La
complessa mitologia maya la troviamo raccolta nel testo sacro del
Popol Vuh. Il mito,
afferma lo studioso A. Brelich1,
ha la funzione di “fondare” la realtà; non di spiegarla quindi,
ma di fondarla in maniera da farla esistere sulla base di precisi
sistemi di valore. Una caratteristica di rilievo del mito è
rappresentata dal suo tempo, il quale è radicalmente diverso da
quello attuale, e in cui operano personaggi del tutto specifici. In
questo tempo “altro” si colloca il processo che culmina nella
creazione dell’attuale assetto del reale. Il mito si traduce in un
discorso che, partendo da una situazione di caos, narra il processo
che ha portato la costituzione e la conformazione del cosmo.
Il mito rappresenta un momento della storia primordiale dell’umanità,
nel quale i confini fra il naturale e il soprannaturale erano meno
netti, gli uomini erano più grandi e più certi nel loro modo di
operare, nel bene e nel male. Nel mito, gli dèi apparivano più
vicini agli uomini, e gli uomini dialogavano con gli dèi: questi
ultimi si facevano presenti e intervenivano di persona nelle loro
vicende, per consigliarli e aiutarli, oppure per portarli alla
rovina.
In
realtà, asserire che il mito è storia primordiale è fuorviante,
perché nel mito non esiste certezza, né di fatti né di cronologia.
Non si mette in dubbio la verità degli eventi che il mito tramanda,
ma non si certamente, di essi, non si può neppure fissare l’epoca
o il preciso svolgimento dei fatti. Sicchè, molte vicende possono
assumere contorni diversi, e addirittura contradditori, a seconda
delle regioni e dei racconti. Inoltre i fatti, ma anche le
personalità dei protagonisti, possono mutare o presentarsi in modo
differente a seconda delle epoche.
Tuttavia,
la possibilità di prestarsi a una rielaborazione e a dei
cambiamenti, anche notevoli, non sminuisce la portata euristica del
mito. Da esso non si può
prescindere, e, anzi, tutto gli va riferito. Il mito definisce
l’identità di una città o di una regione, permette di definire le
origini dei riti o di tante attività umane. Il mito è un brano di
storia sacra che non viene messo in discussione; inoltre esso copre
tutte le possibili vicende dell’agire umano e della vita.
Ogni
passione positiva o negativa, ogni motivo che può spingere l’uomo
ad agire in un certo modo o a interrogarsi sul significato del suo
operare, è già presente nel mito: i personaggi che ne sono
protagonisti rappresentano tutti i tipi possibili di umanità.
Il mito dunque viene a costituire una verità
indiscutibile, anche se si presenta in forme continuamente cangianti.
Scrive Tennis Tedloch:
“Noi
tendiamo a considerare il mito e la storia come opposti, ma gli
autori delle iscrizioni di Palenque e dei testi alfabetici del Popol
Vuh trattavano le parti mitiche e storiche della loro narrativa come
parti di un unico insieme equilibrato […] Invece di essere in
opposizione logica, i regni delle azioni umane e divine sono
collegate da una mutua attrazione. Se noi avessimo una parola per
esprimere pienamente il senso maya del tempo narrativo, questa parola
dovrebbe abbracciare la dualità del divino e dell’umano […] In
verità esiste una parola di origine greca che si avvicina a questo
significato: mythistoria. Per gli antiche greci, che creavano
una spaccatura tra il divino e l’umano, questo termine aveva una
connotazione negativa, essendo riferito a narrazioni che avrebbero
dovuto essere propriamente storiche ma che contenevano elementi
mitici. Per i Maya invece la presenza di una dimensione divina nella
narrazione delle vicende umane non è una imperfezione ma una
necessità, ed è controbilanciata da una necessaria presenza umana
nei racconti delle vicende divine”.2
Ossessionati
dal mistero della propria origine, i Maya, scrive Mercedes De La
Garza, per rispondere
“ad
interrogativi riguardanti l’origine del mondo o i rapporti tra gli
esseri umani e gli dei e tra gli esseri umani e la natura, diedero
vita ad una copiosa tradizione orale che, da un narratore all’
altro, e da un ascoltatore all’altro, passò di generazione in
generazione, sotto forma di canti, rituali e miti. Vi è traccia di
questa usanza in tutte le regioni mesoamericane. A volte la troviamo
cristallizzata nel tempo, incisa su stele o monumenti per mezzo di
effigi o geroglifici”.3
I
contenuti di tale tradizione sono ancora rintracciabili nei racconti
degli odierni discendenti degli antichi maya, ma si possono anche
rintracciare, sotto varie forme, nelle decorazioni architettoniche
oppure vergati su fogli ottenuti da fibre vegetali o dalla pelle
essiccata di cervi.
Con
la crisi della civiltà maya e l’avvento dei Toltechi e dei
Messicani – popoli che si presentano connotati da una minore
spiritualità e più legati alle pratiche guerresche –, il declino
della religione, esplicitamente attaccata dai nuovi costumi
intellettuali del tempo, porta con sé un’irrimediabile decadenza
del mito, che è parte integrante della storia religiosa. Ma
nonostante questo venire meno del suo significato più autentico, il
fascino del mito permane e si prolunga anche oltre i confini
cronologici dell’invasione messicana prima, spagnola poi. Benché
in parte obliati per l’arrivo di queste genti, i personaggi e le
vicende del mito continuarono a essere sentiti nell’intimo dei Maya
come parte integrante della loro storia e identità, cercando non
solo di non dimenticarli, ma anche di proteggerli dai costumi e dalla
religione cristiana. E se in gran parte i mesoamericani hanno perso
molto del loro mondo spirituale, sostituito dal Cristianesimo, è pur
vero innegabile che molti sciamani a tutt’oggi operano per il
mantenimento del culto antico, e praticano ancora le magie ataviche.
Le
due tradizioni, maya e cristiana, si sono pertanto amalgamate,
originando un particolare sincretismo.
