Un
secolo dopo la fine del periodo classico, si ha la grande invasione
degli stranieri, che portavano seco il devastante patrimonio delle
loro idee e usanze. Il centro di partenza è da ravvisare a Tula, la
capitale dei Toltechi,1
situata al nord di Città del Messico. Il segno dell’invasione è
fortemente visibile e riconoscibile a Chichèn Itzà. Thompson
ricorda che Chichèn Itzà era una delle città maya di maggiore
importanza nel periodo classico. Ne portano testimonianza un gran
numero di monumenti in stile tradizionale Maya, le sculture nello
stile classico yucateco, i testi geroglifici. I monumenti datati si
aggirano intorno all’889 d.c., cioè a una data che nella regione
centrale segna pressappoco la fine del periodo classico. Vengono
costruiti una quantità di monumenti in stile tolteco e si ha la
fusione dello stile messicano a quello maya. Gli Itza si insediarono
nella città conquistata grazie all’operato di un capo messicano
dal nome Kukulcan. Questi è il corrispettivo maya del messicano
Quetzacòatl, quindi di un eroe in seguito divinizzato. Va tenuto
presente che Kukul è la penna del Quetzal, uccello sacro per i
mesoamericani, le cui penne oltre a essere ritenute sacre,
costituivano una merce pregiata nell’America centrale
precolombiana; Can invece, vuol dire serpente: Kukulcan vale quindi
serpente piumato.
A
parte il problema di chi fosse realmente Kukulcan2
(le cui leggende narrano o che sia scomparso su una zattera in
direzione del Veracruz o del Tabasco meridionale o che, giunto in
riva al mare, si fosse costruito una pira e vi si fosse bruciato, per
ricomparire otto giorni dopo trasformato nel pianeta Venere); c’è
il mistero di chi realmente fossero gli Itza. Molto probabilmente
erano dei Toltechi, anche se Itza
sembra un vecchio nome maya, dato che lo si ritrova in alcune regioni
maya lontane dallo Yucatan. Il periodo messicano di Chichen
Itza durò circa due secoli (dal 987 al 1195
d.c.); e mutò profondamente il modo di vita, gli usi e costumi dei
Maya.
Quale
sia stato la zona d’influenza sotto il dominio di Chichen
Itza non si sa bene: le fonti indigene
affermano che tutto il paese fosse sotto il dominio di questa città,
ma a confutazione di tale informazione si ha il fatto che sia l’arte
che l’architettura tolteca non è diffusa al di fuori della
capitale. Fonti maya parlano anche di una triplice alleanza tra
Chichen Itza, Maypan e Uxmal,
che durò per tutti e due secoli del dominio degli Itza su Chichen
Itza. Gli invasori portarono nel paese dei Maya nuovi culti tra cui
quello del Dio serpente (Quetzacoatl –
Kukulcan), ossia di quell’eroe divinizzato
di cui abbiamo dato già accenno.
Il
serpente piumato predomina a Tula.
Questo culto è raro nel periodo classico e si riscontra solo nella
città di Copan alla fine della sua storia. Si insediarono anche
altre divinità, ma alcuni di questi culti stranieri non riuscirono
comunque a spodestare i vecchi; ne è un esempio il caso dei Chac,
divinità della pioggia, che mai vennero abbandonate dai Maya. Tulùm,
situata sulla costa orientale dello Yucatan,
divenne di notevole importanza dopo l’invasione messicana;
Xelhà, importante nel periodo classico, fu
occupata e asservita dalla città di Mayapan,
stessa sorte ebbe Ichpaatùn.
Dopo
due secoli le guerre intestine misero fine alla triplice alleanza. Si
trattò di un momento decisivo nella storia dei Maya, che vide come
protagonista un certo Hunac–Ceel.
Questi compare per la prima volta durante un sacrificio agli dei
della pioggia nel sacro cenote di
Chichen Itza.
