Cartesio
nasce
il 31 Marzo 1596 in Turenna. La sua prima opera risale al 31 Dicembre
1619, quando offre all’amico Beeckam il Compendium
musicae. Di
fondamentale importanza per la sua futura produzione sono tre sogni
rivelatori di una scienza mirabile, che compie tra il 10 – 11
Novembre del 1619, dopo
un breve soggiorno in Danimarca e Francoforte. Del 1627 – 1628 è
la stesura delle Regulae
ad durectionem ingenii
e, molto probabilmente, della Ricerca
della verità.
Nel 1630 inizia il Mondo,
che a seguito della condanna di Galilei, lascia incompiuto. Del 1637
è il Discorso
sul metodo
con i Saggi
(Diottrica,
Meteore
e Geometria);
del 1641 sono le Meditationes
de
prima
philosophia;
del
1644 è il Principia
philosophiae
e, infine, del 1649 sono Le
passioni
dell’anima.
Cartesio muore a Stoccolma l’11 Febbraio 1650.
Il
10 Novembre del 1619 è una data di notevole importanza nella vita
intellettuale di Cartesio; ed, infatti, è in questo giorno che ha
una rivoluzionaria intuizione che lo porterà a concepire, non solo
la costruzione di tutta la geometria con un unico metodo, ma anche
di tutto quanto il sapere secondo catene di ragioni che hanno la
stessa struttura del metodo matematico.
Si
fa ben chiara nella mente di Cartesio
la possibilità di costruire un nuovo sapere tramite un rinnovamento
culturale. Un primo segnale in tal senso si ha nelle Regole
per la guida dell’intelligenza
(tra il 1627-1628), le cui dottrine verranno in seguito sviluppate
nel Discorso
sul metodo.
Nelle regole
si focalizza l'attenzione sul valore primario dell’evidenza,
il cui corollario è che “ogni
scienza è conoscenza certa ed evidente”.
L’evidenza
si raggiunge per
mezzo dell’intuito,
atto con cui si coglie la realtà, e a cui segue la deduzione.
Dall'intuito si genera il concetto che esclude ogni dubbio perché è
caratterizzato dall'evidenza. All’intuito
o
evidenza
in atto
si aggiunge la deduzione,
e cioè la connessione tra le nature semplici, ovvero tra le
conoscenze intuitive, tutte chiare e distinte. Nelle Regole
altro principio di fondamentale importanza è l’enumerazione
ordinata.
L'unione di queste regole costituisce il metodo. A riguardo del
metodo Cartesio scrive: “Per
metodo intendo delle regole certe e facili osservando le quali
fedelmente non si supporrà mai come vero ciò che è falso, e senza
inutili sforzi da parte della mente, ma con graduale continuo
progresso della scienza, si perverrà alla vera conoscenza di tutte
le cose di cui si è capaci”.
La
Dottrina
sul metodo
è l'opera che segna una frattura netta con la cultura accademica
precedente e che avrà tanta importanza nell'affermazione della nuova
concezione di scienza. È la prima opera del nostro studioso
pubblicata in lingua francese ed in forma anonima. L'argomento del
saggio è chiarito dallo stesso Cartesio:
“Se
questo discorso sembra troppo lungo per essere letto tutto in una
volta, lo si potrà dividere in sei parti. E si troveranno, nella
prima, diverse considerazioni sulle scienze. Nella seconda, le
principali regole del metodo che l’autore ha cercato. Nella terza,
qualche regola della morale ch’egli ha tratto da questo metodo.
Nella quarta, gli argomenti con i quali prova l’esistenza di Dio e
dell’anima dell’uomo, che sono i fondamenti della sua metafisica.
Nella quinta, la serie delle questioni di fisica che ha esaminato, in
particolare la spiegazione del movimento del cuore e di qualche altra
difficoltà della medicina e, ancora, la differenza tra l’anima
nostra e quella dei bruti. Nell’ultima, le cose ch’egli crede
siano richieste per andare avanti nello studio della natura più di
quanto si è fatto, e i motivi che lo hanno indotto a scrivere”.