Il Popol Vuh:
la prima parte
Gli
autori del Popol Vuh
iniziano il racconto situandolo in un mondo in cui non vi è nulla,
se non un cielo vuoto sopra e un mare calmo sotto. L’azione prende
il via quando alle divinità che risiedono nel mare primordiale,
chiamate Creatore,
Modellatore,
Portatore, Genitore,
Cuore del lago, Cuore
del mare, Sovrano
Serpente Piumato, si uniscono le divinità
che discendono dal cielo primordiale, dette Cuore
del cielo, Cuore della
terra, Fulmine
neonato, Fulmine
Improvviso e Uragano.4
Questi due gruppi di divinità avviano un dialogo, per via del quale
si ha l’emersione della terra dall’acqua e la nascita di piante,
animali e uomini. Cuore del Cielo
e Cuore del Mare
prendono il nome, rispettivamente, di Tepeu
e Gucumatz5.
In verità, Tepeu Gugumatz
risponde ad un principio androgino, personificazione di ciò che non
è stato ancora separato. Marcella Masconi, curatrice della collana
Atlante di Mitologia, afferma
che Tepeu Gucumatz è
“il Serpente Piumato, il dio creatore che riunisce in sé il
principio femminile e maschile, chiamato anche Kukulkan”.6
Di
particolare suggestione è il fatto che gli dei creano, come il Dio
giudaico, tramite la parola. Leggiamo infatti nel Popol
Vuh:
[…]
E poi la terra sorse a causa loro, fu semplicemente la loro parola
che la fece emergere. Per formare la terra essi dissero “terra”.
Ed essa sorse improvvisamente, proprio come una nuvola, come una
nebbia, che ora prendeva forma e distendeva [...].7
Prima
della creazione della terra però, gli autori della cosiddetta bibbia
maya sottolineano che c’era nulla cosmico:
“Non
c’è ancora una persona, un animale, un uccello, un pesce, un
granchio, un albero, una pietra, una caverna, un canyon, un prato,
una foresta. Soltanto il cielo, da solo, è lì; la faccia della
terra non è limpida. Soltanto il mare da solo è riunito sotto il
cielo; non c’è niente, assolutamente niente che sia incorporato.
Tutto è in quiete, non vi è una sola cosa che si muova. Tutto è
immobile, fermo sotto il cielo. Qualunque cosa possa esistere
semplicemente non c’è: solo la massa d’acqua, solo il mare
calmo, soltanto questo è incorporato.”8
Dopo
avere creato la terra, ebbero vita i vegetali e gli animali,9
e le divinità chiesero alle fiere di essere pregati ed adorati:
“Invocate
ora i nostri nomi, lodateci. Noi siamo vostra madre, noi siamo vostro
padre […] Parlate, invocateci, celebrate i nostri giorni. [Ma] non
fu possibile che parlassero come persone: guaivano soltanto,
schiamazzavano soltanto, urlavano soltanto”.10
Gli
dei si rendono conto quindi del fallimento di questa prima
creazione. Gli animali non sono in grado di adorare e rendere
omaggio, né di sacrificarsi per loro. Non conoscevano il valore del
sangue, che, bruciato, costituiva la linfa vitale per le divinità
creatrici e per il mantenimento dell’ordine del cosmo. E così
crearono l’uomo, ma anche qui vennero fatti più tentativi, infatti
scrive Mercedes De La Garza, che “il Popol
Vuh narra gli sforzi fatti dalle divinità
per dare forma a un cosmo armonioso”.11
Fallito il primo tentativo, così De La Garza racconta i successivi:
“al
secondo tentativo vollero creare esseri obbedienti, rispettosi,
che ci alimentino e ci sostengano12.
Fecero allora delle creature di fango, ma queste erano flaccide, si
disfacevano a contatto con l’acqua ed erano prive di intelligenza.
Nel constatare ciò gli dei li distrussero. Costernati da questi
fallimenti consultarono Xpiyacoc e Xmucane13,
il nonno e la nonna saggi, esperti nel calcolo del tempo e capaci di
vedere attraverso le diverse ere. Gli indovini consigliarono di
creare un uomo e una donna in legno; questi si moltiplicarono e la
loro progenie si sparse per le quattro direzioni della terra.
Sfortunatamente, essi erano alquanto carenti per quel che riguarda
l’intelletto, non riconoscevano i propri creatori e ignoravano
quale fosse il loro compito nel mondo”.
Questi
burattini, privi di anima, non pregavano le divinità, non
sacrificavano nulla per loro, non sostenevano e non nutrivano i loro
creatori. Vennero perciò sterminati con un grande diluvio. Solo
pochi di loro sopravvissero: i loro discendenti sono le scimmie, che
ancora oggi vivono nella giungla: animali simili all’uomo, che
appaiono, appunto, privi di anima e intelletto.
A
questo punto, gli dei tentarono un’altra creazione prima di
approdare a quella definitiva, ma gli autori del Popol Vuh rinviano
il racconto di questo episodio, rivolgendo l’attenzione alle storie
riguardanti due generazioni di divinità eroiche, le cui vittorie
rendono il cielo-terra un luogo più sicuro per gli uomini che lo
abiteranno. Si tratta di Uno Hunahpu
e Sette Hunahpu, prima
generazione di gemelli a cui seguiranno Hunahpu
e Xbalanque, generati
congiuntamente da Uno
e Sette Hunaphu.
