Il
Rinascimento vide il rifiorire, al di fuori delle università, della
cultura e della filosofia platonica. L'aristotelismo, invece, rimase
il pensiero più diffuso all'interno del mondo accademico.
Già
Petrarca, precursore
di quella sensibilità nuova che lo portò ad impegnarsi nella
traduzione di classici greci e latini, guardava a Platone,
contrapponendolo alla filosofia aristotelica – averrosita, come al
filosofo più vicino alla religione cristiana.
Una
vera e propria riscoperta del pensiero originario del Platone
si ebbe nel XV secolo, allorché, a seguito al XVII concilio
ecumenico tenutosi a Basilea, ripresero i contatti tra il mondo
latino e quello bizantino. Contatti che si erano interrotti nell’XI
secolo a seguito dello scisma tra la Chiesa latina e la Chiesa greca.
Un
ruolo importante nella
riscoperta e nella diffusione del pensiero platonico lo ebbe Marsilio
Ficino,
che sotto la protezione dei Medici, tradusse il Corpus
platonico
e il Corpus
ermeticum,
gli Oracoli
caldaici,
gli Inni
orfici e pitagorici.
Marsilio
Ficino (1433-1499)
riteneva, in linea con il pensiero patristico greco, che il Logos si
rivelasse in maniera continua e progressiva. Da tale rivelazione
nasce la pia
philosophia
(o anche la teologia antichissima: prisca
teologia),
cioè una filosofia intrinsecamente religiosa. Essa trova le sue
prime manifestazioni in Oriente con Zoroastro e con il mitico Ermete
Trismegisto. In seguito questo pensiero rifluisce nei Greci per
giungere a piena maturità in Platone. Questa pia
filosofia
è il
frutto della
rivelazione del Verbo
divino.
Pertanto
è una docta religio, intrinsecamente affine al Cristianesimo e ad
esso convergente. Quindi filosofia e religione sono la medesima cosa,
e anche nello stesso paganesimo possiamo rintracciare un'intrinseca
affinità con il Cristianesimo. Ed infatti, le varie religioni
mostrano come Dio abbia dotato allo stesso modo tutti gli uomini del
senso religioso.
Ficino
vede l’aristotelismo come un filosofia materialistica,
che immette e descrive l’uomo nel solo ambito naturale, negandogli,
pertanto, la creazione, la provvidenza e l’immortalità.
Quest'ultima è il tema centrale nella sua opera maggiore, che prende
il titolo di Theologia
platonica de immortalitate animorum
(1482).
Qui
il filosofo sviluppa la
propria concezione circa l'anima umana, chiarendone la sua posizione
nell’universo, le sue facoltà e il suo suo destino ultraterreno.
L’universo di Ficino è platonicamente e gerarchicamente tutto
ordinato secondo una struttura quintuplice, al cui vertice si ha Dio,
seguito, in ordine descrescente, dagli angeli, dall'anima umana,
dalla qualità e dalla materia.
Al centro si ha, quindi, l’anima, che unisce in sé sia tutte le
qualità degli ordini a lei inferiori, sia quelli a lei superiori. In
tal modo l’anima diviene il vero nodo
(copula
mundi)
dell’universo e garantisce l’unità e l’ordine del tutto. La
centralità della posizione dell'anima fa sì che essa si sottragga
al destino di dissoluzione degli altri esseri, e ad accostarsi,
tramite la sua parte razionale (mens) agli esseri eterni e
incorruttibili, cioè alle menti angeliche e Dio.
Ora,
mentre l’intelletto ha
come sua funzione la conoscenza dell'oggetto, l’amore può invece
ricongiungere l’uomo a Dio. L’amore (eros) deve essere inteso in
senso platonico, come forza di attrazione che ricongiunge l’uomo a
Dio. Da ciò l’importanza della filosofia dell’amore che comporta
il primato del bene dell’amore.
Nel
De
vita coelitus comparanda
(1489) Marsilio Ficino spiega come i cieli seguano l'ordine del
Logos, e come una tale conoscenza possa giungere alla manipolazione
della realtà terrena e spirituale, con una sottomissione, mediante
opportuni riti e formule, di angeli o demoni ai propri interessi.
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