Nella
seconda metà del XIII secolo si diffonde nell'università di Parigi
un movimento filosofico definito dagli storici come averroismo
latino. Ciò perché si interpreta il pensiero di Aristotele seguendo
le direttive di Averroè. L'importanza di questo nuovo filosofare,
come vedremo, fu notevole. Molte, infatti, furono le dispute e le
polemiche sorte in conseguenza delle teorie avanzate da questi nuovi
averroisti, in special modo per opera di
Bonaventura, Alberto Magno, Tommaso d’Aquino.
L'importanza
e la diffusione di questo movimento filosofico è confermato
sia dall’opuscolo di Tommaso d’Aquino Tractatus
de unitate intellectus contra averroistas,
sia dalla condanna del 1270 e del 1277.
Sigieri
di Bramante
(1240-1284), fu maestro a Parigi e autore di vari commenti a opere di
Aristotele. Di notevole rilievo è la sua posizione circa il
rapporto tra filosofia aristotelica e fede. Egli,
infatti, afferma che il proprio compito è solo quello di commentare
Aristotele; da lui considerato il filosofo per eccellenza,. In questo
su commentare Sigieri non si interessa se la filosofia dello
stagirita possa contraddire la verità di fede. Ciononostante non vi
è contrapposizione di due verità, ma la sola consapevolezza che il
sistema aristotelico sia coerente al suo interno. Contro il
concordismo teologico, Sigieri rifiuta la dimostrazione filosofica di
verità insegnate per fede e si limita a registrare un contrasto.
Queste le concezioni filosofiche caratteristiche di Sigieri:
da
Dio – causa prima e forma dell’universo mobile – deriva la
prima intelligenza. Il molteplice discende dalla prima causa
attraverso una catena di intermediari (le intelligenze e i cieli).
Tutti questi sono ordinati scalarmene secondo una causalità
necessaria. Eterno è il mondo e, con esso, i processi di generazione
e corruzione. I cieli sono causa di ogni moto del mondo sublunare, e,
pertanto tutti gli eventi storici ritorneranno circolarmente
identici, seguendo il moto circolare dei cieli.
Tipica
di Segieri e dell’averroismo in genere è la teoria dell’unità
dell’intelletto possibile. Esso
è l'ultima delle sostanze separate e non è in alcun modo forma
del corpo, ma si unisce a ciascun uomo, già informato dell’anima
vegetativo-sensitiva, per trarre gli intelligibili dai fantasmi (cioè
dalle immagini sensibili degli oggetti presenti nella fantasia).
Boezio
di Dacia fu
un maestro averroista, autore di uno scritto sull’ eternità del
mondo (De
aeternitate mundi).
Per questi la fede non ha nulla in comune con il discorso filosofico:
essa si fonda sulla rivelazione divina e sui miracoli, cioè su
realtà che sono fuori della natura e, pertanto, dalle categorie
aristoteliche. Le verità di fede, per il fatto di essere verità
assolute, non possono essere dimostrate. Sicché il filosofo potrà
sostenere, in sede filosofica, che il mondo è eterno, poiché questa
affermazione rientra nell’ambito naturale, e dall’altra parte
potrà, come cristiano, affermare che la tesi dell’eternità del
mondo è falsa. Nello scritto De
summo bono
Boezio di Dacia definisce con molta chiarezza il fine ultimo
dell’uomo in un orizzonte puramente filosofico, secondo l’ordine
naturale. Il sommo
bene
costituisce l’ideale del sapiente e si realizza nell’attività
propria dell’uomo, l’intendere (intelligere)
in cui si riassume la contemplazione del vero e l’operare il bene.
Si delinea così un ideale speculativo puramente razionale, che nulla
deve alla fede e alla grazia, che ignora peccato e redenzione:
raggiungere il sommo bene è possibile nell’ordine naturale con
l’esercizio dell’attività speculativa sino al godimento
intellettuale che si attua nella conoscenza della verità, ultimo
fine dell’uomo.
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