I
Maya erano di religione politeista, possedevano una miriade di
divinità, il cui numero è tutt’ora imprecisato. Degli dei maya
non conosciamo tutti i nomi.
Ernest
Forstemman,1
il regio bibliotecario di Dresda che ne operò una prima sistematica
classificazione in un testo pubblicato nel 1897, sentì addirittura
la necessità di classificarli con le lettere dell’ alfabeto, e
cioè come “dio A, dio B…”. Oggi molti nomi sono stati
tradotti, ma molte sono ancora le cose da comprendere. Alcuni
studiosi contano un centinaio di dei, altri circa trenta, e ciò
perché, scrive Martin Brennan,2
“i
pantheon Mesoamericani sono complessi enormi, ove le varie divinità
possono avere molteplici attributi, ed alcune di esse rappresentano
addirittura certuni aspetti o diverse sembianze delle altre ”.
A
tal proposito afferma Eric Thompson:
“Gli
dei maya sono inquadrati indiscriminatamente in più categorie, che
si possono accavallare o anche contrastare: per esempio un dio può
essere [nel contempo]3
tra quelli del cielo o tra quelli degli inferi”.4
Peter
Schimidt5
sottolinea che ciascuna di queste divinità poteva manifestarsi in
forme diverse e con differenti nomi, in base ai propri attributi e
secondo le circostanze. Per i Maya non esistono esseri immutabili,
tutto è in costante movimento e, quindi, in metamorfosi. Di
conseguenza gli dei, nonché i loro stessi influssi, sono
costantemente soggetti a cambiamenti. Per tale motivo ogni divinità
poteva essere celeste e terrestre, benefica e malevola, maschile e
femminile, energia di vita o di morte. Michael Coe spiega questa
molteplicità teogonica sostenendo che:
“è
frutto del fatto che gli dei avevano molti aspetti[…],riflesso
questo del principio mesoamericano del dualismo, vale a dire l’
unità di principi opposti[…]”.6
Gli
dei maya, precis Victor von Hagen, “parvero innumerevoli agli
spagnoli, anche perché quasi tutti si presentano sotto molti aspetti
diversi”,7
pur non cambiando identità.
Siamo
perciò della stessa opinione di Pietro Bandini, che ritiene che la
risposta di quale sia il numero delle divinità maya dipenda da
“come
decidiamo di considerare l’ immagine degli dei: se, in base a
caratteristiche ricorrenti (nonostante enormi differenze in altri
dettagli), le classifichiamo come un’ unica divinità, o se invece,
con un atteggiamento –atomistico-, riteniamo che differenze
insignificanti vanno riferite a dei completamenti diversi ”.8
Gli
dei venivano rappresentati dagli artisti maya coi tratti, altamente
stilizzati, di svariati animali ed elementi vegetali, talvolta
combinati con forme umane, ma anche totalmente antropomorfizzati come
nel caso del dio-mais, rappresentato come un giovinetto. Gli studiosi
sono ampiamente d’accordo rispetto a due caratteristiche che
permettono un’ approssimativa suddivisione del mondo divino. Esse
sono:
- il sesso degli dei;
- l’appartenenza a una delle due generazioni del pantheon maya.9
La
percentuale delle divinità femminili è, nei Maya, particolarmente
bassa: solo due dee sono infatti la controparte di una vasta schiera
di divinità maschili. Si tratta della giovane dea della luna, madre
degli eroi divini Ixbalanque
e Hunahpù, e di
un’altra dea della luna, progenitrice, Ixcumane.
Dall’
iconografia maya si può chiaramente capire quali sono le divinità
appartenenti alla vecchia generazione e quali alla nuova, in quanto i
vecchi dei vengono rappresentati canonicamente con alcune
caratteristiche peculiari, che sono: speciali capigliature,
tratteggiate con semicerchi e punti, spesso adorne di gioielli;
occhiaie stilizzate a forma di u; grandi nasi, guance scavate e
spesso senza denti. La nuova generazione di dei viene invece
rappresentata con elementi conformi ai canoni di bellezza maya: occhi
a mandorla, fronte alta, naso lungo e grande.10
Eric
Thompson11
afferma che le più importanti divinità erano quelle del sole e
della luna, sulle quali i Maya avevano costruito una serie di
leggende, le quali spesso entrano in contraddizioni le une con le
altre. Lo studioso ne riferisce una riportata anche da Guy Annequin.