Entrambe le generazioni praticano il gioco, diffuso in tutta la
mesoamerica, della pelota. Gioco dal senso metaforico, in quanto,
scrive Pietro Bandini, esso
“simboleggia
in generale la ribellione contro il caos: la palla che volava
nell’aria tracciando un semicerchio rappresentava per gli stessi
Maya, soprattutto, il sole, la stella ‘maschile’”.14
Nella
narrazione dapprima vengono presentati tre personaggi alquanto
spavaldi, che, con la loro superbia, creano disordine nella regione
celeste. Si tratta di Sette Macao
e dei suoi due figli Zipacna
e Terremoto. Il sole
non era ancora nato, la stella di Venere infatti non l’aveva ancora
generato, eppure Sette Macao
vantava di essere stato lui il sole per gli uomini di legno:
“io
sono grande. Il mio posto è ora più alto di quello del lavoro
umano. Io sono il loro sole e io sono la loro luce, e sono anche i
loro mesi. Così sia: la mia luce è grande. Io sono la strada e
l’appoggio per la gente, perché i miei occhi sono di metallo. I
miei denti scintillano di gioielli e di turchese; risaltano con le
loro pietre azzurre come la faccia del cielo. E questo mio naso
bianco splende in lontananza come la luna. Poiché il mio nido è di
metallo, illumina la faccia della terra. Quando io emergo dal mio
nido io sono come il sole e la luna per quelli che sono nati nella
luce deve essere così perché il mio volto arriva lontano”.15
Sette
Macao si vantava di essere il sole e la luna,
e, grazie ai suoi ornamenti, si credeva potente e uguale agli dei. La
sua sconfitta e quella dei due suoi figli ad opera della seconda
generazione di gemelli si collega con la morte degli uomini di legno,
poiché, come questi sono falsi uomini così essi altro non sono che
false divinità.
Il
Popol Vuh, quindi
interrompe la narrazione sulla nascita dell’ uomo per focalizzare
l’attenzione su altre vicende e altri personaggi. Sembra quasi che,
scrive Enrique Nalda, si sospenda il racconto dell’avvento
“della
quarta e decisiva creazione, quella del mondo attuale, rappresentante
il punto focale della storia. Tuttavia , le recenti scoperte
epigrafiche e gli studi relativi all’ astronomia, ai miti e ai
simboli religiosi maya, dimostrano che questi episodi sono
strettamente relazionati con la creazione del cosmo e l’
apparizione del sole, degli esseri umani e degli alimenti
essenziali”.16
Le
gesta narrate nella seconda e terza parte del Popol
Vuh ineriscono la fondazione di importanti
realtà astronomiche, le costellazioni più importanti e i movimenti
dei cieli. I protagonisti di esse sono divinità della matematica e
del calendario.
I
due gemelli uccidono Sette Macao
per la sua superbia di fronte a Cuore del
cielo, e lo colpiscono mentre sta consumando
il suo pasto, su un albero da frutta, rompendogli la mascella e
buttandolo a terra. Hunaphu
cerca allora di ucciderlo, ma questi, più forte, gli strappa un
braccio e si rifugia a casa, ove racconta l’episodio alla moglie
Chimalmat.17
I due gemelli escogitano uno stratagemma aiutati da Grande
Pecari Bianco e Grandi
Coati bianco18.
Fingendosi loro figli, riescono a farsi credere da Sette
Macao degli estrattori di denti, cosa che
permise di potergli togliere i denti feriti, che lo facevano
impazzire dal dolore.
“E
quando i denti di Sette Macao vennero estratti, fu solo mais bianco a
sostituirli: solo un bianco strato splendente di mais nella sua
bocca. Tutto a un tratto il suo volto si imbruttì: non sembrava più
un signore. I suoi denti vennero estratti fino all’ultimo, i
gioielli che spiccavano azzurri nella sua bocca. E nel curare gli
occhi di Sette Macao i due praticarono degli strappi intorno agli
occhi, i suoi ornamenti metallici furono tirati via fino all’ultimo.
Ancora non sentiva dolore, stava solo a guardare le sue ultime
ricchezze che lo lasciavano[…] E quando Sette Macao morì, Hunaphu
riebbe il suo braccio. E Chimalmat, la moglie di Sette Macao, morì
anch’essa”. 19
Il
mito spiega sia l’origine dei macao scarlatti, discendenti di Sette
Macao, con le mascelle rotte, senza denti e
con le guance bianche che divengono rosse quando sono eccitati; sia
la nascita delle sette stelle dell’Orsa Maggiore, mentre sua moglie
corrisponde alle stelle dell’Orsa minore. Infatti, i due coniugi,
morti per l’inganno perpetratogli, si trasformano nelle due
costellazioni.
Hunahpu
e Xbalanque sfidano
poi Zipacna, il più
anziano dei due figli di Sette Macao,
un mostro dall’aspetto di coccodrillo che afferma di essere il
creatore delle montagne. Ma prima viene presentato un episodio in cui
Zipacna incontra le
divinità delle bevande alcoliche, ossia i Quattrocento
Ragazzi. Preoccupati della grande forza di
Zipacna, i giovani lo
convincono a scavare una grande buca, nella quale hanno intenzione di
schiacciarlo facendo cadere un grande tronco sopra di lui. Zipacna
sopravvive, ma rimane nella buca fino a quando i Ragazzi
si trovano addormentati nel mezzo di una bevuta per celebrare la loro
vittoria: dopodichè, fa cadere su di essi la loro casa. A livello
celeste, i Quattrocento Ragazzi
divengono le stelle chiamate Motz,
e cioè le Pleiadi, e
la loro caduta corrisponde alla posizione di queste stelle all’
inizio della sera. A livello terrestre, le pleiadi simboleggiano una
manciata di semi, e la loro scomparsa a ovest segnala il tempo adatto
alla semina delle coltivazioni.20
Zipacna
viene sconfitto quando Hunahpu
e Xbalanque decidono
di vendicare i Quattrocento Ragazzi.
Poiché Zipacna era
rimasto per diversi giorni senza cibo, i due gemelli predispongono
una trappola costruendo un congegno somigliante ad un granchio vivo
che si muove. Dopo avere posto il granchio in uno spazio ristretto,
entro uno strapiombo ai piedi di una maestosa montagna, mostrano a
Zipacna la via
migliore per raggiungerlo. Zipacna
segue il granchio con grande bramosia, ma la montagna intera gli cade
di sopra, assumendo in tal modo un ruolo passivo.