Il sacrificio consisteva nel gettare alcune persone nel pozzo pieno
d’acqua. Se entro mezzogiorno una di esse rimaneva in vita, veniva
riportata su per ascoltare la predizione da parte degli dei che la
vittima salvata aveva ricevuto. La predizione rivelava se l’anno
seguente sarebbe stato un anno favorevole per l’agricoltura o al
contrario di dura siccità. Hunac–Ceel
assisteva a tale sacrificio, e siccome a mezzogiorno nessuna delle
vittime era ancora viva, si gettò nel pozzo per ricevere il
messaggio degli dei. Il libro detto Chilam Balam di Chumayel racconta
così l’episodio:
“allora
giunsero coloro che dovevano essere gettati nel cenote; allora
cominciarono a venir gettati nel pozzo perché i loro capi
apprendessero la loro profezia. La loro profezia non venne (cioè
annegarono tutti). Fu Cauich, Hunac–Ceel, Cauich era
il nome dell’uomo, che affacciò la testa all’apertura del pozzo
sul lato sud. Poi cominciò a ricevere la profezia. Poi uscì a
riferire la profezia. Si cominciò ad apprendere la profezia.
Cominciò la sua profezia. Allora cominciarono a dire che egli era il
capo. Allora fu insediato sul trono dei capi. Lo dichiararono capo
dei capi. Prima d’allora non era mai stato capo”.3
Hunac–Ceel
divenne capo di Mayapan,
ma anche di Chichen Itza,
e si adoperò perché la prima diventasse la città più importante
dell’alleanza. A questo punto risulta che a capo di Chichen
Itza c’era un certo Chac
Xib Chac; governante di questo centro per
conto di Hunac Ceel.
Chac Xib Chac
rubò la moglie al capo supremo di Izamal,
proprio il giorno del loro matrimonio; per la qual cosa Hunac–Ceel,
in seno a un esercito di messicani, spodestò il capo di Chichen
Itza e lo esiliò con i suoi seguaci. Sicchè
Hunac–Ceel,
eliminato il pericolo di Chichen Itza,
con l’aiuto del capo di Izamal,
privato della moglie, gli si rivolse contro e lo sconfisse, rimanendo
in tal modo il capo incontrastato.
Il
Chilam Balam racconta
che il capo di Izamal e
i suoi figli vennero sacrificati tutti ad una divinità per nutrirla.
Mayapan divenne
padrone di tutto lo Yucatan settentrionale e probabilmente anche
della regione Puuc. Il dominio durò per due secoli e mezzo (dal
1200 al 1450). Onde evitare rivolte i capi di Mayapan
ricorsero al semplice stratagemma di obbligare i capi delle varie
città a risiedere a Mayapan.
Non si riesce a stabilire quante città fossero sotto il predominio
di questa capitale, probabilmente qualcosa come una dozzina, per un
territorio esteso quasi quanto tutta la Svizzera. Anche questa
dittatura però, come tutte le dittature, cadde. Il pretesto fu dato
da una rivolta operata da Ah Xupan,
membro della influente famiglia Tutul Xiu,
anch’essa discendente dei guerrieri di Tula.Ah
Xupan riuscì a far scoppiare una rivolta diffondendo la notizia che
i Cocom (i
discendenti di Hunac – Ceel)
si impadronivano di un gran numero di Maya per venderli poi come
schiavi in Messico e in Honduras. Il capo Cocom
e i suoi figli vennero tutti uccisi. Con la caduta di Mayapan,
avvenuta verso il 1450, l’impero centralizzato crollò. Dalla sua
corollaria frammentazione si formarono una dozzina di stati
regionali, ognuno con un proprio capo. Il degrado intellettuale,
artistico e culturale fu enorme: ben poco rimaneva dell’austerità
e della fioritura del periodo classico, anzi venne persino
abbandonato il sacro gioco della pelota, vero emblema di quella
civiltà. Qui, come nello Yucatan, dopo un certo tempo, un gruppo si
impose su tutti quanti gli altri; i Quichè,
che abitavano la regione nord del lago Atlàn.
Ma anche stavolta venne imposto alla popolazione assoggettata il
culto di Quetzalcoatl.
Ben presto, tuttavia, l’effimero impero dei Quichè
si sfracellò sotto i colpi delle rivolte.
Seguì una serie di guerre che durarono fino all’arrivo degli
spagnoli.
L’ultimo
regno del nuovo mondo, come ci dice David Webster, governato da una
dinastia nativa finì il 13 marzo del 1697 quando: un piccolo
vascello spagnolo a remi con 108 soldati si imbatté in una schiera
di canoe nemiche e si avvicinò alla città sull’isola di Noypetèn,
che era difesa da un nugolo di indios appostati dietro fortificazioni
improvvisate. Martin De Ursua y Arizmendi, comandante delle forze
spagnole, riferì in seguito che i suoi uomini non avevano aperto il
fuoco finché non avevano ricevuto una scarica di frecce nemiche, cui
avevano risposto con la scarica di un cannone per poi precipitarsi a
riva. Alle 8 del mattino tutti i Maya sopravvissuti erano fuggiti e
la città era completamente in mano spagnola.