Nel
Metodo
viene chiarita la natura delle verità
eterne,
che insieme alle verità matematiche, sono sancite da Dio, il quale
le avrebbe potuto creare in maniera diversa. Cartesio afferma che
queste verità
sono in noi innate perché impresse nelle menti da Dio che le ha
create.
Cartesio
preferì non pubblicare Il
Trattato
della
luce
o il
Mondo
a seguito della condanna di Galilei, in quanto anch’egli era
sostenitore della teoria eliocentrica, anzi Cartesio afferma che se
tale teoria risultasse falsa cadrebbe tutto il suo sistema
filosofico.
Gli
argomenti portanti del Mondo
e del trattato L'uomo,
che al Mondo
seguiva, sono ormai così chiaramente definiti da tornare con
insistenza in tutte le sue opere posteriori.
Cartesio
rifiuta la validità e la veridicità della concezione fisica
aristotelico – tolemaica per presentare un nuovo sistema fisico,
che finge di immaginare ipotetico per non cadere nella censura
ecclesiastica. Tale sistema ipotetico viene tracciato nel trattato Il
Mondo, in
cui Cartesio afferma di far finta che Dio
abbia creato una materia senza nessuna delle qualità tradizionali
aristoteliche, bensì come pura estensione. Alla materia Dio ha
dotato il movimento. Questo è retto da tre leggi che il nostro
filosofo dice di intuire dall’idea dell’immutabilità divina.
Esse sono:
- ogni parte della materia conserva sempre lo stesso stato fino a quando le altre urtandola non la costringono a cambiarlo;
- quando un corpo ne spinge un altro non può trasmettere o sottrarre a esso alcun movimento senza perderne o acquistarne nello stesso tempo una certa quantità;
- quando un corpo si muove tende sempre a continuare il suo movimento in linea retta.
Cartesio
è, pertanto, il primo scienziato ad aver enunciato in maniera chiara
la legge
di inerzia.
Inoltre, viene chiarito un aspetto fondamentale del movimento, ossia
che esso è uno stato, e non una qualità o un processo.
Cartesio,
inoltre,
afferma come sia possibile la costituzione di un cosmo identico al
nostro senza il bisogno di ricorrere all'azione creatrice di Dio.
Bisogna, invece, ricorrere al solo movimento, che, mediante le leggi
meccaniche che lo regolano, separa la primordiale materia uniforme
nei tre elementi fondamentali di fuoco, aria e terra, la cui
diversità è data solo dal numero e dal movimento delle particelle
di materia. Appare, pertanto, chiara la negazione della tradizionale
distinzione tra fisica celeste e terrestre; anzi, viene affermato che
unica ed uguale è la materia che costituisce i cieli e la terra, che
identiche sono le leggi di movimento per tutti i corpi e che il Sole
è al centro del sistema e tutti gli altri pianeti vi girano attorno.
Al
trattato del Mondo
segue quello dell’Uomo.
Qui viene affermato che l'uomo, essendo simile ad una macchina,
soggiace, nelle sue funzioni vitali, alle stesse regole meccaniche
che reggono una macchina, come per esempio un orologio o un automa. I
nervi dell’uomo e degli animali vengono visti come condotti o tubi
delle macchine idrauliche. Lo stimolo sensibile giunge al cervello
mediante dei filamenti. Questi filamenti operano come se fossero dei
tiranti, che all'occorrenza aprono alcuni pori del cervello per fare
passare gli spiriti fatti di materia sottilissima. Questi spiriti
raggiungono i nervi (del tutto simili ai tubi delle macchine) e
provocano meccanicamente il
movimento
dei muscoli.
Al centro del cervello si ha una ghiandola (ghiandola
pineale o
conarium).