Anche
il fratello minore di Zipacna
viene ucciso con uno stratagemma. Terremoto,
che si autodefinisce un distruttore di montagne viene invitato dai
due fratelli a mangiare un uccello, su cui era stato operato un
incantesimo. Proprio come l’animale fu cucinato dentro uno strato
di terra, così Terremoto
finirà coperto dalla terra, assumendo anche lui un ruolo passivo.21
I due gemelli lo seppelliranno a est, in posizione opposta rispetto
al fratello più anziano, che, a causa dell’ uccisione dei
Quattrocento Ragazzi
viene associato all’ovest. I tre episodi narrati fondano una realtà
astronomica ben precisa: Sette Macao,
in quanto Orsa Maggiore è a Nord, vicino all’asse del movimento
notturno, mentre i figli muovono la terra da ovest a est. Quindi
sebbene il padre e i figli muoiono e perdono il loro potere,
mantengono un ruolo cosmico ben preciso, che permette il corretto
funzionamento del calendario.
Scongiurato
il pericolo costituito dal falso sole e dalla falsa luna, che
minacciava di turbare l’armonia della regione celeste, la
narrazione si interrompe nuovamente, tornando indietro nel tempo per
parlare dei genitori dei gemelli. Da sottolineare è il fatto che i
tre pseudo-dei vengono uccisi per la loro superbia, per il fatto che
non accettavano le divinità creatrici, e anzi, vantando i propri
poteri, non rendevano omaggio a Cuore del
Cielo e Cuore della
Terra. Siffatto comportamento poteva
rivelarsi dannoso per la creazione, giacché le divinità non nutrite
potevano indebolirsi e pertanto non riuscire ad ottemperare al loro
compito: mantenere l’armonia di qella creazione cui essi avevano
dato origine. L’ uomo maya ha, quindi, reso questo concetto sotto
forma di mito, come motivo del fatto che ogni uomo deve essere grato
alle divinità del creato. Il culto ai signori creatori non può
pertanto essere eluso, poiché essi sacrificano se stessi per il
mantenimento del Cielo-Terra,
e, dunque, l’uomo ha il dovere di rendere, almeno in parte, quello
che gli è stato donato: la vita degli uomini per la vita degli dei a
beneficio di tutta la comunità. Questa regola perchè il mondo
continui ad esistere, non può essere trascurata. I
Quattrocento Ragazzi,
signori dell’alcol, muoiono perché storditi dal troppo bere; in
questo fatto vediamo la condanna all’ubriacatezza e alle bevande
alcoliche, che i Maya bevevano solo allo scopo di comunicare con le
divinità, durante i riti sciamanici o per stordire la vittima
sacrificale, in maniera che quest’ultima conservasse un
comportamento degno di fronte agli dei al momento della sua
uccisione. I Maya ritenevano, infatti, che un comportamento non
decoroso da parte della vittima prescelta potesse infastidire gli dei
a tal punto da non realizzare i desideri degli umani. La condanna
dell’alcol è in forte contrasto con i nuovi usi dei Maya, i quali
oggi sono grandi bevitori. L’usanza del bere fino all’ebbrezza
estrema fu da loro assunta in seguito alla conquista spagnola.
Il Popol Vuh:
la terza parte
La
terza parte del Popol Vuh
tratta del padre e dello zio della coppia divina: i due gemelli Uno
Hunaphu e Sette
Hunaphu, i primi ad aiutare gli dei creatori
nel dare origine alla prima età del mondo. Prima di generare i due
divini gemelli, Uno Hunaphu
ebbe altri due figli con la moglie Donna
Egretta, e cioè Uno
scimmia e Uno
Artigiano. Questi, narra il libro sacro maya,
“divennero
flautisti, cantori e scriba; incisori, lavoratori di giada e
lavoratori di metallo”.22
I
genitori di Uno Hunaphu e Sette Hunaphu sono Xpiyacoc e Xmucanè.
Scrive il popol vuh:
“nell’
oscurità, nella notte, Uno Hunapuh e Sette Hunaphu furono generati
da Xpiyacoc e Xmucane.23
Uno
e Sette Hunahpu,
racconta la bibbia maya, non facevano altro che
“tirare
a dadi e giocare a palla, ogni giorno. […].Poiché giocavano sulla
strada di Xibalba, essi furono uditi da Uno Morte e Sette Morte, i
signori di Xibalba”.24
Quest’ultimi
sono i massimi signori degli inferi, che governano su tutte le altre
divinità dell’ infraregno. Scrive a questo proposito il Popol
Vuh:
“[le
grandi divinità dell’Infraregno] sono dei grandi legislatori. E
questi sono i signori sopra ogni cosa, ciascun signore con un
incarico e un dominio assegnati da Uno e Sette morte. Ci sono i
signori detti Strappatore di Croste e Raccoglitori di Sangue. E
questo è il loro incarico: estrarre sangue dalla gente. I successivi
sono i Signori Demone del Pus e Demone dell’ itterizia. E questo è
il loro potere: far gonfiare la gente, far uscire il pus dalle gambe,
far diventare gialle le loro facce, causare l’ itterizia, come è
chiamata. Questo è il potere di Demone del Pus e Demone dell’
Itterizia. I successivi sono i signori Scettro d’Osso e Scettro di
Teschio, portatori del bastone di Xibalba; i loro bastoni sono
semplicemente ossa. E questo è il significato del loro portare il
bastone: ridurre la gente a ossa, proprio a ossa e teschi, finchè
muoiono di consunzione e di edema[…] I successivi sono i signori
chiamati Demone della Sporcizia e Demone della Disgrazia. Questo è
il loro incarico: spaventare improvvisamente la gente quando ha
immondizia o sporcizia all’ entrata di casa, sul patio della casa.
Allora vengono colpiti, punti fino a che strisciano sul pavimento e
poi muoiono[…]”.25
Scrive
Peter Schmidt:
“la
discesa dei gemelli nelle profondità del mondo sotterraneo
[descritta nel Popol Vuh] dà l’opportunità di descrivere
questa regione ancora ignota, che si presenta come un luogo
acquitrinoso, dove predominano oscurità e freddo”.26
Il
gioco di Uno e Sette
Hunapuh disturba i signori di Xibalba,
che non gradiscono sentire rumore nel loro dominio sotterraneo. Uno
e Sette Morte
decidono, allora, di sfidare i due gemelli al gioco della pelota nel
campo di Xibalba,
situato nella parte occidentale del mondo degli inferi. I due signori
del mondo sotterraneo mandano come messaggeri dei mostruosi gufi. I
due fratelli lasciano Uno Scimmia
e Uno Artigiano a
prendersi cura di Xmucane,
e, seguono i gufi fino al confine orientale.
