Notevolissima
importanza ebbero nella cultura di Roma lo stoicismo, anche se questo
si era profondamente trasformato rispetto all’insegnamento di
Panezio
(stoicismo medio) e di Posidonio.
Panezio, nato a Rodi nel 180 a.C. , divenne capo della stoà di Atene
nel 129, alla morte di Scipione.
Panezio
riprende alcune tesi dello stoicismo e del platonismo, secondo
cui ogni cosa che esiste è la dove è bene e giusto che sia, nel
rispetto, quindi, di un rodine e di un'armonia prestabilita,
immutabile ed eterna. Tutto è, conseguentemente, organizzato secondo
gradi razionali, i quali sono il riflesso della ragione, che
stabilisce dove ciascuno deve essere e come razionalmente deve porsi.
Panezio respinge la teoria stoica dell’eterno
ritorno.
Nell’etica non accetta il rigorismo della morale stoica e ricerca
una morale più duttile, adatta sia al saggio che all’uomo comune,
con una valorizzazione dei bisogni concreti della vita.
Discepolo
di Panezio fu Posidonio,
il
quale accolse influenze platoniche e diede la più grande sintesi del
tardo stoicismo.
Per
Posidonio l’essere coincide con il cosmo, per cui essere e universo
sono la stessa cosa. Pertanto, l’ontologia si risolve nella fisica.
All'origine del cosmo è il fuoco, concepito come la platonica anima
mundi;
attraverso il fuoco il cosmo si genera e si distrugge secondo la
teoria stoica della conflagrazione e dell’eterno ritorno; specchio
e sintesi del cosmo è l’uomo (microcosmo) in cui coesistono due
principi: l’anima e il corpo. L’etica insegna non la soppressione
delle passioni (parte irrazionale dell’anima) ma la loro
purificazione e il loro controllo mediante la parte razionale
dell’anima: in tal modo l’anima una volta liberata dal corpo
ascende nel mondo celeste attraverso dei stati progressivi di
purificazione. Nella storia umana, per Posidonio, l’uomo si raffina
nei modi di vita, ciò però porta ad una progressiva corruzione
morale, da cui si può salvare mediante la guida dei filosofi.
Notevole
influenza ebbero sulla cultura romana i rappresentanti dell’ultima
Accademia: Filone
di Larissa e
Antioco di Ascalona.
Filone accentua l’importanza dell’evidenza immediata del
sensibile come criteri di verità. Il sensibile non attinge l’essenza
della realtà, ma offre però un criterio valido per la condotta.
Antioco di Ascalona cerca di sintetizzare in un sistema armonico le
maggiori tradizioni filosofiche antiche (platonismo, aristotelismo,
stoicismo); egli, infatti, ritiene che tra tutte le scuole
filosofiche è possibile ritrovare un nucleo di dottrine comuni, le
quali costituiscono, per Antioco, il criterio di verità.
Cicerone
nasce
ad Arpino nel 106 a.C. e muore nel 43 a.C. Tra le opere di più
impegno si hanno: De
Repubblica, De Le gibus, Brutus, Orator, Paradoxa, Stoicorum,
Hortensius, Accademici libri, De Finibus bonorum et malorum, De
Officiis, Tusculanae disputaziones, De Natura Deorum, De Divinatione,
De fato, De Senectute, De amicizia.
Nei suoi scritti, mediante l'esame e la discussione delle dottrine
delle varie scuole filosofiche, si ha la ricerca non del vero, ma
del verosimile e del probabile. Da ciò deriva una piena libertà di
giudizio, un atteggiamento non dogmatico che comporta la rinuncia a
cercare la verità ultima delle cose. A tale rinuncia si sopperisce
con un impegno reale nella quotidianità di vita. Il sapere deve
avere, pertanto, un’utilità; deve, in altre parole, servire per
migliorare la vita degli uomini in società. In tale prospettiva
appare chiaro anche il significato della retorica, che per Cicerone
è sì lo strumento della comunicazione umana, ma anche ciò senza
il quale il sapere resta sterile ed inutile.
Vi
è un nucleo di dottrine che, però, Cicerone ritiene valide, perché
sono fondate dal consenso
universale,
l'unico criterio di verità ritenuto valido. Il consenso universale
ci induce a credere all’esistenza di Dio, al suo governo
provvidente del mondo (secondo i temi stoici), alla natura immortale
e divina dell’anima. Sul logos, sulla ragione si fonda la legge
naturale, che ci offre un principio universale etico e che fonda la
virtù. Quest'ultima può esser raggiunta solo se si seguono i
dettami della ragione. La quale ci insegna che l'azione morale non ha
un tornaconto, ma acquisisce significato in se stessa, perché si
inserisce nell'armonia del logos e nell'ordine di esso. La virtù,
pertanto, basta a se stessa: “non
c’è per la virtù teatro più grande della coscienza”.