La
conquista spagnola ebbe un ruolo decisivo nello scrivere la fine
della storia di questo popolo. Il primo vero contatto con i Maya si
ebbe nel 1517, quando dopo una furiosa tempesta, tre velieri
dell’Havana (Cuba) andarono a ormeggiare nella costa settentrionale
dello Yucatan. Informazioni importanti sulla conquista degli spagnoli
a danno dei Maya si hanno nel libro Storia
della conquista della nuova Spagna scritto da
Bernard Diaz del Castello.
Vi
furono varie battaglie tra i conquistadores e gli indigeni, le
perdite furono pesanti e alcuni spagnoli vennero trascinati vivi e
tirati per i capelli per fungere da future vittime sacrificali sugli
altari dei templi. Molti avevano avuto la gola tagliata dai coltelli
e lo stesso cronista venne colpito da tre frecce. Hernandez de
Cordova, il capo della spedizione, morì a Cuba in seguito alle
ferite riportate. Una seconda spedizione partì il 25 gennaio del
1518 da Santiago de Cuba per ordine di Diego Velasquez, conquistatore
e governatore di Cuba. Dopo uno scalo all’Havana, la flotta, una
nave della quale era comandata da Francisco de Monteyo (destinato a
diventare il primo commendatore civile e militare dello Yucatan), si
diresse ad ovest e approdò nell’isola di Cozumel.
Questa venne visitata, ma non venne dichiarata possedimento
castigliano. In seguito, marciando più a sud sulla costa dello
Yucatan, apparvero agli spagnoli gli edifici della città di Tulum
destando in loro una grande meraviglia per lo
spettacolo così nuovo. Juan de Grijalva, parente di Diego Velasquez,
capo della spedizione, decise di accamparsi con i suoi uomini vicino
ad un pozzo dal quale gli indigeni attingevano l’acqua. I primi
contatti vennero quindi instaurati. Gli indigeni, infastiditi dalla
loro presenza, fecero capire che se non fossero andati via la
situazione sarebbe precipitata, cosa che infatti avvenne: una pioggia
di frecce si abbattè sul loro accampamento; una di queste raggiunse
Grijalva alla mascella e gli spezzò tre denti. In un istante persero
sette uomini e si ebbero settanta feriti; in fretta e furia si
reimbarcarono sulle navi senza però dimenticare di redigere l’atto
di conquista del luogo. In seguito, all’altezza dell’istmo di
Tehuantepec, Grijalva
ebbe il primo contatto con l’impero azteco,4
completamente sconosciuto fino a quel momento. Scambiato per
Quetzalcoatl, il
serpente piumato, gli furono dati doni e congratulazioni. A questo
punto la spedizione ritornò indietro e giunta dal governatore
Velasquez, venne fatto un resoconto delle ricchezze di questi
territori. Presto venne organizzata una nuova spedizione di 11 navi
affidata al segretario di Velasquez, Hernan Cortes, nipote del
viceré. Il 10 febbraio 1519 la flotta partì e raggiunse nuovamente
Cozumel. Il 10 marzo del 1519 la squadra di Cortes, dopo aver
costeggiato una parte dello Yucatan, si trovava all’altezza del
Tabasco. Venne nuovamente sancita la presa di possesso del territorio
di Tabasco. Cinque anni dopo, conquistati e sottomessi gli Aztechi,
Cortès tornò nel territorio maya per ricondurre in obbedienza un
suo luogotenente che cercava di rendersi indipendente. Questi era
stato inviato a colonizzare l’Honduras. Questa spedizione, che
ripercorse il Guatemala e l’Honduras, fu oltre che difficile, anche
inutile, dato che la rivolta del luogotenente era stata sabotata da
alcuni ufficiali che erano stati mandati contro di lui per via
marittima dalle Antille. Toccò ad Alvarado, luogotenente di Cortes,
conquistare tutto il Guatemala e come già detto, il 13
marzo del 1697 con Martin Ursua si ha la fine
dell’ultimo regno maya.
1
AA.VV. Storia, popoli, gesta, civiltà,
Arnoldo Mondadori Editore, Verona 1971, pag. 149 Titolo dell’opera
originale: History.
