Fra
il secolo VIII e IX si attuò in Europa una forte ripresa culturale
ad opera di Carlo Magno, il quale verrà celebrato dai suoi
contemporanei come il nuovo Augusto, per il ruolo che
ebbe nella ripresa degli studi.
Alcuino,
uno degli intellettuali dell’epoca, nel suo Trattato
di grammatica riprende
la suddivisione, operata precedentemente da Aurelio Cassiodoro, delle
arti in trivio e quadrivio, e sottolinea la loro importanza nella
formazione di un individuo per la giusta comprensione delle Sacre
Scritture.
Giovanni
Scoto Eriugena,
di origine irlandese, nato nel primo quarto del IX secolo, negli anni
850-851 fu alla corte di Carlo il Calvo. Scrisse un’opera dal
titolo De
Praedestinatione,
ma il suoi capolavoro è il De
divisione naturae,
l’opera più significativa del secolo e una delle massime nella
storia della filosofia del cristianesimo. Tema centrale della
riflessione filosofica e teologica di Scoto è il rapporto tra Dio e
le creature, la spiegazione della struttura dell’universitas, cioè
della realtà preso nel suo senso più ampio. Dall’impostazione
neoplatonica Scoto riprende la concezione del processo circolare che
regge la struttura dell’universitas. Processo che si articola
secondo due momenti strettamente connessi, la discesa (descensus) e
il ritorno (reditus), cioè il procedere dall'Uno – Dio al
molteplice e il ritorno del molteplice all’Uno. Processo circolare
che si scandisce attraverso il succedersi di quattro nature: la
natura increata e creante, la natura creata e creante, la natura
creata e non creante, la natura non creata e non creante.
La prima e la quarta natura coincidono in quanto la prima è Dio come
principio, la quarta come fine. Questa definizione dei diversi
momenti appartiene propriamente alla dialettica, la quale ripercorre
il cammino di discesa attraverso la diairetica, il ritorno attraverso
l’analisi. La prima è un processo di divisione che procede
dall’Uno al molteplice, la seconda unifica il tutto riconducendo il
molteplice all’Uno. Questa ordinata e compatta visione
dell'universo non deve però, fare perdere di vista la fondamentale
contrapposizione tra essere e non essere: considerando non-essere
tutto ciò che eccede la comprensione umana. Giovanni Scoto
concepisce Dio come ineffabile, al di là di ogni classificazione
categoriale, con conseguente primato della teologia negativa o
apofatica, sviluppata seguendo lo pseudo-Dionigi. Unico modo per
usare il linguaggio in maniera meno impropria parlando di Dio è
unire affermazioni e negazioni, ponendo Dio al di sopra di esse. Da
ciò l’uso del prefisso super per ogni aggettivo o sostantivo che
si voglia riferire a Dio. Per Scoto Dio generò il Verbo
“eternamente e tutto in lui eternamente”. Il pensiero divino, il
Verbo, contiene in assoluta unità la molteplicità delle idee, e non
vi è nessuna differenza tra l’eternità del Verbo e la creazione.
Va comunque precisato che in quanto factae le idee o cause
primordiali sono inferiori al Verbo; per questo, anche se possono
dirsi coeterne al Verbo, propriamente non sono del tutto coeterne. Le
idee o cause primordiali, in quanto poste nel Verbo, costituiscono
un’unità ineffabile e inconoscibile, ma da un punto di vista
dinamico diventano principi attraverso cui si costituisce il
molteplice. In quanto molteplici, le idee vengono a costituire la
struttura ontologica della molteplicità spazio-temporale. Il
molteplice spazio-temporale si definisce come manifestazione o
teofania delle cause, e, tramite esse, di Dio. Da ciò l’importanza
fondamentale che assume la dottrina del peccato e della redenzione:
senza il peccato l’uomo sarebbe rimasto nel suo puro essere ideale,
nel mondo della realtà intelleggibile, senza il corpo fisico. Caduto
nella sfera della sensibilità e della corporeità, l’uomo,
rivestito di una tunica corporea, ha bisogno di vivere in un mondo
adeguato alla nuova, transitoria, condizione. Parimenti transitoria è
anche la realtà spazio-temporale che dovrà ritornare, come l’uomo,
al suo vero essere nelle cause primordiali, in Dio. Con il ritorno
degli esseri molteplici in Dio si chiude il processo circolare che
scandisce tutto il rapporto tra Dio e il molteplice: ed è ritorno
nel senso più radicale del termine in quanto l’identificazione di
essere e bene escludeva la durata perpetua del male. Infine, vanno
ricordate le affermazioni di Scoto sulla importanza della ratio
e della filosofia
( “nessuno entra in cielo senza la filosofia”): la ratio
e l’intellectus
non sono eterogenei alla rivelazione e la stessa filosofia si
identifica con la religione. Ricerca e contemplazione della verità,
filosofia e religione, intellectus e fides sono momenti dello stesso
processo. In altre parole, non si può avere vera filosofia senza
religione. I due termini sono momenti di uno stesso percorso che
portano alla salvezza, alla purificazione dell'anima, alla
contemplazione di Dio, all'unione con l'Uno.
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