martedì 29 maggio 2012

Abelardo e il secolo XII


Il secolo XII
L’orizzonte culturale del XII secolo presenta profondi cambiamenti e segna una nuova stagione nella storia del pensiero medioevale. Notevoli furono le trasformazioni che si verificarono in tutta l’Europa: nascita delle città, crisi della feudalità e del sistema agricolo, affermazione di nuovi centri di potere come monarchie o comuni, forte ripresa della vita religiosa dentro e fuori le mura della chiesa, nuovo sviluppo dell’economia e apertura di nuove vie commerciali con il mondo arabo (attraverso la Spagna) e bizantino (anche in seguito alle crociate). A favorire l’allargamento degli orizzonti culturali portavano un contributo decisivo le traduzioni di testi filosofici e scientifici dell'antica filosofia greca, come le opere aristoteliche, di Galeno, di Tolomeo, oltre che opere arabe come quelle di Al-Kindi, Al-Farabi, Avicenna, Averroè; le quali facevano scoprire un patrimonio di sapere prima del tutto sconosciuto. Per il nuovo volto che veniva assumendo la cultura del XII secolo, anche in rapporto a una nuova lettura dei classici antichi come Ovidio, Virgilio, Cicerone, si è parlato di rinascita del XII secolo.
Pietro Abelardo
Nasce a Le Pallet presso Nantes nel 1079. Già in giovane età si dedicò agli studi filosofici. Ascoltò le lezioni di Roscellino e di Guglielmo di Champeux, con il quale entrò subito in polemica. Entrato a far parte della scuola di Anselmo da Laon, si scontrò ben presto con questi per una polemica nata attorno ad un commento su Ezechiele. L’avversione di Anselmo e dei suoi scolari lo portarono ad abbandonare le sue lezioni, ma, ormai, la sua fama si era diffusa in tutta l’Europa. Instaura una relazione con Eloisa, nipote del canonico Fulberto. Saputo che ella era incinta la fece rapire e trasferire in Bretagna, ove nacque il figlio. Fulberto, credendo che Abelardo la abbandonasse, nonostante un matrimonio segreto tra i due, lo fece nottetempo evirare. Ad Abelardo sembrò la fine e fece prendere il velo ad Eloisa, ed egli stesso divenne monaco. Ritornò poco dopo all’insegnamento, ma, dato che alcune sue concezioni vennero considerate eretiche, molti dei suoi scritti vennero messi al rogo. Morì il 21 aprile del 1142. Degli scritti logici ci ha lasciato un complesso di brevi glosse all’Isagoge di Porfirio, alle Categorie e allo scritto Sull’Interpretazione di Aristotele, al De differentiis topicis e al De divisione di Boezio, la Logica ingredientibus, la Logica nostrorum petizione sociorum, la Dialectica.
Nel 1118-1121 scrive la I e II edizione della Teologia Summi Boni; del 1122-1125 è, invece, la I redazione della Teologia christiana, a questa segue la Teologia scholarium. Abbiamo molte Epistulae, oltre che L’Ethica, il Sic e Non, e il Dialogus inter philosophum. Abelardo divenne un famoso maestro di Logica, e ancora studente di Guglielmo di Champeaux, impose al maestro di abbandonare il radicale realismo. Subisce l'influsso del pensiero di Roscellino, ma rimane avverso al suo rigido nominalismo.
Abelardo definisce la logica o la dialettica come teoria del discorso scientifico, il cui compito specifico è valutare la validità o meno delle dimostrazioni. Ciò è possibile soprattutto attraverso l’analisi della disposizione dei termini e dello studio del significato delle parole. La logica ha un compito fondamentalmente analitico, e in ciò consiste l’originalità di Abelardo. Egli, infatti, individua gli esatti significati delle parti del discorso e della struttura della proposizione, del valore del dictum (ovvero del significato di una proposizione), e dei modi dell’argomentare. La logica, con Abelardo, si sgancia finalmente dalla fisica e dalla metafisica. Per quanto riguarda gli universali, egli è avverso sia al realismo platonico di Guglielmo di Champeaux sia al nominalismo di Roscellino. Trova una sorta via di mezzo, definendo l’universale come vox (sermo) che si può predicare di molti: non perché all’universale corrisponda una realtà o essenza universale, ma perché esso coglie uno status, cioè una somiglianza nel modo di essere di più individui ed è quindi predicabile di essi. L’universale indica un modo di intendere comune e confuso, mentre il nome individuale ( tipo Socrate ) dà la conoscenza di un solo e concreto oggetto. Con sua prima opera teologica ( Sulla Divina Trinità ) tenta di rispondere a quanti affermavano che non si poteva credere se prima non si intendeva. Le sue affermazioni, comunque, sul valore dell’indagine razionale anche in argomentazioni teologiche non devono essere separate da altre affermazioni che mettono in rilievo il primato della fede: “si deve sanamente credere quello che non può essere spiegato”. Inoltre, bisogna mettere in rilievo la continua polemica contro i dialettici da parte di Abelardo. L’esercizio dell’intelletto si connette con quello della fede, infatti l’intellectus trova illuminazione da Dio (“la ricerca dà l’intelligenza se assistita dalla devozione”). Credere e intendere sono strettamente connessi, ma rimangono contrapposti al conoscere che è sempre un rendere manifesto. Nonostante ciò anche l’intelligere (ovvero l’intendere) può servirsi degli strumenti della logica, soprattutto per chiarire il valore dei termini. In tale direzione si muove Sic e non, ove Abelardo cerca di conciliare le contrastanti tesi della tradizione patristica mediante un metodo che tenga conto, per una corretta interpretazione del significato dei termini, di svariati aspetti quali la cultura dell’autore e del pubblico cui l’autore si rivolgeva, autenticità delle opere e l'esame, con il conseguente accostamento, di altre opere dei medesimi autori. Questo modo di procedere partiva dalla premessa che “ si troverà facile soluzione di molte controversie se potremmo chiarire i diversi significati dati dagli autori alle stesse parole ”. L’etica di Abelardo pone in secondo piano l’atto esterno e si rivolge all’intimo dell’uomo, ovvero alle intenzioni, all’adesione anteriore, al consenso.

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