In tale ghiandola giungono, dai sensi esterni, gli stimoli degli
oggetti, che si imprimono in essa. La ghiandola diviene sede
dell’immaginazione e del senso comune. Dalla ghiandola attraverso
altri tubi escono gli spiriti che provocano il meccanico movimento
dei muscoli. L’anima
razionale
si aggiunge all’uomo – macchina per portarvi il pensiero e il
conarium diviene luogo di incontro tra due realtà assolutamente
diverse: res
cogitans (spirito)
e res
extensa (materia).
Nel
Discorso
sul metodo
Cartesio definisce il metodo per giungere alla conoscenza di tutte le
cose. Tale metodo viene riassunto in quattro regole o precetti
fondamentali:
- evidenza: “non accogliere mai come vera nessuna cosa che non conoscessi con evidenza essere tale […] e non includere nei miei giudizi nulla di più di quello che si presentava così chiaramente e distintamente al mio spirito da escludere ogni possibilità di dubbio;
- analisi: “dividere ognuna delle difficoltà che io esaminassi in tante particelle quante fosse possibile e richiesto per meglio risolverle”;
- sintesi: “condurre per ordine i miei pensieri cominciando dagli oggetti più semplici e più facili a conoscere per ascendere a poco a poco come per gradi alla conoscenza dei più composti;
- enumerazione: “fare dappertutto delle enumerazioni così complete e delle revisioni così generali da essere certo di nulla omettere”.
Nel
definire il metodo Cartesio assume come paradigma il metodo
matematico, che non utilizza a risoluzione delle singole parti delle
matematiche, bensì a procedimento di studio dei
rapporti o proporzioni in generale. È da dire che la cultura
classica medievale distingueva matematiche pure (aritmetica e
geometria) e matematiche miste o applicate (astronomia, musica,
ottica). Cartesio vuole, invece, superare tale divisione e
prospettare un’unica matematica universale che si occupi solo dei
rapporti e delle proporzioni in generale.
In
tal senso va spiegato il suo intento di eliminare la distinzione tra
aritmetica e geometria mediante
l’invenzione degli assi, dove i numeri vengono espresse in
grandezze, ossia in linee. Inoltre sostituisce ai numeri le lettere
(a, b,c, …) per indicare le grandezze note; x, y, z per indicare le
grandezze ignote. Per indicare gli esponenti anziché delle lettere
usa i numeri.
La
costruzione di una nuova filosofia può, però, portare ad una crisi
della morale. Ciò perché la caduta del vecchio sistema fisico può
indurre ad una svalutazione dei tradizionali codici comportamentali
ed etici. Per evitare che la crisi del vecchio pensiero porti ad una
crisi morale Cartesio sviluppa nella terza parte del Discorso una
morale provvisoria. Le regole di essa sono tre:
- obbedienza alle leggi e costumi del paese di appartenenza, osservanza della religione appresa nel proprio stato sin da piccoli, adesione alle idee moderate del paese in cui si vive;
- essere sicuri delle proprie azioni: una volta che si è presa una decisione, bisogna seguirla e portarla a termine con fermezza;
- cercare di capire i propri limiti piuttosto che cercare di vincere la fortuna: bisogna esser pronti a cambiare le proprie decisioni se esse non ci portano ad alcunché di positivo. Ciò perché non c'è nulla che è assolutamente in nostro potere se non il nostro pensiero.
Il
solo fondamento valido e necessario
per ricostruire il sapere è il dubbio
metodico.
Per distruggere e disfarsi del vecchio sapere tradizionale Cartesio
non sceglie di analizzare le singole scienze, perché l'impresa
sarebbe stata al di là delle capacità umane, bensì di applicare
la prima delle sue regole del metodo e cioè quella dell’evidenza,
così da considerare falso tutto quello di cui si potesse avere il
minimo dubbio. Cartesio, quindi, passa all’analisi degli strumenti
della nostra conoscenza per vedere quali di essi non sono idonei a
farci produrre una conoscenza vera. Per quanto riguarda i sensi
Cartesio afferma che non è necessario fare dei lunghi discorsi,
infatti già il fatto che ci ingannano solo alcune volte significa
che non ci si può fare totale affidamento. È da aggiungere anche
che i sogni si manifestano a volte con una tale forza che ce li fa
sembrare reali, per poi invece manifestarsi nella loro fallacia.