In essa, si narra che il sole e la luna erano stati i primi due
coniugi, e, prima di trasferirsi in cielo, erano stati i primi
abitanti della terra. Il sole era il patrono della musica, della
poesia e della caccia; mentre la luna era la dea della tessitura e
della fertilità. Spesso litigavano per colpa della infedeltà della
luna. Per tale motivo il sole, infuriato, le orbò un occhio: fatto
che spiega la minore luminosità della luna.
Tutt’ora
questa credenza è molto diffusa nell’America centrale, talché le
eclissi vengono viste come il risultato delle loro liti.
Tutti
gli studiosi si trovano d’accordo sul fatto che gran parte delle
divinità maya venivano concepite a gruppi di quattro, ciascuno
connesso ad un punto cardinale e al suo relativo colore e ad un
angolo del cielo. Una sola divinità con quattro aspetti, “un po’
come la Trinità cristiana con un membro in più”, afferma Eric
Thompson.12
Le divinità inoltre, come detto poche pagine fa, avevano un duplice
aspetto, buono o cattivo. Un esempio ci viene dato da una delle
divinità più importanti: i Chaci,
che se anche portavano la pioggia, linfa essenziale in una civiltà
agricola come quella mesoamericana, poteva portare anche la siccità
o le tempeste e la grandine. Per tale motivo, molte divinità
venivano rappresentate spesso con gli attributi della morte come il
teschio, al posto delle normali sembianze umane. Il dio sole, che
ogni notte risiedeva negli inferi, divenendo un signore della notte,
al mattino portava i simboli della morte, iconograficamente
simboleggiato con un segno somigliante al nostro %, e prendeva le
sembianze del giaguaro e il colore nero, ossia il colore della morte.
Veniva anche rappresentato con le foglie di granoturco che
rappresentavano sia la faccia del mondo e della vita sia la faccia
degli inferi. Il sole, in altre parole, riassumeva i due principi
opposti di vita-morte. Ogni mattina, con il suo ri-sorgere
quotidiano, diveniva principio di vita, e i suoi raggi permettevano
la maturazione dei prodotti della natura. Di notte si inabissava
negli Inferi, che attraversava per riemergerne al mattino. Durante
questo tragitto diveniva uno dei signori della morte.
Una
delle poche divinità rappresentate sempre con gli attributi propri
della vita, era il dio del mais, il quale era sempre ben accetto,
giacché dava loro la pianta di maggior consumo alimentare. Nelle
iconografie viene solitamente rappresentato come un giovane dagli
occhi a mandorla, tratteggiato con tutti i canoni più caratteristici
della bellezza maya.
Gli
studiosi di oggi raggruppano le divinità, al fine di rendere più
facile la loro classificazione, in famiglie celesti, terrestri e
sotterranee.13
I Maya contavano tredici divinità per il cielo (una per ogni
strato), sette per la terra, e nove per gli inferi (una per ogni
girone). Sembra che i Maya, al contrario dei Messicani, non avessero
il culto del dio del fuoco, che si ritrova, tuttavia nei Lacandoni
odierni. I 20 giorni del mese maya erano anch’essi deificati, e vi
si indirizzavano delle preghiere. Comunque, essi sono, da
identificare come ulteriori aspetti del dio del sole, della luna, del
granoturco, della morte, e del dio giaguaro. Anche i numeri erano
delle divinità, da identificare come altri aspetti delle tredici
divinità del cielo, ma forse anche come altri attributi dei signori
del giorno.
Oltre
a tali divinità, ve ne sono altre la cui classificazione risulta
persino più complessa: ci riferiamo alle divinità dei vari
mestieri: il commercio, il mestiere dell’ apicoltore, quello del
tatuatatore.