Da ciò il concetto ciceroniano di onesto come ciò che va lodato per
se stesso. Legato all’onesto è il conveniente, ovvero ciò che
suscita l’approvazione degli altri. In tutto ciò consiste la
felicità. Non dimentichiamo, inoltre, che il logos è sia divino che
umano, dato il rapporto di parentela che secondo l’insegnamento
stoico li unisce. Seneca
riassume in sé l’atteggiamento proprio degli stoici romani del I
sec d.C. Egli nasce a Cordova nel 4 a.C. Le opere pervenuteci sono:
Consolatio ad Marciam, De Ira, Consolatio ad Helviam, Consolatio ad
Polybium, Epigrammi, De Brevitate vitae, De Clementia, De Costantia
Sapientis, De Vita Beata, De Otio, De tranquillitate Animi, De
Providentia, De Beneficiis, Naturales Questiones, Epistulae morales
ad Lucilium, Ludus De Morte Plaudii, detto Apocolocyntosis, cioè
l’inzuccamento di Claudio, ossia la consacrazione della zucca.
Venne condannato a morte nel 64 d.C. da Nerone.
Lo
stoicismo di Seneca fu una scelta filosofica operata perché sembrava
capace di proporre una meditazione ed
equilibrio della perenne tensione delle passioni. Seneca ritrova
nello stoicismo un ideale di vita, che lo porta, vivendo secondo
ragione, a collocarlo nella sua armonia con il cosmo. In Seneca è
fondamentale la convinzione che la ragione è il principio e il
fondamento dell'armonia cosmica, la quale si riflette nell'uomo
stesso, il quale deve seguirla per raggiungere un equilibrio, che è
una conquista graduale, di cui egli stesso è il responsabile. La
saggezza, per Seneca, più che nell’essere saggio consiste nel
rendersi conto di non esserlo, e soprattutto nell’umiltà di
saperlo confessare, in un atteggiamento di colui che mai deve essere
e professarsi professore e maestro. Da un lato Seneca sa che la
natura è quella che è, e che ciascuno è limitato; dall’altro
lato, però, ha la consapevolezza che fino a che si resta frantumati
e presi dalle proprie passioni si è schiavi, dominati, prepotenti,
egoisti, non umani. Tutti possono essere servi e tutti padroni,
poiché tutti, in quanto costituiti da ragione, possono tendere ed
auspicare ad un ordine e ad una misura. I quest'ultima consiste la
libertà, che coincide con il rispetto degli altri. Tale rispetto
costituisce la societas. Seneca da un lato descrive con amarezza e
pietà l’uomo triste e infelice, pieno di paura e combattuto;
dall’altro delinea l’uomo come dovrebbe essere: vincitore di sé
in quanto conflitto di passioni, coordinatore di queste in un
equilibrio che è razionalità. Seneca giunge a prospettare le due
città, la città degli uomini quali sono e la città degli uomini
quali dovrebbero essere.
Filostrato
nasce a Tiana, nella Cappadocia, allora provincia romana e visse nel
I sec. d.C. Sua è l'opera dal titolo
Vita
di Apollonio di Tiana, in
cui concepisce
la filosofia come riflessione morale, come conoscenza di sé, del
proprio animo, per riportarlo alla propria dignità, alla propria
libertà e alla propria razionalità (cioè al divino); in
opposizione alla corruzione dilagante, alle sfrenate passioni, al
vivere irrazionalmente. Questa voglia di vivere in maniera dissoluta,
propria dei suoi tempi e dei politici a lui contemporanei, spiega la
paura dell’imperatore e di tutti quegli uomini che vivono di
passioni di fronte alla filosofia.
Musonio
Rufo
nato nel 30 d.C. e morto non più tardi del 102 d.C. , sviluppa una
filosofia secondo i canoni dello stoicismo e predica la formazione di
un uomo virtuoso.
Epitteto
nasce
nel 50 circa a Ierapoli,
nella Frigia. Da giovane fu condotto a Roma, ove venne liberato dalla
schiavitù da Epafrodito,
discepolo di Musonio. Dopo che tutti i filosofi vennero espulsi da
Roma si recò a Nicopoli,
ove morì tra il 125-130 d.C.
Epitteto
non pretese mai di dare una esposizione sistematico-scolastica di una
certa dottrina, ma,
con un atteggiamento socratico e prendendo spunto dalle domande dei
discepoli o da quesiti posti da chi si recava da lui per avere
consigli, si intratteneva in discussioni brevi e serrate. Le
conversazioni di Epitteto sono state raccolte dal generale romano
Arriano di Nicomedia e pubblicate con il titolo di Diatribe.
Epitteto
rifacendosi alla logica cinica e stoica sottolinea che la ragione è
un “sistema
di rappresentazioni diverse”,
cioè il vero ed il falso non stanno nelle cose e neppure nelle
rappresentazioni delle cose, ma nel saperle correttamente connettere,
mediante i modi o condizioni del comune pensare (prenozioni).
Irrazionale e passionale è chi viene preso di volta in volta da
questa o quella rappresentazione, dando più peso a questo o a
quella. Libero è chi sa ragionare, chi attua bene ciò che gli
compete, sapendo recitare come si deve la sua parte nel dramma.