Le
vicende che verrano ora narrate acquisiscono grande rilievo, poiché
i figli di Xmucane
personificano, afferma Pietro Bandini,27
i primi inizi dell’ordine maschile della matematica e del
calendario, che scalzerà il potere femminile delle divinità
originarie e naturali. Xmucane
è la vecchia divinità della luna, la stella di Venere, dal cui seno
nasce il sole; il marito di lei è da identificare con il sole. La
lotta che si viene ad istaurare è la lotta tra le vecchie divinità
e le nuove divinità, tra un ordine matriarcale e un nuovo sistema
patriarcale, e, sebbene non venga detto espressamente, la vecchia dea
Xmucane è, come
sottolinea Pietro Bandini,
“alleata
con gli dei degli inferi: come in tutti i miti di questa prima fase,
nascita e morte-dei della fertilità e dei della morte-sono uniti nel
segno del ciclo arcaico del divenire e del morire”.28
La
lotta dei figli contro i signori di Xibalba
si indirizza anche (sebbene segretamente) contro la progenitrice
Xmucane. In termini più chiari, è la lotta
tra il vecchio sistema e il nuovo, tra l’ordine matriarcale e
quello patriarcale. È da precisare che la separazione dei due
fratelli dalla madre rappresenta, a nostro parere, la ribellione al
sistema arcaico e l’instaurazione di un principio maschile;
propriamente, vi è come l’emergere della coscienza dell’io e
della individuazione. A sostegno di questa nostra tesi vi è il fatto
che i due signori della morte sfidano i due giovani al gioco della
palla. La sacralità di tale gioco è del tutto assodata, tanto che
tutti i popoli mesoamericani la praticavano; esso perse di importanza
solo dopo la conquista messicana, con la quale, per un processo di
secolarizzazione, divenne motivo di mero divertimento e di scommessa
su quale eventuale squadra avesse vinto durante la gara. A quanto
pare si scommetteva anche forte. Il gioco della pelota simboleggia,
dunque, in tutta la parte centrale dell’ America la ribellione
contro l’ ordine arcaico.
Il
ciclo di miti costituisce una sorta di discorso preparatorio
all’ultima creazione: quella dell’ uomo di mais. Xmucane
personifica il sistema arcaico, ossia lo stato di ciò che ancora non
è razionale e separato. A chiarimento di questo, Pietro Bandini
scrive che la dea Xmucane
realizza la prima fase dell’ infanzia, in cui il singolo uomo, così
come l’umanità nel suo complesso, si percepisce come una cosa sola
con il principio materno.29
Il sistema arcaico andava combattuto affinché l’umanità
preponesse prendere coscienza di sé. Uno
e Sette Hunapuh come
vedremo, non riusciranno ancora nell’impresa. La lotta è quindi
tra il principio generante (femminile) e il principio organizzativo
(maschile). Quest’ultimo usa le proprie energie per strutturare
razionalmente il cosmo, organizzando il tempo e i cicli del
calendario. L’ordine maschile fonda un organismo ben preciso di
astri, i quali vengono organizzati in modo da avere delle traiettorie
che assicurino il perpetuo agire dei cicli ritmici. Questo sistema
razionale assicura fertilità e ri-generazione della terra con
l’alternarsi delle quattro stagioni. Il calendario, ferrea
registrazione dell’ evoluzione degli astri, è quindi il mezzo per
potere conoscere tale ordine. Conoscere la successione dei mesi
significava per i Maya comprendere la vita e le sue imperiture
regole. La scienza è pertanto una scienza sacra per eccellenza e
permette all’uomo di potere interagire con il divino. L’indio,
studiando i cicli, poteva dedicare culto alle varie divinità che di
volta in volta presiedevano una stagione, evitando in tal modo la
sempre possibile catastrofe.
Gli
dei degli inferi sfidarono i gemelli per impadronirsi del loro
equipaggiamento da gioco. Tale desiderio ha un forte significato
simbolico: come detto, il gioco della palla simboleggia la ribellione
all’ ordine arcaico, e l’equipaggiamento dei due fratelli
rappresenta la liberazione maschile dal matriarcato.
Uno
e Sette Hunapuh
superano le trappole incontrate durante il cammino, e giungendo
infine ad un crocevia, ove ognuna delle quattro strade ha un colore
diverso, che corrisponde alle diverse direzioni. Essi scelgono la
strada nera, che, a livello terrestre, indica la strada per gli
Inferi, nonchè il cammino del sole che ogni giorno si alza a est e
viaggia verso ovest, per inabissarsi negli inferi.30
Da
questo momento il testo, scrive Mercedes De la Garza,31
“dice
che i due gemelli vennero vinti dai signori di Xibalba, poiché
caddero irrimediabilmente nelle trappole che questi tesero loro. Ogni
incontro con i signori di Xibalbà si trasforma così in umiliazione
e sconfitta per i gemelli. In seguito essi vengono rinchiusi nella
casa Oscura per passarvi la notte e per fare luce vengono loro
forniti una stecca di ocote e un sigaro, con la condizione che questi
vengano restituiti intatti il giorno seguente. I due non superano la
prova e i signori di Xibalba decidono di sacrificarli”.
Narra
il Popol Vuh:
“[i
gemelli] furono seppelliti nel Luogo del Sacrificio del Gioco della
Palla [ situato a ovest]32,
come viene chiamato. La testa di Uno Hunapuh fu tagliata: solo il suo
corpo fu seppellito insieme al fratello più giovane”.33
In
seguito, le divinità del mondo sotterraneo ordinano di collocare la
testa di Uno Hunahpu
su un albero che non aveva mai dato frutti. Inaspettatamente
l’albero, dopo avere ricevuto la testa sui suoi rami, iniziò a
fruttificare.
