in Tommaso d’Aquino (per Tommaso la materia signata è Socrate, mentre nel concetto di uomo la materia è non signata), ma è l’haecceitas, cioè una differenza o proprietà che compete a questo determinato individuo e non a un altro.
In polemica con Tommaso d’Aquino, Scoto sostiene che l’intelletto conosce direttamente l’individuale, e da esso elabora la conoscenza dell’universale.
Complessi i rapporti che Scoto pone tra intelletto e volontà. La sua dottrina afferma il primato della volontà su tutte le altre facoltà , sia sensibili che intellettuali.
Ciò non significa dire che la volontà agisca irrazionalmente, giacché per Scoto la volontà non può agire senza una conoscenza presentata dall’intelletto. L’oggetto conosciuto, però, non determina la volontà. La quale, essendo una facoltà sempre attiva, sceglie con autonomia fra il bene e il male.

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