Essere zoppo o diritto, maschio o femmina, ricco o povero non sono
cose che dipendono da noi. Ciò che dipende da noi è sapere pensare,
è sapere scegliere, essere liberi dall’errore, e quindi dalle
opinioni, dagli interessi esclusivi.
Marco
Aurelio,
imperatore dell'impero romano,
nasce a Roma nel 121 d.C. e muore, combattendo contro i Marcomanni e
i Quadi, nel 180 d.C., presso Vindobona, l'odierna Vienna.
Marco
Aurelio è profondamente convinto che tutto è secondo un ordine,
cioè che tutto è come deve
essere, inesorabilmente. Nello stesso tempo era consapevole del fatto
che uomini e cose (sub specie aeternitatis) non valgono niente, e che
l’unico senso sta nel sapere vivere bene, secondo ragione,
realizzando la propria parte, secondo i dettami del ragionamento di
Epitteto. Solo “scavando dentro se stessi” si può trovare, ogni
volta, la giusta misura. Marco Aurelio, vicinissimo ad Epitteto,
trasformò il suo atteggiamento di disprezzo per le cose in un
atteggiamento opposto; in un amore per tutte le cose, in un rispetto
per ogni uomo. L’opera di Marco Aurelio prende il titolo di A
se stesso o Ricordi.
Filone
(vissuto
tra il 25 a.C. e il 41 d.C) prende il nome di Filone
di Alessandria o Filone l’Ebreo.
A questi si deve il primo tentativo di svolgere secondo le categorie
filosofiche greche i grandi temi contenuti nel Vecchio Testamento.
Importanza centrale nella sua opera assume la dottrina del logos, il
Verbo di Dio-Uno, generatosi da se stesso nell’atto di conoscersi.
Il logos è il luogo delle idee e degli archetipi platonici, da cui
poi discende, mediante una serie di intermediari, secondo una
gerarchia discendente, il molteplice e il mondo. Per Filone “è
impossibile all’uomo percepire da se stesso l’Essere Assoluto,
bisogna che l’Essere Assoluto si manifesti e si dimostri”.
Dio si coglie con un attimo di visione, con l’occhio dell’anima.
A Filone si deve l’applicazione sistematica al Vecchio Testamento
di un metodo interpretativo che contrappone ad una interpretazione
alla lettera, una interpretazione del senso allegorico o senso
spirituale.
La
più importante testimonianza della religiosità ellenistica di
ambiente egizio è il Corpus
Ermeticum,
composto in un arco di tempo che va dal II a.C. al II-III d.C. . Del
Corpus Ermeticum i due scritti più importanti sono il Pimandro
e l’Asclepio.
Gli scritti sarebbero stesi sotto dettatura del dio Hermes, il tre
volte grande (tris magistros). La tradizione identifica il dio Hermes
greco (dio della parola, interprete e messaggero di Zeus) con Thot
egiziano (dio della parola e della scrittura). Queste sono le
argomentazioni affrontate nel Corpus Ermeticumi: Dio è una realtà
inconoscibile, a cui non si può accedere per via razionale, ma
secondo un cammino di purificazione. Vertice della conoscenza è la
gnosi, ovvero una conoscenza che trascende ogni discorso logico
mediante una forma di intuizione che ci mette in contatto con la
divinità. Conseguentemente, la conoscenza o gnosi è un dono di
Dio. In tale prospettiva la filosofia coincide con la religione.
L’uomo capace di gnosi è salvato dal ciclo fatale degli
avvenimenti, dalle passioni, dal peccato e “diviene dio”. L’uomo
però, mediante pratiche magiche e teurgiche può penetrare nel
complesso delle forze che reggono il tutto per piegarle ai propri
fini e a prorpio favore.
Numenio
di
Apamea
visse
nel II secolo d.C. e appartiene alla filosofia neoplatonica. Egli
tenta una costruzione teologica che innesta concezioni platoniche e
pitagoriche. L’Essere, Dio, è incorporeo, e si identifica con
l’Uno e con il Bene. La sua natura rimane inconoscibile. Egli è il
padre del secondo dio, il Demiurgo, che guardando il Padre genera in
sé le idee e forma il mondo sensibile; quest’ultimo è il terzo
dio che esprime in modo sensibile la bellezza del Padre. L’uomo,
solo liberandosi da ogni molteplicità, può ritornare all’Uno e in
tal modo unirsi al bene.
Plutarco
di
Cheronea,
46 d.C. e 125, scrisse Vite
parallele e Opere morali,
e oppone, secondo una concezione dualistica, al Bene il male che è
la materia. Questi due principi contrari si combattono anche
nell’uomo, perché contro l’anima razionale sta l’anima
irrazionale, malvagia. Apuleio
di Madaura,
autore
dell'Asino d’Oro, insieme ad Albino
adotta il metodo aristotelico per spiegare e giustificare le istanze
platoniche.
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