martedì 29 maggio 2012

La rinascita carolingia.


Fra il secolo VIII e IX si attuò in Europa una forte ripresa culturale ad opera di Carlo Magno, il quale verrà celebrato dai suoi contemporanei come il nuovo Augusto, per il ruolo che ebbe nella ripresa degli studi.
Alcuino, uno degli intellettuali dell’epoca, nel suo Trattato di grammatica riprende la suddivisione, operata precedentemente da Aurelio Cassiodoro, delle arti in trivio e quadrivio, e sottolinea la loro importanza nella formazione di un individuo per la giusta comprensione delle Sacre Scritture.
Giovanni Scoto Eriugena, di origine irlandese, nato nel primo quarto del IX secolo, negli anni 850-851 fu alla corte di Carlo il Calvo. Scrisse un’opera dal titolo De Praedestinatione, ma il suoi capolavoro è il De divisione naturae, l’opera più significativa del secolo e una delle massime nella storia della filosofia del cristianesimo. Tema centrale della riflessione filosofica e teologica di Scoto è il rapporto tra Dio e le creature, la spiegazione della struttura dell’universitas, cioè della realtà preso nel suo senso più ampio. Dall’impostazione neoplatonica Scoto riprende la concezione del processo circolare che regge la struttura dell’universitas. Processo che si articola secondo due momenti strettamente connessi, la discesa (descensus) e il ritorno (reditus), cioè il procedere dall'Uno – Dio al molteplice e il ritorno del molteplice all’Uno. Processo circolare che si scandisce attraverso il succedersi di quattro nature: la natura increata e creante, la natura creata e creante, la natura creata e non creante, la natura non creata e non creante. La prima e la quarta natura coincidono in quanto la prima è Dio come principio, la quarta come fine. Questa definizione dei diversi momenti appartiene propriamente alla dialettica, la quale ripercorre il cammino di discesa attraverso la diairetica, il ritorno attraverso l’analisi. La prima è un processo di divisione che procede dall’Uno al molteplice, la seconda unifica il tutto riconducendo il molteplice all’Uno. Questa ordinata e compatta visione dell'universo non deve però, fare perdere di vista la fondamentale contrapposizione tra essere e non essere: considerando non-essere tutto ciò che eccede la comprensione umana. Giovanni Scoto concepisce Dio come ineffabile, al di là di ogni classificazione categoriale, con conseguente primato della teologia negativa o apofatica, sviluppata seguendo lo pseudo-Dionigi. Unico modo per usare il linguaggio in maniera meno impropria parlando di Dio è unire affermazioni e negazioni, ponendo Dio al di sopra di esse. Da ciò l’uso del prefisso super per ogni aggettivo o sostantivo che si voglia riferire a Dio. Per Scoto Dio generò il Verbo “eternamente e tutto in lui eternamente”. Il pensiero divino, il Verbo, contiene in assoluta unità la molteplicità delle idee, e non vi è nessuna differenza tra l’eternità del Verbo e la creazione. Va comunque precisato che in quanto factae le idee o cause primordiali sono inferiori al Verbo; per questo, anche se possono dirsi coeterne al Verbo, propriamente non sono del tutto coeterne. Le idee o cause primordiali, in quanto poste nel Verbo, costituiscono un’unità ineffabile e inconoscibile, ma da un punto di vista dinamico diventano principi attraverso cui si costituisce il molteplice. In quanto molteplici, le idee vengono a costituire la struttura ontologica della molteplicità spazio-temporale. Il molteplice spazio-temporale si definisce come manifestazione o teofania delle cause, e, tramite esse, di Dio. Da ciò l’importanza fondamentale che assume la dottrina del peccato e della redenzione: senza il peccato l’uomo sarebbe rimasto nel suo puro essere ideale, nel mondo della realtà intelleggibile, senza il corpo fisico. Caduto nella sfera della sensibilità e della corporeità, l’uomo, rivestito di una tunica corporea, ha bisogno di vivere in un mondo adeguato alla nuova, transitoria, condizione. Parimenti transitoria è anche la realtà spazio-temporale che dovrà ritornare, come l’uomo, al suo vero essere nelle cause primordiali, in Dio. Con il ritorno degli esseri molteplici in Dio si chiude il processo circolare che scandisce tutto il rapporto tra Dio e il molteplice: ed è ritorno nel senso più radicale del termine in quanto l’identificazione di essere e bene escludeva la durata perpetua del male. Infine, vanno ricordate le affermazioni di Scoto sulla importanza della ratio e della filosofia ( “nessuno entra in cielo senza la filosofia”): la ratio e l’intellectus non sono eterogenei alla rivelazione e la stessa filosofia si identifica con la religione. Ricerca e contemplazione della verità, filosofia e religione, intellectus e fides sono momenti dello stesso processo. In altre parole, non si può avere vera filosofia senza religione. I due termini sono momenti di uno stesso percorso che portano alla salvezza, alla purificazione dell'anima, alla contemplazione di Dio, all'unione con l'Uno.

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