Toltechi significa “maestri costruttori“, probabilmente venivano
dal Guatemala. “La tradizione dice che il loro primo condottiero,
Quetzalcoatl, fondò la capitale, Tula, e che a lui succedettero
altri otto capi, ciascuno dei quali ampliò ulteriormente il dominio
toltechi nel Messico. Superbi ed orgogliosi, gli imperatori tolteci
edificarono palazzi per sé belli quanto i templi dei loro dei. Il
nono grande capo si chiamò, come il primo, Quetzalcoatl e compì il
fatale errore di nominare come erede il figlio più giovane, che non
piaceva ai capi guerrieri, i quali presero le armi e fecero la
guerra civile: veso il 950 d.c. Tula venne distrutta, seguirono
carestie e pestilenze che arrestarono per un certo periodo, la
civiltà dell’America Centrale…non riuscirono mai a costruire l’
arco, ma sono famosi per la loro abilità nell’ uso della malta,
per la bellezza delle loro pareti dipinte e per la loro scrittura
pittografia.
2
Tutte le culture possiedono un sovramondo popolato da esseri
sovrumani che fondano uno o vari aspetti sociali, economici e
politici. Possiamo distinguere due diversi tipi di esseri
sovrumani; quelli attivi solo nel mito, e che quindi consono oggetto
di culto, ma non per questi meno importanti, in quanto hanno avuto
una funzione di fondazione di determinati aspetti della realtà, e
quelli attivi anche nel presente. In questa categoria rientrano il
creatore ozioso, caratterizzato dal fatto che dopo avere creato non
agisce più, il Trickers o anche briccone divino, che è connotato
dall’ essere causa di caoticità, ma non per questo del tutto
negativo poiché diviene premessa dell’ ordine cosmico e l’ eroe
culturale, cioè colui che è metastoricamente responsabile dell’
assetto culturale tipico delle singole civiltà. A quest’ ultima
categoria appartiene Quetzaalcatl – Kukulcan. Questi però si
contraddistingue in quanto è attivo anche dopo il mito. Questo eroe
culturale è infatti da inserire all’ interno di una religione
politeistica, possedendo inoltre una personalità ben precisa che
lo rende operante in un aspetto della realtà.
4
Storia, popoli, gesta, civiltà, cit.,
pag. 150. L’ascesa degli Aztechi inizia “verso il 1168 d.c.
(quando) uno sparuto gruppo di indiani incominciò ad adottare la
civiltà dei Toltechi e a fondare un impero che, col tempo, arrivò
a contare 5 milioni di abitanti. Questi indiani, chiamati anche “
popolo degli aironi“, appartenevano alla tribù dei Nahua;
probabilmente ebbero nome dal fatto che i guerrieri portavano tra i
capelli due piume di airone. Secondo la leggenda, prima di fondare
la loro civiltà gli Aztechi erano vissuti pacificamente su un’
isola in mezzo al lago finchè, nel 1168, il loro dio
Huitzilopochtli (che significa colibrì a sinistra) apparve loro,
ordinando che partissero da quel luogo e vagassero alla ricerca di
un certo segno: quando lo avessero trovato, sarebbero diventati un
grande popolo. Nel frattempo gli Aztechi si spostavano da un luogo
all’ altro, fermandosi per alcuni anni, scavando la terra e
coltivando granoturco, commerciando con le più importanti tribù
con le quali venivano a contatto; fatti schiavi scapparono su un’
isola paludosa sul Lago Messico; qui il loro consiglio di quattro
capi vide una roccia sulla quale cresceva un cactus su cui stava
un’ aquila che teneva tra gli artigli un serpente. Questo era il
segno che essi aspettavano ed in questo luogo gli Aztechi
edificarono Tenochtitlàn (“roccia del cactus“). Un grande capo
comandava il consiglio dei quattro capi che governavano la tribù[…].
L’impero Azteco, come il resto dell’ America prima che
arrivassero i Spagnoli, non aveva buoi, cavalli e non aveva scoperto
la ruota (i commercianti portavano di città in città eserciti di
portatori che reggevano sulle spalle carichi di circa 30 chili); in
ogni città dell’ impero c’ era un mercato, ove scambiare merci
di ogni genere: gomma elastica, mole, sacchetti di cacao, fagioli e
persino penne d’ aquila ripiene di polvere d’oro.
“Hera,
civiltà scomparse, misteri archeologici”, mensile n. 62, Hera
Edizioni, Marzo 2005, Articolo di Giulio Magli, L’Astronomia
e il paesaggio sacro degli Aztechi, pag.