I
Maya condividevano con tutta la mesoamerica il culto di Xipe
Totec14.
Questo dio indossa una pelle umana tagliata ai polsi e alle caviglia
per mostrare le mani e i piedi e una maschera di pelle umana sul
viso. È un dio della vegetazione, che presiede alcuni riti di
scorticamento di notevole importanza. Tra l’altro, esso personifica
un tipo di sacrificio molto in uso presso i Maya per la fertilità.
I
Maya dello Yucatan credevano in un dio creatore, il cui nome è Hunab
Ku (Hunab=unico Ku= dio).15
Esso si rivelò un deus otiosus,
il cui posto venne preso dal figlio Itzamna,
che ne rivestì tutti i compiti. Hunab Ku
non venne mai rappresentato nell’ arte, forse perché inconoscibile
e trascendente. Il creatore Itzamna
è, scrive Pietro Bandini,
“uno
degli dei più importanti della vecchia generazione. Alcuni studiosi
pensano che egli rappresenti solo una delle forme del vecchio dio del
sole Kinich Ahau. Altri ritengono che abbia insegnato agli uomini
l’arte della scrittura; ciò contraddice sicuramente la descrizione
del Popol Vuh, secondo cui furono i fratelli traditori degli eroi
gemelli ad inventare le arti più importanti ”.16
Con
l’invasione dei toltechi si diffuse il culto di Quetzalcloat,
il serpente piumato, che assolse parte dei compiti di Itzamna,
e, in quanto eroe divinizzato, divenne patrono della scienza e delle
arti. Afferma Eric Thompson a proposito di questa divinità:
“Kukulcan
(come sappiamo che si chiamava Quetzalcoatl nello Yucatan) era il
patrono degli invasori messicani e, come tale, non dovette fare molta
presa nell’animo dei Maya. Ha un’enorme importanza nell’arte
del periodo messicano, ma la popolazione maya lo sentiva certamente
come un intruso nel suo sistema religioso. Il suo passaggio fu
effimero, come dimostra il fatto che il suo nome non si trova tra i
Maya attuali”.17
Le
divinità venivano spesso associate a degli animali, e ciò non a
caso, giacché questi divenivano metafora di un compito del dio. Le
rane venivano connesse ai Chaci,
poiché tali rettili preannunciano con il loro gracidare l’arrivo
della pioggia. Questi anfibi, chiamati Uo,
si credeva che fossero loro inservienti e musicanti.18
Il
serpente, oltre ad essere stato uno degli aspetti di Itzamna,
simbolizzava anche la fertilità della terra. Questo rettile, per i
Maya, risiedeva nei quattro angoli del cielo; ed era simbolo della
metamorfosi, del cambiamento, e dell’ evoluzione e
dell’innalzamento del computo. Inoltre il serpente era per i
mesoamericani la forza motrice del tempo, e per tale motivo veniva
associato al numero zero e alla spirale. Il popolo maya credeva che
se una donna sognasse un serpente era segno che stesse per rimanere
incinta. Culto proveniente dal credo olmeco, il suo significato
mistico è da collegare al fatto che si scoprì che la sua
metamorfosi poteva essere la base per misurare il passare del tempo e
quindi il movimento del sole; la sua muta infatti corrispondeva al
cambio dei cieli e delle stagioni.
In
america si trova un esemplare di serpente che prende il nome di
crotalus durissimus durissimus.19
Tale rettile, informa Adrian Gilbert, cambia
pelle una sola volta all’anno, e cioè a Luglio, nel periodo in
cui, nello Yucatan, il sole raggiunge lo zenit per la seconda volta
nell’anno. Esiste quindi una corrispondenza naturale tra il sole e
il serpente, i quali ogni anno si rinnovano insieme.20
La simbologia mistica connessa al serpente portava i Maya a
conferire ai loro figli la testa di serpente, il polcan.
