Pico
della
Mirandola
(1463-1494) scrisse il celebre Orato
de hominis digitate, Heptaplus
(commento cabalistico e platonico al Genesi),
Disputationes
adversus astrologiam divinatricem.
Pico della Mirandola, altro grande esponente del platonismo
rinascimentale, sviluppa un pensiero molto più complesso di quello
del Ficino. Ciò è conseguente al fascino che esercitarono in lui la
cabalistica ebraica, la filosofia araba, greca e latina, ed, infine,
la teologia cristiana antica e medievale.
La
generale concezione platonica di Pico si sintetizza
attorno al tema della circolarità del tutto, che procedendo
dall’Uno, ritorna all’Uno. In tale visione si manifestano le
influenze della tradizione ermetica, magica e cabalistica. Pico della
mirandola afferma che la realtà è il risultato di un complesso
dinamico di forze spirituali in rapporto fra loro. Tale realtà è
conosciuta nella sua profondità da chi (come
il mago, cioè il sapiente per eccellenza)
sappia cogliere i nessi che reggono il tutto, facendosi ministro
della natura. Solo il mago infatti “
potrà compiere opere meravigliose che solo l’ignorante può
ritenere miracoli, mentre sono solo opere naturali che il mago, in
forza della sua sapienza, è riuscito a far venire alla luce.
Pico,
seppur a favore della magia, si scaglia contro l'astrologia e la sua
pretesa di istituire un rapporto preciso e necessario tra il corso
dei cieli e gli eventi del mondo sublunare.
In
Orazione
sulla dignità dell’uomo
Pico difende la dignità umana, che non può essere prigioniera di un
destino dato. L'uomo, infatti, è un essere libero, che non ha un
posto determinato una volta per sempre nel cosmo. L’uomo, afferma
Pico, è creato per divenire sempre quello che vuole: bestia o
creatura divina.
Al
fine di comprendere meglio il pensiero rinascimentale
diviene di fondamentale importanza chiarire il significato di due
termini largamente utilizzati in questo periodo, e cioè Prisca
Theologia
e
Philosophia
Perennis.
Con prisca
teologia
si indicavano tutte quelle dottrine e opere di argomento teologico
attribuite ad antichissimi, spesso mitici, personaggi della civiltà
caldea, egizia e greca, contemporanei o anche posteriori ai profeti
della tradizione ebraica. Testi della prisca
teologia
sono gli Oracoli
caldaici
attribuiti a Zoroastro (risalenti in realtà al II sec. d.C. e
tradotti nel ‘400 dal dotto Gemisto Pletone) ; Il
Corpus hermeticum;
gli Inni
attribuiti
al Museo e
a
Orfeo (anch’essi
posteriori al II sec. d.C.). Questi testi apparivano come la
testimonianza di un’antica sapienza ricevuta da Dio, e, quindi,
fonte originaria di ogni sapere. Tale sapere, considerato alla
stregua di quello biblico come frutto di una rivelazione, si presenta
nei suoi contenuti dottrinali (creazione
temporale del mondo, Unità e Trinità divina, immortalità
dell’anima, premi e castighi eterni)
fondamentalmente concorde con l’insegnamento di Mosè, dei profeti
e del Vangelo, tanto da essere spesso impiegato dai filosofi del
rinascimento per commentare il testo biblico. Fortemente connesso
alla prisca teologia e la philosophia
perennis.
L’espressione philosophia perennis venne usata per la prima volta
dal vescovo Agostino
Steuco da Gubbio
autore del De
Perenni Philosophia,
pubblicato nel 1540 a Lione. Con tale termine si indica una precisa
concezione storica della filosofia, che spiega la nascita della
filosofia Essa nasce con la credenza che sia stata donata da Dio
all'uomo in tempi antichissimi. Le verità sarebbero state trasmesse
oralmente da generazione a generazione, e, durante tale trasmissione,
pur rimanendo tra di loro identiche, hanno perso di chiarezza e
purezza originale. Queste verità filosofiche coincidono con le
verità dell’Antico e Nuovo Testamento. La parabola del platonismo
rinascimentale vede la fine con il suo ultimo esponente Francesco
Patrizi da Cherso
(1529-1597). Patrizi prende posizione contro l’aristotelismo nel
suo “Discussiones
peripateticae”,
pubblicato in Basilea nel 1581. In tale opera polemizza con le tesi
più importanti di Aristotele. Inoltre, afferma che questi si fosse
appropriato di molte dottrine dei suoi precedessori che poi
criticarle, al fine di nascondere il plagio compiuto. Infine,
utilizza la prisca
teologia
allo scopo di dimostrare l’estraneità della filosofia aristotelica
rispetto alla concorde tradizione della filosofia e delle teologie
antiche. Nel Nova
de universis Philosophia
pubblicato a Ferrara nel 1521 elabora, in contrapposizione
all’aristotelismo, una nuova concezione dell’universo fisico e
metafisico. In tale opera svolge il tema della metafisica della luce
(nel trattato dal titolo panaugia),
della gerarchia cosmica (nella panarchia),
dell’animazione universale (nella pampsychia)
e infine la genesi e costituzione del mondo fisico nella pancosmia).
Interessante l’insistenza sul tema della totalità, per cui la
realtà si presenta come un tutto organico, animato e vivente in ogni
sua parte, pervaso dal lume dell’eterna luce divina, ordinato
secondo una gerarchia graduale d’essere che promana da un'unità
originaria che egli chiama unomnia.
Il
cosmo fisico si trova in uno spazio sostanzialmente infinito, tutto
riempito dalla luce
(che è media tra corporeo e incorporeo); se
lo spazio è infinito anche il mondo fisico lo è.
Il mondo fisico non è composto dei principi aristotelici di materia
– forma – privazione, bensì di nuovi principi fisici quali
spazio – luce – calore e materia fluida (fluore). Siamo così
fuori dal finito mondo aristotelico e in uno spazio e in un mondo
infinito.
Molto interessante ... ma Severino Boezio può rientrare nel filone della Prisca Theologia?
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