Michael
Coe chiarisce riguardo a Uno Hunahpu che
“ricerche
iconografiche condotte da Karl Taube hanno dimostrato trattarsi di
null’ altri che del dio del mais; la sua testa staccata
simboleggiava la pannocchia staccata dallo stelo, e il seme di mais
piantato sotto la superficie risorgeva da Xibalba per fruttificare
sui campi del mondo umano”.34
Luna
di Sangue, Ixquic,
figlia di un signore degli inferi chiamato Raccoglitore
di Sangue, si reca con grande stupore a
vedere l’ albero. Il teschio di Uno Hunaphu,
animato dal fratello, chiede alla ragazza di stendere, verso di esso,
la sua mano destra, così da poterla vedere.35
La
fanciulla, quindi allunga la mano destra fin davanti al cranio.
Quest’ultimo sputa la sua saliva, che cade in pieno sulla mano
della ragazza.”36
Ricevuto
questo segno, la giovane rimase incinta. Dopo sei lune, il padre di
lei si accorse che la figlia è gravida, per cui le chiede chi ne era
il responsabile. Ella risponde che
“
non vi è uomo di cui abbia conosciuto il volto”,37
cosa
che letteralmente è vera. Il padre, credendo che la figlia si
prostituisse, ordina ai gufi di strapparle il cuore e di portarglielo
in una ciotola: armati del Pugnale Bianco, lo strumento del
sacrificio, essi la portano via. La ragazza riesce però a
convincerli di risparmiarla, e prepara un sostituto del cuore
ottenuto da un nodulo solidificato dell’albero di croton, che i
signori degli inferi credettero il cuore di lei.
Bruciato
il finto cuore, questi rimangono estasiati dall’odore; nel
frattempo i gufi indicano la via a Ixquic
per raggiungere la superficie della terra. In conseguenza adi questo
episodio, scrive Tennis Tedlock che
“i
signori di Xibalba ricevono offerte di fumo fatte di linfa di croton
piuttosto che di sangue e cuore umani”.38
Prima
di continuare la narrazione, è bene chiarire che Ixquic
è la giovane dea della luna. Scrive Pietro Bandini, a tal
proposito, che Ixquic
è
“colei
che è destinata a succedere a Ixmucane, i cui giorni di illimitato
potere sono contati come quelli dei signori di Xibalba”.39
A
livello astronomico, Luna di Sangue
corrisponde alla Luna che nasce ad ovest al calare della notte, nella
stessa direzione in cui ella apparve davanti al teschio del Luogo
del Sacrificio del Gioco
della palla quando rimase incinta.
Una
volta uscita dal mondo sotterraneo, Luna di
Sangue si reca da Xmucane
affermano di essere sua nuora, ma Xmucane
non crede che ella possa essere la madre dei suoi nipoti. Così, la
sottopone ad una prova, mandandola a riempire una rete di pannocchie
di mais dal campo di Uno Scimmia e
Uno Artigiano. Luna
di Sangue trova lì solo un cespuglio di
piante di mais, ma riempie una intera rete di pannocchie strappando
le barbe di una sola. Di fronte a tale fatto, e dopo essersi
accertata dell’ impronta della rete di trasporto lasciata da Luna
di Sangue, la dea Xmucane
non può negare l’evidenza: quella donna è la madre dei suoi
nipoti.
Quindi
narra il Popol Vuh: “allora arrivò il giorno della loro nascita, e
la fanciulla chiamata Xquic dette alla luce i figli. La nonna non era
presente quando nacquero; nacquero all’improvviso. Ne nacquero due,
chiamati Hunahpu e Xbalanque. Nacquero nelle montagne e poi
arrivarono nella casa. E poiché non dormivano.”40
“Buttali
fuori di qui! Sono veramente degli urlatori.” Disse la donna.41
Il
passo mostra l’avversità della vecchia Xmucane
verso la nuora, e se prima l’alleanza con le divinità degli inferi
era velata, ora appare chiara con la sua richiesta di abbandono dei
due nipoti, che, come la dea sa, minacceranno l’ordine arcaico.
L’episodio del raccolto del mais per mezzo di una rete ha un forte
significato metaforico, poiché il Pauahtun
è il ricettacolo di tutto il cosmo, che si estende in tutte e
quattro le direzioni del cosmo.42
Rete è infine uno dei
venti nomi del giorno che formano un mese maya. Il fatto di saperla
usare indica che Xquic
sa leggere il calendario maya e conosce i segreti del tempo, elemento
che rivela il suo futuro posto di dea della Luna.
I
due gemelli si vedono rendere la vita difficile sia dalla nonna che
dai due fratellastri, ma non si lamentano mai e anzi si divertono ad
andare ogni giorno a caccia di uccelli con le loro cerbottane. Un
giorno, però, quando la vecchia dea li insulta ferocemente per
l’ennesima volta, i gemelli decisero di sbarazzarsi dei fratelli
maggiori.
“Rivolteremo
il loro stesso essere”43,
con
queste parole decisero di uccider Uno Scimmia e Uno Artigiano. Parole
che, secondo un’ altra traduzione dello stesso passo, suonano come
“Noi
porremo fine a questo vivere per il ventre”.44
Con
tale espressione i due ripudiano sia i maltrattamenti della nonna e
dei fratelli, sia, ancor più, il mondo delle madri.
I
fratellastri vengono sconfitti con un semplice stratagemma: sono
mandati su un albero a prendere degli uccelli che, dopo essere stati
colpiti non erano caduti a terra. L’albero era stato fatto crescere
abbastanza da non permettere loro di scendere. I due vengono poi
trasformati in scimmia. Afferma Pietro Bandini che
“Nonostante
queste creature fossero considerate prive di intelletto, il mito le
eleva entrambe al rango di divinità fondatrici e protettrici delle
arti, comprese la poesia e l’ arte degli scribi”.45
Noi,
tuttavia, non siamo d’accordo con questo studioso, poiché
riteniamo che sia necessario prendere in considerazione due fatti di
rilevante importanza:
1)
Come afferma Tennis Tedlock queste divinità molto probabilmente
compiono il loro primo viaggio attraverso il cielo durante l’era
degli uomini di legno, che furono i primi esseri terrestri a creare e
usare strumenti, e che si trasformarono anch’essi in scimmie.46
2)
La loro trasformazione in scimmie si inserisce, a nostro avviso,
perfettamente nella dinamica del mito, poiché i due gemelli non
riuscirono a raggiungere l’indipendenza dalla nonna, e, rimasti un
tutt’uno con il ventre materno, non sono prototipi della vera
umanità che a breve comparirà sul mondo successivamente. Quindi
così come i burattini non sono veri uomini, allo stesso modo non lo
sono Uno Scimmia e
Uno Artigiano.
