La
condanna parigina del 1277 colpiva, oltre
alcune tesi centrali dell’aristotelismo, anche alcune tesi
sostenute da Tommaso d’Aquino. Questa condanna non faceva altro che
testimoniare il profondo divario tra le dottrine filosofiche (intese
con le dottrine aristoteliche) e la tradizione cristiana.
Il
pensiero filosofico
da Duns Scoto a Ockham acuirà ulteriormente il solco tra
aristotelismo e teologia.
Giovanni
Duns Scoto, appartenente all'ordine francescano, nasce in Scozia fra
il 1265 e 1270. intraprende gli studi prima a Oxford , poi a Parigi e
infine a Colonia. Muore nel 1308.
Egli
sostiene l’impossibilità di dimostrare in sede filosofica
l’esistenza di Dio come principio creatore, libero, onnipotente e
provvidente.
La
filosofia aristotelica
può soltanto giungere a un Dio di natura immateriale partendo dagli
effetti. Un Dio che, così come aveva insegnato Avicenna, genera ab
aeterno attraverso intermediari,. Afferma, però, Dun Scoto, che
“l’onnipotenza
di Dio nel senso di potenza assoluta è solo oggetto di fede e non
può essere provata dalla ragione naturale, tanto è vero che i
filosofi, appoggiandosi alla ragione naturale, non l’hanno potuto
affermare partendo dai loro principi”.
D'altronde, afferma Dun Scoto, la rivelazione ci insegna che la
natura umana in questa vita terrena non è la natura creata
direttamente da Dio nel primo uomo, ma una natura decaduta a causa
del peccato di Adamo. I filosofi, ignorando la rivelazione, hanno
confuso e scambiato la natura umana decaduta per la vera natura
umana. Da questo errore dei filosofi è nata una teoria della
conoscenza che si affida ai sensi, e pensa che mediante essi si possa
giungere agli universali. Tale conoscenza è vera soltanto per noi
che siamo uomini decaduti. Non lo è, però, per la vera natura
umana, che possiede un intelletto capace di cogliere le essenze in
maniera diretta. Ciò perché l’uomo non decaduto possiede lnel
proprio intelletto la facoltà intuitiva.
La
vera dimostrazione non è quella aristotelica che dagli effetti
giunge, a posteriori, alle cause. La vera conoscenza, infatti,
procede dalle cause agli effetti. Nella condizione attuale, in cui
l'uomo è decaduto per il peccato originale, non si possono avere
vere dimostrazioni. Ciò è, purtroppo, il grande limite della
filosofia. Per tale motivo la validità delle prove dell’esistenza
di Dio non hanno validità. Ad esempio, la prova, a posteriori, che
risale dai mossi ad un primo motore rimane una prova ferma al mondo
fisico, e, pertanto, non prova la trascendenza di Dio.
Conseguentemente, per Scoto, solo la metafisica che può dimostrare
l’esistenza di Dio. Ciò perché essa esce fuori dal mondo della
causalità fisica, muovendo dal concetto metafisico di essere. La
conoscenza di Dio rimane, però, sempre una conoscenza insicura ed
oscura in sede naturale, e, comunque si proceda, non si può giungere
alla conoscenza dei suoi attributi. Quest'ultimi, però, vengono
insegnati dalla rivelazione. Per queste ragioni la teologia trascende
la filosofia, anche quando essa utilizza alcuni dei suoi concetti.
Notevole
fortuna ebbero alcune teorie del nostro filosofo, come quella negante
la distinzione tra essenza ed esistenza o essere. Pertanto, per Scoto
l’essere è tale in quanto esiste. I singoli esistenti, sottostanti
a processi di nascita e morte, hanno una struttura metafisica
complessa. Tutti gli esistenti sono formati da un sostrato distinto
dalla forma, che è la materia.
Questa
materia indeterminata viene determinandosi attraverso una successione
di forme che essa riceve.
Originale
di Scoto è anche il principio di individuazione: questo non è la
materia signata come in Tommaso d’Aquino (per Tommaso la materia
signata è Socrate, mentre nel concetto di uomo la materia è non
signata), ma è l’haecceitas, cioè una differenza o proprietà che
compete a questo determinato individuo e non a un altro.
In
polemica con Tommaso d’Aquino, Scoto sostiene che l’intelletto
conosce direttamente l’individuale, e da
esso elabora la conoscenza dell’universale.
Complessi
i rapporti che Scoto pone tra intelletto e volontà. La sua dottrina
afferma il primato della volontà su tutte le altre facoltà , sia
sensibili che intellettuali.
Ciò
non significa dire
che la volontà agisca irrazionalmente, giacché per Scoto la volontà
non può agire senza una conoscenza presentata dall’intelletto.
L’oggetto conosciuto, però, non determina la volontà. La quale,
essendo una facoltà sempre attiva, sceglie con autonomia fra il bene
e il male.
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