La
civiltà musulmana iniziò il suo periodo di maggiore splendore
culturale nel IX secolo d.C. La
prima scuola venne fondata nell’ 832, a Bagdad. La cultura araba
aveva subito l'influsso di una serie di opere dell'antichità
filosofica classica, in particolare dei principali scritti del
pensiero greco. Molte sono le connotazioni comune tra la filosofia
araba e quella occidentale, ed, infatti, entrambe cercano di accedere
razionalmente alla verità rivelata dai testi sacri. La filosofia
araba apprende e rielabora due filoni principali: quello
neoplatonico, seguito dai primi filosofi e da Avicenna,
e quello aristotelico, seguito da Averroè,
il più grande pensatore musulmano.
Al-Kindi
(morto
nell’873) elabora la dottrina aristotelica dell’intelletto
attivo, riprendendo i commenti dei neoplatonici alle opere di
Aristotele. Al-Kindi afferma l’esistenza di un unico intelletto
agente, per mezzo del quale i singoli intelletti degli individui
passano dalla potenza all’atto. Il fine ultimo della filosofia è
l’avvicinamento a Dio.
Al-Farabi
(morto
nel 950) interpreta Aristotele secondo le tematiche del
neoplatonismo. Nel suo sistema filosofico Dio viene visto come
l'unico essere necessario e libero, nel quale esistenza ed essenza
vengono a coincidere. Negli esseri finiti, invece, essenza ed
esistenza sono distinte, nel senso che l'essenza non coincide
necessariamente con l'esistenza. Ciò connota la contingenza di tutti
gli altri esseri rispetto a Dio. Quindi il mondo non è né autonomo
rispetto a Dio né necessario. Può, infatti, esistere o perdere la
propria esistenza.
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