24. Tenochtitlàn contava circa un milione di persone,
queste vivevano in case fatte, per la maggior parte, in pietra.
Tutta la città era ripiena di templi piramidali che raggiungevano
l’altezza anche di 30 metri; da qui i sacerdoti compivano i
sacrifici umani, (essenziale nutrimento degli dei, che mantenuti in
vita e in forza con il sangue delle vittime sacrificali,
permettevano il continuamente di questa creazione), in special modo
di prigionieri e gettavano i loro corpi ai fedeli perché li
mangiassero. Lo stato si basava su clan o famiglie che avevano
propri capi, divinità protettrici, templi e terre. Esistevano venti
clan riuniti in quattro confraternite, ognuno
con un proprio capo militare. Ogni clan aveva un rappresentante in
consiglio che, almeno in teoria, eleggeva il capo supremo (che
però in pratica era un monarca ereditario). La
religione mexica risultò dall’interazione di elementi ancestrali,
quali il culto del dio della guerra dal nome
Huitzilopochtli ed elementi tipici delle precedenti culture della
Valle del Messico, in particolare quella tolteci. Come la religione
tolteca, anche quella mexica era profondamente incentrata sul
sacrificio umano, le cui vittime erano di solito, come già detto,
prigionieri di guerra ma anche schiavi e bambini. L’assassinio
delle vittime avveniva perché i messicani erano convinti di
alimentare, in questo modo, le divinità, in una sorta di
alimentazione degli dei e, in uno scambio tra l’esistenza degli
uomini e la sopravvivenza degli dei stessi e avveniva di solito su
una pietra sacrificale. Successivamente i cuori delle vittime
venivano posti sul Chac Mool, una statua di forma umana
semi-sdraiato la cui iconografia è a sua volta di origine tolteca.
Tenochtitlan negli anni precedenti alla conquista spagnola, la città
si espanse fino a inglobare il vicino centro di Tlatelolco e
probabilmente la popolazione arrivò a contare trecentomila persone.
Tenochtitlan era splendida. Adagiata nella parte occidentale del
lago, essa appariva ai viaggiatori che provenivano dalle montagne
come una specie di piattaforma galleggiante, collegata alla
terraferma da tre strade rialzate e irta di splendide piramidi.
L’urbanistica era inspirata ad una visione quadripartita
dell’universo. Convinzione comune a tutta la meso-america. Le
strade convergevano in una piazza nel centro della città e la
piazza era concepita a sua volta come una struttura quadripartita in
cui i palazzi dei regnanti erano rivolti verso l’interno.
L’redificio principale era il Tempio Mayor, vero e proprio
ombelico del mondo e albero che collegava il cielo, la terra e
l’inframondo. Come dice P. Scarpi
(G.Filoramo-M.Massenzio-M.Raveri-P.Scarpi, Manuale
di Storia delle religioni, Editori Laterza,
Bari, pagg. 144-145), gli Aztechi erano convinti che vi fossero
state 5 creazioni, 5 universi o 5 soli, di cui quattro si erano
estinti, anche questo mondo era destinato a morire mediante un
disastroso terremoto. “ Situato al centro dell’ universo e fonte
dell’ esistenza del mondo, il Sole perdeva una parte di sé in
ogni creatura e perché continuasse a esistere e a non estinguersi
l’ uomo doveva fornirgli il nutrimento attraverso il sacrificio e
l’offerta del cuore della vittima, che era una porzione della luce
solare. Questo è sinteticamente il mito delle cinque creazioni e
dell’ estinzione dei 4 solo: “ Il primo, naui – ocelotl (naui:
quattro), quattro giaguari, (estinto) perché i giaguari avevano
divorato l’ uomo; il secondo, naui – eecatl, quattro venti,
(estinto) per intervento di Quetzacoaltl che aveva fatto trasformare
tutti gli uomini in scimmie; il terzo, naui – quiauitl, quattro
piogge (estinto) quando tlaloc, dio della pioggia e del fulmine, lo
aveva sommerso con una pioggia di fuoco; il quarto, naui – atl,
quattro acque, terminato con un diluvio durato 52 anni, che è il
ciclo di rinnovamento del mondo”. La cosiddetta guerra fiorita,
unica giustificazione di rappresaglie alla fine dell’ impero,
nasceva dalla necessità di procurarsi prigionieri da sacrificare.
Per questo gli Aztechi cercavano di uccidere il meno possibile al
fine di fare più prigionieri possibili.
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