La
dea Xmucane, saputo
l’accaduto, si adira: i due gemelli divini, allora, fanno ritornare
i due con la musica del loro flauto. La vecchia, alla vista delle due
scimmie, così ridicole, ride, talchè i due fuggono per sempre
arrampicandosi sugli alberi.
Uno
Scimmia e Uno
Artigiano corrispondono al pianeta Marte, il
cui periodo è calcolato da quel giorno, e il loro ritorno temporaneo
alla casa di Xmucane
corrisponde, invece, al moto retrogrado di Marte.
Sbarazzatisi
dei loro fratellastri Hunahpu e
Xbalanque decidono di liberare dalla
vegetazione un appezzamento di terra per poter coltivare un campo,
ma, quando ogni mattina tornano nel luogo in precedenza lavorato,
trovano che la foresta lo ha ricoperto nuovamente. Incuriositi questo
fatto, una notte decidono di nascondersi vicino a quel posto,
scoprendo così che gli animali della foresta fanno ricomparire le
piante eliminate. Hunahpu
e Xbalanque tentano di
catturare questi animali, ma sia il puma, il giaguaro, il coniglio e
il cervo fuggono (di quest’ultimi animali i due gemelli prendono le
code). Riescono però a catturare il ratto.
Questo
episodio spiegherebbe, scrive Marcella Masconi,47
sia perché il coniglio e il cervo non hanno coda, sia perché il
topo, ancora oggi, ha gli occhi fuori dalle orbite e la coda priva di
peli. Il Popol Vuh
racconta infatti che:
“Erano
talmente arrabbiati che tentarono di strozzarlo e gli bruciarono la
coda sul fuoco”.48
In
cambio di una parte di provviste di mais, il ratto rivela ai gemelli
che Uno e Sette
Hunahpu hanno lasciato un’attrezzatura per
il gioco della palla appesa alle travi della loro casa, e si offre di
aiutarli a tirarla giù. Il giorno dopo, Hunahpu
e Xbalanque fanno in
modo di mandare Xmucane
fuori di casa, dicendo che lo stufato con peperoncino ha messo loro
molta sete; Xmucane
allora va a prendere l’acqua ma viene trattenuta da una falla che
si apre nella brocca. Poi, quando Ixquic
va a vedere perché la suocera ritarda, il ratto taglia le corde che
tengono appese gli attrezzi per il gioco della palla, e i gemelli ne
prendono possesso.
L’allontanamento
della donna chiarisce il fatto che la battaglia per eliminare
l’ordine arcaico è iniziata nuovamente, e l’attrezzatura trovata
dai due eroi divini ne è la prova.
I
due episodi (coltivazione del campo e allontanamento della nonna) non
sono casuali. Entrambi avvertono il fatto che il principio maschile
si rimette in gioco. I due episodi sono anzi strettamente connessi:
la coltivazione del mais e gli attrezzi per il gioco della pelota,
simbolizzano il cosmo strutturato razionalmente. Per i Maya esisteva
una forte contrapposizione tra il campo di mais (simbolo, con la sua
forma quadrata del cielo e di tutte le precise traiettorie degli
astri) “lavorato” dall’uomo, e la foresta. Essa, non essendo
“lavorata” sintetizzava, con la sua voracità, le forze del caos
e di tutto ciò che non è ancora ordinato e separato. La
coltivazione del mais presuppone inoltre la ciclicità stagionale
necessaria per la maturazione delle pannocchie. Si inserisce
pertanto tutto un discorso che avverte della formazione del sistema
calendaristico e di tute quelle divinità astronomiche che lo
presiedono. La dea Xmucane
inoltre viene a configurarsi come la Grande
Dea Madre paleolitica. La nonna dei gemelli,
colei che plasmerà l’uomo dall’impasto di mais, altro non è che
una rielaborazione della Dea Madre: divinità dai mille volti che
ritroviamo in tutte le culture pre-agricole del mondo.
Quando Hunahpu
e Xpalanque cominciano
a giocare a palla, disturbano i Signori degli inferi che, ancora una
volta, inviano una loro convocazione a Xmucane,
dicendole che i gemelli devono presentarsi entro sette giorni. Ella
invia un pidocchio a riferire il messaggio ai suoi nipoti, ma il
pidocchio viene inghiottito da un rospo, il rospo da un serpente e il
serpente, a sua volta, da un falco.
Il
falco, giunto al campo della palla, viene colpito in un occhio dai
due gemelli, i quali si premurano di curarlo con un pezzetto di
gomma preso dalla palla stessa. Ed ecco il motivo per cui questo tipo
di falco (falco ridente) ha oggi una macchia di piume nere intorno
all’occhio. Il falco vomita il serpente, che vomita il rospo, il
quale contiene il pidocchio nella sua bocca. Quest’ultimo riferisce
il messaggio di Xmucane.
Dopo essere stati convocati nel mondo sotterraneo, Hunahpu
e Xbalanque
si congedano dalla nonna e, nel salutarla, gettano le basi di un
rituale tutt’ora in uso presso i maya quiquè. Queste furono le
istruzioni data alla donna:
“Noi
seguiamo la nostra strada, cara nonna. Siamo qui solo per darti
istruzioni. Così ecco il segno della nostra parola. La lasceremo a
te. Ognuno di noi pianterà una pannocchia di mais verde. La
pianteremo al centro della casa. quando il mais si seccherà, sarà
il segno della nostra morte: forse siamo morti, dirai, quando si
secca. E quando arriveranno i germogli: forse sono vivi dirai, nostra
cara nonna e madre. Da ora in poi, questo è il segno della nostra
parola. Noi la lasceremo presso di te ’ dissero, poi andarono via
”.49
Questo
rituale ha una doppia valenza: una astronomica ed una spirituale.