Quindi, tutto il mondo reale potrebbe scomparire come un sogno.
Inoltre, nessuno ci assicura che la realtà fuori di noi esista
realmente.
Le
uniche realtà inconfutabili ed innegabili sono, agli occhi di
Cartesio, quelle matematiche, ed infatti 2 + 3 fa sempre cinque, e
ciò al di là del fatto di essere svegli o dormienti.
Si
potrebbe, però, avanzare l'ipotesi più estrema: può darsi che Dio
ci abbia ingannato non solo dandoci delle immagini di una realtà non
esistente, ma, anche, dandoci delle verità che a noi sembrano
evidenti ed immediate. Cartesio si rende conto, però, che tale
dubbio è troppo radicale, e, pertanto, dopo averlo accantonato,
sostituisce alla teoria del Dio
ingannatore
quella del genio
maligno.
Ora,
anche
se il genio maligno può ingannarmi circa il mondo possibile, non può
in alcun modo impedirmi di sospendere il mio assenso alle realtà
sensibili. La sospensione del giudizio mi mette nella condizione del
dubbio metodico e mi porta a mettere in crisi tutte quelle conoscenze
che sono prive di evidenza, per accettare, invece, quelli che si
presentano in maniera chiara ed evidente. Inoltre, la condizione del
dubbio mi induce alla conoscenza, detta da Cartesio “prima
e certissima”,
del “cogito,
ergo
sum”
(penso,
quindi esisto).
Ed infatti, pur accettando il fatto che io venga ingannato di
continuo credendo che esista una realtà fuori di me, rimane comunque
evidente il fatto che se vengo ingannato esisto; se ho pensieri,
anche falsi, io esisto. Ed infatti, non è possibile che io che penso
non sia qualcosa. Quindi, io che penso esisto.
Cartesio
afferma che il “Cogito,
ergo sum”
non è il risultato finale di un processo ragionativo, bensì il
frutto di un'intuizione certa ed evidente che elimina il dubbio circa
la mia esistenza, ma non quello della possibile falsità del mondo
sensibile e del mio corpo.
La
res
cogitans
(la sostanza pensante) è “una
sostanza di cui tutta l’essenza o natura non è che pensare”.
Il pensiero, quindi, non è un attributo della sostanza pensante, ma
l'essenza stessa della sostanza. Ora, poiché essere e pensare
coincidono, allora tutte le cose che noi concepiamo in maniera chiara
e distinta sono vere.
L'intuizione
del cogito, quindi, ci induce ad una prima verità indubitabile, e
cioè quella della nostra esistenza. Verità questa che ci permette
di uscire dalla sfera del cogito per analizzare quelle verità che ci
appaiono certe ed evidenti, necessarie ed indubitabili.
Cartesio
distingue tre tipi di idee: le
idee innate,
le idee
avventizie
(da
adventitiae, che sembrano venir dal di fuori)
e le idee
factitiae,
“ovvero
fatte e inventate da me stesso”.
L'idea
dell'esistenza di una realtà esterna è un'idea avventizia che non
può essere considerata certa. Rimane, infatti, sempre possibile
l'inganno del genio maligno e del sogno, che ci può far credere
all'esistenza di una realtà esterna a me. Inoltre, le suddette idee
potrebbero essere fatte ed inventate da noi stessi, alla stessa
maniera delle idee fittizie. Non
tutte le idee sono però dubitabili e appartenenti a queste due
categorie. Vi è infatti in noi anche l’idea
innata:
essa è l’idea di Dio come essere eterno,
infinito, immutabile, onnisciente, onnipotente e creatore.