A tal proposito Adrian Gilbert afferma che non si può pensare che i
genitori praticassero l’appiattimento del cranio dei figli solo a
scopo estetico. Questo processo era infatti molto doloroso e poteva
sfociare nella morte dell’infante. Gilbert, pertanto, spiega tale
uso col fatto che in questo modo i bimbi assumevano il cranio a forma
di serpente e conseguentemente entravano a fare parte del popolo del
serpente. In altre parole era un rito iniziatico.21
Il
serpente si connetteva alla rigenerazionek, in quanto sacrificando
parte di se stesso (la sua pelle), riesce a generarne una seconda.
Proprio per questa sua capacità autoimmolativa veniva strettamente
associato ai salassi che i Maya praticavano tagliuzzandosi parti del
corpo.
Gli
indios, grazie allo spargimento di sangue a seguito della
mortificazione delle proprie carni, raggiungevano la visione mistica
del serpente archetipale, dalle cui fauci fuoriusciva il viso
dell’antenato divinizzato. Si tratta di associazioni elementari
secondo le quali come il serpente si rigenera sacrificando parte di
se stesso, allo stesso modo l’autosacrificio permetteva al cosmo e
alle divinità di rivitalizzarsi.
Vi
era anche il culto del cervo, che, come scrive Martin Brennan,22
era “comunemente associato ai riti di pubertà”, segnando il
passaggio all’età adulta, e ricoprente lo stesso ruolo in tutta la
parte centrale dell’ america. Paul Arnold23
scrive che il cervo simbolizza la speranza di progenitura, e il suo
sacrificio, serviva a conciliarsi i favori della dea portatrice di
fecondità. Questo mammifero, pertanto, concilia il mondo terrestre
con il mondo spirituale permettendo la rigenerazione della
materialità tramite le rinascite.
Il
giaguaro, culto anch’ esso di origine olmeca, riveste un ruolo
molto importante, in quanto, asserisce Juan,24
odierno sciamano dello Yucatan intervistato dal dott. Adriano
Forgione,
“Le
fauci del giaguaro erano rappresentazione del potere della terra, la
porta di passaggio tra il mondo e l’ inframondo, il ponte tra la
vita e la morte. Il giaguaro era la rappresentazione della terra e le
fauci della terra custodivano l'ovest come guardiane del sole. Esse
erano le porte di passaggio dell’ astro nel seno della terra.
Quando il sole si trovava simbolicamente nello stomaco del giaguaro
il sole era sorvegliato dai serpenti cosmici. Per questo la maschera
giaguaro si unisce al serpente, entrambe rappresentano la
congiuntura dei due livelli, il celeste e il terreno. È la dualità
che ritrova l’ unità”.
Il
felino è una delle rappresentazioni della terra e della sua potenza
di fertilità. Gli olmechi rappresentarono spesso le entrate delle
caverne con le fauci stilizzate dello giaguaro. Nelle pareti del
cunicolo interno si aveva invece dipinto la dea-madre.25
Essa simboleggia la rigenerazione della terra e la sua associazione
con il felino non è casuale, in quanto entrambi si connettono alle
potenze vitali del cosmo. Nelle iconografie maya il dio sole è
rappresentato come un giaguaro. Il sole e il felino sono sintesi
della mistica forza della terra, dal cui seno nasce e muore la vita.
L’astro, con il suo calore, permette la maturazione del mais, ma un
caldo troppo rigido può bruciare il raccolto. Ecco quindi che anche
il sole può portare la morte e per tale motivo durante la notte
diviene un signore degli inferi e si carica di tutti gli aspetti
della caducità materiale e spirituale (ricordiamo che le fauci
spalancate di questo mammifero erano iconograficamente l’entrata a
Xibalbà, il mondo degli inferi).
Il
serpente veniva rappresentato con le piume di quetzal. Questo
uccello, elevandosi con le sue ali in alto, simboleggiava la forza
creativa del cielo. Il serpente piumato diveniva pertanto la sintesi
perfetta di tutti i potenti vettori generatori del cosmo. Il
serpente, animale terrestre, unito al quetzal, animale celeste,
riunisce le cause vitali del pianeta.
