martedì 29 maggio 2012

L’avverrismo latino


Nella seconda metà del XIII secolo si diffonde nell'università di Parigi un movimento filosofico definito dagli storici come averroismo latino. Ciò perché si interpreta il pensiero di Aristotele seguendo le direttive di Averroè. L'importanza di questo nuovo filosofare, come vedremo, fu notevole. Molte, infatti, furono le dispute e le polemiche sorte in conseguenza delle teorie avanzate da questi nuovi averroisti, in special modo per opera di Bonaventura, Alberto Magno, Tommaso d’Aquino.
L'importanza e la diffusione di questo movimento filosofico è confermato sia dall’opuscolo di Tommaso d’Aquino Tractatus de unitate intellectus contra averroistas, sia dalla condanna del 1270 e del 1277.
Sigieri di Bramante (1240-1284), fu maestro a Parigi e autore di vari commenti a opere di Aristotele. Di notevole rilievo è la sua posizione circa il rapporto tra filosofia aristotelica e fede. Egli, infatti, afferma che il proprio compito è solo quello di commentare Aristotele; da lui considerato il filosofo per eccellenza,. In questo su commentare Sigieri non si interessa se la filosofia dello stagirita possa contraddire la verità di fede. Ciononostante non vi è contrapposizione di due verità, ma la sola consapevolezza che il sistema aristotelico sia coerente al suo interno. Contro il concordismo teologico, Sigieri rifiuta la dimostrazione filosofica di verità insegnate per fede e si limita a registrare un contrasto. Queste le concezioni filosofiche caratteristiche di Sigieri:
da Dio – causa prima e forma dell’universo mobile – deriva la prima intelligenza. Il molteplice discende dalla prima causa attraverso una catena di intermediari (le intelligenze e i cieli). Tutti questi sono ordinati scalarmene secondo una causalità necessaria. Eterno è il mondo e, con esso, i processi di generazione e corruzione. I cieli sono causa di ogni moto del mondo sublunare, e, pertanto tutti gli eventi storici ritorneranno circolarmente identici, seguendo il moto circolare dei cieli.
Tipica di Segieri e dell’averroismo in genere è la teoria dell’unità dell’intelletto possibile. Esso è l'ultima delle sostanze separate e non è in alcun modo forma del corpo, ma si unisce a ciascun uomo, già informato dell’anima vegetativo-sensitiva, per trarre gli intelligibili dai fantasmi (cioè dalle immagini sensibili degli oggetti presenti nella fantasia).
Boezio di Dacia fu un maestro averroista, autore di uno scritto sull’ eternità del mondo (De aeternitate mundi). Per questi la fede non ha nulla in comune con il discorso filosofico: essa si fonda sulla rivelazione divina e sui miracoli, cioè su realtà che sono fuori della natura e, pertanto, dalle categorie aristoteliche. Le verità di fede, per il fatto di essere verità assolute, non possono essere dimostrate. Sicché il filosofo potrà sostenere, in sede filosofica, che il mondo è eterno, poiché questa affermazione rientra nell’ambito naturale, e dall’altra parte potrà, come cristiano, affermare che la tesi dell’eternità del mondo è falsa. Nello scritto De summo bono Boezio di Dacia definisce con molta chiarezza il fine ultimo dell’uomo in un orizzonte puramente filosofico, secondo l’ordine naturale. Il sommo bene costituisce l’ideale del sapiente e si realizza nell’attività propria dell’uomo, l’intendere (intelligere) in cui si riassume la contemplazione del vero e l’operare il bene. Si delinea così un ideale speculativo puramente razionale, che nulla deve alla fede e alla grazia, che ignora peccato e redenzione: raggiungere il sommo bene è possibile nell’ordine naturale con l’esercizio dell’attività speculativa sino al godimento intellettuale che si attua nella conoscenza della verità, ultimo fine dell’uomo.

Nessun commento:

Posta un commento