giovedì 31 maggio 2012

Blaise Pascal


Blaise Pascal (1623 – 1662) fu matematico, fisico, filosofo e teologo francese. Appartenente al giansenismo, di intelligenza precoce e illuminata, rispose alle polemiche avanzate dai teologi dell'università della Sorbona di Parigi contro il proprio ordine con la pubblicazione de Le provinciali. Si impegnò nella stesura di una grande apologia del Cristianesimo, di cui ci sono rimasti solo alcuni appunti pubblicati con il titolo Pensieri. Il Saggio sulle coniche è, invece, il prodotto dei suoi interessi per la geometria pura. Fece studi per la costruzione di una macchina calcolatrice e verificò l’ipotesi di Torricelli sul vuoto. In difesa della teoria del vuoto aveva iniziato a scrivere un Trattato del vuoto, la cui prefazione è di grande importanza perché, oltre a sostenere l’autonomia della ragione in questioni scientifiche, contro il principio d’autorità, valido in ambito teologico, afferma, anche, che i “moderni” hanno superato le conoscenze degli “antichi”, i quali rappresentano l’infanzia della civiltà. Pascal, pertanto, elabora un concetto del tutto nuovo di sapere. Ed infatti, esso non è dato una volta e per sempre, bensì si arricchisce in maniera progressiva e continua con il trascorrere del tempo. Per cui possiamo dire che propriamente antichi, ossia ricchi dell'esperienza dei secoli passati, sono i moderni.
Nei Pensieri viene proposta un’apologia del cristianesimo contro i libertini e gli atei. Il tema centrale di questi appunti è il concetto della dignità dell'uomo. Dignità che si fonda sul fatto di essere un essere pensate. Ciò si evince chiaramente dalle sue parole: “tutta la dignità dell’uomo consiste nel suo pensiero”. Essere debolissimo per natura, più di una canna, egli è tuttavia una canna pensante. L’unico essere ad avere la coscienza di morire. Ma è proprio il pensiero la causa della sua perdizione, del suo orgoglio; la radice della sua superbia che lo porta a ribellarsi contro Dio. E in tale ribellione consiste il peccato di Adamo.
La scienza, dice Pascal, non fa luce sui veri problemi dell’uomo e sul suo destino: l’uomo di fronte all’infinitamente grande e l’infinitamente piccolo si smarrisce. Anche lo strumento matematico non è capace di esaurire tutta la realtà: esso è espressione dello spirito di geometria, che fonda una scienza astratta che non penetra e scruta i problemi dell’uomo, ma che si limita soltanto a descrivere il reale, a trovarne le leggi che ne regolano i fenomeni. Questi problemi possono essere penetrati solo con la finezza dello spirito. La polemica contro Cartesio è, quindi, la polemica contro una filosofia che vuole spiegare tutto entro principi evidenti e che crede quindi di potere eliminare il mistero che circonda l’uomo. L’uomo, in verità, è come smarrito in un orizzonte infinito, orizzonte che Pascal simboleggia con un cerchio il cui centro è ovunque e la circonferenza in nessun luogo; l’uomo, se segue la superbia della ragione, si perde irrimediabilmente. Pascal propone una nuova apologia il cui tema centrale non è il cercare e trovare la prova dell’esistenza di Dio: “la ragione [infatti] non può decidere nulla”, bensì quello di incentrarsi sull’argomento della scommessa. Si tratta, infatti, di scegliere tra l’affermazione e la negazione di Dio (Dio è o Dio non è). Ora, poiché la ragione non può decidere nulla, si tratta di scommettere. Questa è la posta in gioco: dalla parte dell’affermazione Dio è sta il bene, la felicità, l’infinito; dalla parte dell'affermazione Dio non è sta il finito, il transitorio. Se scommettiamo Dio è, nel caso in cui vinciamo guadagniamo un’eternità di vita e di felicità; se perdiamo non perdiamo nulla di importante. Se invece scommettiamo Dio non è, se vinciamo possiamo guadagnare qualcosa di finito, ma corriamo il rischio, data l’incertezza della scommessa, di perdere l’infinito e l’eterno. Proprio per questo non possiamo rischiare: essendo le due possibilità (Dio è o Dio non è) assolutamente sproporzionate tra loro (finito e infinito), si deve scegliere Dio.
Per Pascal al centro dell'esistenza dell'uomo di ha la figura del Cristo redentore, del messia che sacrifica il proprio sangue per la salvezza dell'umanità. Esemplare a tal riguardo è una frase del nostro studioso: La conoscenza della propria miseria senza quella di Dio genera la disperazione. La conoscenza di Gesù Cristo dà il giusto mezzo perché vi troviamo Dio e la nostra miseria”.

Nessun commento:

Posta un commento