A questa prima prova dell’esistenza di Dio se ne aggiunge una
seconda che parte dal principio di causalità: potrei
io, che ho l’idea di Dio, esistere se Dio non esistesse?
Ora se io fossi causa di me stesso certamente mi sarei dato tutte
quelle perfezioni che trovo nell’idea di Dio, cioè mi sarei creato
perfetto. Non solo io non mi sono creato da me stesso ma non neppure
in grado di conservare me stesso. Per Cartesio infatti il tempo è
una successione di istanti non legati tra loro, per cui se ora sono
non è detto che lo sono stato o che lo sarò. In altre parole
conservazione e creazione in Cartesio coincidono. Si coglie quindi la
principale caratteristica di Dio, quella di essere causa
sui.
A queste due prove Cartesio aggiunge una prova anselmiana, detta da
Kant ontologica, secondo la quale l’essere assolutamente perfetto
deve esistere per necessità, infatti alla perfezione non può
mancare l’esistenza, attributo di somma perfezione. L’esistenza
di Dio come idea innata permette di potere recuperare la realtà
esterna. L’idea di un Dio non ingannatore, infatti, ci induce a
credere che quelle idee delle cose materiali derivano effettivamente
da esse; se, infatti, non avessero corrispondenza alla realtà
extramentale, Dio sarebbe ingannatore. Recuperata la realtà, noi di
essa possiamo conoscere l’estensione e il movimento, cioè le sole
cose che noi distinguiamo chiaramente e distintamente. Non possiamo
avere certezza di ciò che non è oggetto di dimostrazione
geometrica, come calore, colore, sapore ecc. che ci rimangono sempre
non chiari e confusi. Dato che la realtà si conosce distintamente e
chiaramente solo con la geometria, allora è possibile costruire una
fisica a priori deduttiva, ove i suoi principi saranno le idee innate
come l’idea di Dio, le verità matematiche e le leggi fisiche
dedotte dall’idea di Dio. Attraverso l’idea di un Dio non
ingannatore Cartesio riesce a recuperare l’esistenza della materia,
della sostanza estesa, di cui aveva finora solo l’idea. Ora, mentre
la materia è divisibile all’infinito ed estesa, la res cogitans è
inestesa è indivisibile. Noi abbiamo una conoscenza chiara e
distinta delle due sostanze e della loro separatezza. Ora “tutte
le cose che noi concepiamo chiaramente e distintamente sono come le
pensiamo”.
Secondo tale metodo per Cartesio non c’è dubbio che le due
sostanze siano separate tra loro e che quindi l’anima sia
immateriale e spirituale, cosa che prova la sua natura immortale.
Nell’uomo - macchina la comunicazione tra queste due sostanze
avviene grazie alla ghiandola pineale, e non tramite tutto il
cervello o il cuore. È questa ghiandola che dirige i flussi degli
spiriti attraversanti i tubi o canali. Le passioni sono movimenti
dell’anima, e per sé stessi sono sempre buone, ma divengono
dannosi se se ne fa un uso spropositato ed eccessivo.
Cartesio
metaforizza
la filosofia con l'immagine di un grande albero, le cui radici sono
la Metafisica, il tronco la fisica, i rami la meccanica, la medicina
e la morale. Della morale e della medicina si occupa negli ultimi
anni della sua vita.
Se
l’errore
delle conoscenze non nasce da un Dio ingannatore. Allora, da dove
nasce? L’errore, che per Cartesio è sempre un errore di giudizio,
non è dato né da Dio né dall’intelletto, il quale coglie con
chiarezza e distinzione le idee e non dà giudizi. L’intelletto è
quindi finito e limitato. L’errore nasce pertanto dalla volontà,
infinita e illimitata, che spesso da giudizi senza avere le idee
chiare e distinte. In altre parole l’errore nasce da un uso
eccessivo della volontà, che non volendo seguire l’intelletto, la
supera e si smarrisce. Ogni errore è sempre un errore di volontà.
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