Il
secolo XII
L’orizzonte
culturale del XII secolo presenta profondi cambiamenti e segna una
nuova stagione nella storia del pensiero medioevale. Notevoli furono
le trasformazioni che si verificarono in tutta l’Europa: nascita
delle città, crisi della feudalità e del sistema agricolo,
affermazione di nuovi centri di potere come monarchie o comuni, forte
ripresa della vita religiosa dentro e fuori le mura della chiesa,
nuovo sviluppo dell’economia e apertura di nuove vie commerciali
con il mondo arabo (attraverso la Spagna) e bizantino (anche in
seguito alle crociate). A favorire l’allargamento degli orizzonti
culturali portavano un contributo decisivo le traduzioni di testi
filosofici e scientifici dell'antica filosofia greca, come le opere
aristoteliche, di Galeno, di Tolomeo, oltre che opere arabe come
quelle di Al-Kindi, Al-Farabi, Avicenna, Averroè; le quali facevano
scoprire un patrimonio di sapere prima del tutto sconosciuto. Per il
nuovo volto che veniva assumendo la cultura del XII secolo, anche in
rapporto a una nuova lettura dei classici antichi come Ovidio,
Virgilio, Cicerone, si è parlato di rinascita del XII secolo.
Nasce
a Le Pallet presso Nantes nel 1079. Già
in giovane età si dedicò agli studi filosofici. Ascoltò le lezioni
di Roscellino e di Guglielmo di Champeux, con il quale entrò subito
in polemica. Entrato a far parte della scuola di Anselmo da Laon, si
scontrò ben presto con questi per una polemica nata attorno ad un
commento su Ezechiele. L’avversione di Anselmo e dei suoi scolari
lo portarono ad abbandonare le sue lezioni, ma, ormai, la sua fama si
era diffusa in tutta l’Europa. Instaura una relazione con Eloisa,
nipote del canonico Fulberto. Saputo che ella era incinta la fece
rapire e trasferire in Bretagna, ove nacque il figlio. Fulberto,
credendo che Abelardo la abbandonasse, nonostante un matrimonio
segreto tra i due, lo fece nottetempo evirare. Ad Abelardo sembrò la
fine e fece prendere il velo ad Eloisa, ed egli stesso divenne
monaco. Ritornò poco dopo all’insegnamento, ma, dato che alcune
sue concezioni vennero considerate eretiche, molti dei suoi scritti
vennero messi al rogo. Morì il 21 aprile del 1142. Degli scritti
logici ci ha lasciato un complesso di brevi glosse all’Isagoge
di Porfirio,
alle Categorie
e allo scritto Sull’Interpretazione
di Aristotele, al De
differentiis topicis
e al De
divisione
di Boezio, la Logica
ingredientibus,
la Logica
nostrorum petizione sociorum,
la Dialectica.
Nel
1118-1121 scrive la I e II edizione della Teologia
Summi
Boni;
del 1122-1125 è, invece, la I redazione della Teologia
christiana,
a questa segue la Teologia
scholarium.
Abbiamo molte Epistulae,
oltre che L’Ethica,
il Sic
e Non,
e il Dialogus
inter philosophum.
Abelardo divenne un famoso maestro di Logica, e ancora studente di
Guglielmo di Champeaux, impose al maestro di abbandonare il radicale
realismo. Subisce l'influsso del pensiero di Roscellino, ma rimane
avverso al suo rigido nominalismo.
Abelardo
definisce la logica o la dialettica come teoria del discorso
scientifico, il cui compito specifico è valutare la validità o meno
delle dimostrazioni. Ciò è possibile soprattutto attraverso
l’analisi della disposizione dei termini e dello
studio del significato delle parole. La logica ha un compito
fondamentalmente analitico, e in ciò consiste l’originalità di
Abelardo. Egli, infatti, individua gli esatti significati delle
parti del discorso e della struttura della proposizione, del valore
del dictum (ovvero del significato di una proposizione), e dei modi
dell’argomentare. La logica, con Abelardo, si sgancia finalmente
dalla fisica e dalla metafisica. Per quanto riguarda gli universali,
egli è avverso sia al realismo platonico di Guglielmo di Champeaux
sia al nominalismo di Roscellino. Trova una sorta via di mezzo,
definendo l’universale come vox (sermo) che si può predicare di
molti:
non perché all’universale corrisponda una realtà o essenza
universale, ma perché esso coglie uno status, cioè una somiglianza
nel modo di essere di più individui ed è quindi predicabile di
essi. L’universale indica un modo di intendere comune e confuso,
mentre il nome individuale ( tipo Socrate ) dà la conoscenza di un
solo e concreto oggetto. Con
sua prima opera teologica ( Sulla
Divina Trinità
) tenta di rispondere a quanti affermavano che non si poteva credere
se prima non si intendeva. Le sue affermazioni, comunque, sul valore
dell’indagine razionale anche in argomentazioni teologiche non
devono essere separate da altre affermazioni che mettono in rilievo
il primato della fede: “si deve sanamente credere quello che non
può essere spiegato”. Inoltre, bisogna mettere in rilievo la
continua polemica contro i dialettici da parte di Abelardo.
L’esercizio dell’intelletto si connette con quello della fede,
infatti l’intellectus trova illuminazione da Dio (“la
ricerca dà l’intelligenza se assistita dalla devozione”).
Credere e intendere sono strettamente connessi, ma rimangono
contrapposti al conoscere che è sempre un rendere manifesto.
Nonostante ciò anche l’intelligere (ovvero l’intendere) può
servirsi degli strumenti della logica, soprattutto per chiarire il
valore dei termini. In tale direzione si muove Sic
e non,
ove Abelardo cerca di conciliare le contrastanti tesi della
tradizione patristica mediante un metodo che tenga conto, per una
corretta interpretazione del significato dei termini, di svariati
aspetti quali la cultura dell’autore e del pubblico cui l’autore
si rivolgeva, autenticità delle opere e l'esame, con il conseguente
accostamento, di altre opere dei medesimi autori. Questo modo di
procedere partiva dalla premessa che “ si
troverà facile soluzione di molte controversie se potremmo chiarire
i diversi significati dati dagli autori alle stesse parole
”.
L’etica
di Abelardo pone in secondo piano l’atto esterno e si rivolge
all’intimo dell’uomo, ovvero alle intenzioni, all’adesione
anteriore, al consenso.
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