Tutto
queste associazioni arcaiche trovano personificazione in Kukulcan,
divinità dalla potenza enorme e il cui culto presso i Maya post-
conquista messicana e i mesoamericani fu fortissimo. Divinità che
nel mondo maya veniva personificato dallo sciamano in estasi, e che
in questa occasione rivelava il suo vero e più profondo significato,
che andava al di là delle mere testimonianze storiche. Kukulcan
indicava tutto ciò che un uomo avrebbe dovuto aspirare a diventare,
e cioè l’illuminazione conseguente ad una vita che riescisse a
conciliare i due aspetti della natura, quello spirituale (le piume) e
quello materiale (il rettile). Presso i mesoamericani il serpente
oltre a simboleggiare il percorso del sole, rappresentava la ricerca
dell’io interiore.26
Il
mondo che, secondo i Maya, venne distrutto e ricostruito per ben
quattro volte,27
era considerato indissolubilmente legato a quello spirituale, per
tale motivi grande reverenza era mostrato dal popolo agli dei, a cui
non dovevano mai mancare sacrifici e devozione. Mercedes de la Garza28
scrive che:
“secondo
i Maya, queste entità soprannaturali avevano creato l’ universo
con una finalità precisa: perpetuare la propria esistenza attraverso
un essere che differisce dagli altri grazie alla consapevolezza di
sé, cioè l’ uomo, convertito in tal modo in motore e fulcro del
cosmo[…], [perciò] nonostante le deità maya fossero, sotto molti
aspetti superiori all’ uomo e possedessero la capacità di creare,
erano state concepite come entità imperfette che nascevano e
morivano, quindi bisognose di essere alimentate per sopravvivere”.
A
seguito di tale concezione e per il legame tra il cielo e la terra il
sacrificio acquisiva un forte significato, un’importanza
fondamentale in quanto permetteva di fare andare avanti le ruote del
tempo e del calendario, infatti, David Webster scrive:
“uomini,
animali, piante e perfino dei erano soggetti a cicli di morte e di
rinascita. Era compito degli uomini eseguire riti e fare sacrifici
per ripagare il loro debito con gli dei e con gli antenati, nutrirli
ed evitare il caos e i disastri assicurando equilibrio ed ordine in
tutte le cose”.29
Le
conseguenze di una mancata devozione potevano essere disastrose e
l’ira degli dei implacabile. L’uomo maya doveva assolvere i suoi
doveri se non voleva scomparire come era successo già
precedentemente con le tre distruzioni.
Annoveriamo,
di seguito, alcune delle divinità maya.
3
Nota dell’autore.
5
Cfr. Peter Schmidt-Mercedes de la Garza-Enrique Nalda, I
Maya, Bompiani, Settembre 1998, pag. 235.
9
Vedremo parlando più specificatamente della mitologia che vi sono
due generazioni di divinità. Una più vecchia che viene depauperata
da una più giovane.
14
Nome azteco della divinità. Quello maya non ci è noto.
15
Oggi alcuni studiosi non si trovano più d’accordo con questa
affermazione.
18
A tal proposito i maya raccontavano di una leggenda che viene
menzionata da Eric Thompson (Cfr. ibidem).
Questa parla di un ragazzo maleducato che, assunto dai chac come
domestico nella loro dimora celeste, avendo l’ ordine di spazzare
i pavimenti, spazzò via anche le rane ignorando le loro furiose
proteste. Infine rischiò di inondare il mondo infatti
impossessatosi di una borraccia di un chac, ne stappò il tappo e
versò tanta acqua da provocare quasi l’irreparabile.
20
Cfr. Ibidem.
24
“Hera, Civiltà Scomparse, Misteri archeologici”, articolo
di Adriano Forgione, Olmechi, Sacerdoti e Nagual, riv.
cit., pag. 26.
27
Parleremo meglio di ciò a proposito della mitologia.
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