Sulla prima ci informa lo studioso Tennis Tedlock50:
i gemelli, dopo aver piantato le pannocchie di mais in quel giorno,
arriveranno a Xibalba sette giorni più tardi, e cioè nel giorno
detto Hunahpu. Questo
quadra perfettamente con il ciclo maya di Venere: il sorgere di
Venere come stella del mattino nel giorno detto Rete
corrisponde all’apparire dei due gemelli divini sulla terra. La
successiva discesa di Venere, nel mondo sotterraneo, cadrà sempre
nel giorno detto Hunahpu.
In
senso spirituale questo rituale ci sembra introdurre, il tema
dell’indissolubile legame tra la vita e la morte, di cui il mais
con il suo ciclo di morte e rinascita è sintesi e metafora. Il
rituale presenta un tema sempre caro ai Maya, e cioè l’unità
degli opposti; unità, in questo caso, di vita e di morte. Il ciclo
dell’esistere non può, infatti, esserci senza uno dei due vettori.
Morte e vita sono elementi che si fondono a vicenda: due aspetti e
momenti dello stesso sistema. I Maya giunsero ad elevare il
sacrificio a fondamentale ed essenziale vettore motrice della vita e
del cosmo.
Il
rituale dei gemelli si connette anche con le vicende che seguiranno,
le quali segneranno il tramonto dell’ordine arcaico e il sorgere
del nuovo ordine patriarcale. Non è un caso che il rituale sia stato
tramandato, dai due eroi divini, alla vecchia nonna. Questa,
infatti, simbolizza l’ordine matriarcale che sta per soccombere per
dare spazio al nuovo.
Hunahpu
e Xbalanque
percorrono la strada per Xibalba
seguendo le orme dei loro padri. Dopo essere giunti al Crocevia,51
inviano a precederli una spia, una zanzara, per conoscere i nomi dei
signori. Essa punge a turno ognuno di loro: i primi due si rivelano
dei manichini, dal momento che non emettono suoni, ma gli altri, nel
lamentarsi di essere stati punti, si rivolgono l’un l’altro per
nome, in ordine progressivo. Quando i gemelli arrivano davanti ai
signori, essi non prendono in considerazione, diversamente dai loro
padri, i manichini, ma si rivolgono, correttamente, a ciascuno dei
signori, chiamandoli per nome. Rifiutano di sedersi sul seggio
ardente e, quando viene dato loro la torcia e i due sigari da tenere
accesi tutta la notte, imbrogliano le divinità fingendo che una coda
di macao fosse il bagliore della torcia e mettendo delle lucciole
sulle punte dei sigari. L’indomani, i due eroi giocano con i due
demoni Uno e
Sette morte e si danno per vinti.
In
seguito, i due divini fratelli sopravvivono ai pernottamenti nella
Casa del Freddo, piena
di correnti e di grandine; nella Casa del
Giaguaro, piena di giaguari urlanti ed
affamati; e in una casa piena di fuoco. Dopo questi orrori, segue la
Casa dei Pipistrelli,
piena di pipistrelli che svolazzano urlando, dove i due gemelli
trascorrono la notte stipati nelle loro cerbottana.
Riteniamo
a questo punto necessario interrompere la narrazione, per dare spazio
ad alcune considerazioni. Le quattro case sono sintesi delle
caratteristiche di Xibalba, infatti i Maya concepivano gli inferi
come un luogo dal clima estremo: un luogo freddo e umido. Il giaguaro
è portatore di un significato di cui già abbiamo parlato, basta qui
dire che per via delle sue macchie nere era associato alla morte e
agli inferi. Il pipistrello, animale totemico, è una delle
rappresentazioni, nell’iconografia architettonica, dell’infraregno.
Quando Hunahbu sbircia
sporgendo la testa fuori dalla cerbottana, uno dei pipistrelli gli
stacca la testa con un morso. Il capo finisce, rotolando, sul campo
da gioco di Xibalba,
ma Xbalanque fornisce
al fratello una protesi temporanea, ricavata da una zucca scolpita.
Mentre viene eseguito il trapianto di testa, il cielo orientale
diviene rosso per via dell’alba, segno che il tempo del sole (che
ancora non è sorto) si va facendo più vicino. I gemelli si mettono,
quindi, a giocare con gli dei degli inferi, e Xbalanque,
recuperata la testa, la mette sulle spalle di Hunahpu.
La zucca, che viene messa in gioco, si lacera e sparge i semi sul
campo, rivelando ai signori di Xibalba
che sono stati beffati. Finalmente, siamo di fronte all’ultimo
degli episodi che prefigura i cicli di Venere e prepara la strada per
il primo sorgere del sole. I gemelli, rendendosi conto che
l’unico proposito delle divinità è quello di ucciderli, fingono
di sacrificarsi in un rogo, per rinascere miracolosamente più tardi.
Rinascendo, adottano le sembianze di due poveri che si guadagnano da
vivere danzando e compiendo prodigi di ogni sorta. Ciò che stupisce
gli abitanti di Xibalba
è la scena in cui i due gemelli si uccidono l’un l’altro, per
resuscitare subito dopo. La notizia di questi fatti incredibili
giunge alle orecchie dei signori di Xibalba,
che li chiamano perché recitino per loro. Meravigliati, essi
assistono alle azioni trasformiste dei gemelli, al momento del
sacrificio reciproco e alla loro gloriosa rinascita. Entusiasti,
chiedono ai gemelli di fare lo stesso con loro. I gemelli eseguono il
sacrificio, ma non li resuscitano più. Quindi, rivelano agli
abitanti di Xibalba la
propria identità e si proclamano vendicatori del padre e dello zio,
sacrificati dai sovrani del mondo sotterraneo. Il rilevare la
propria identità metaforizza, secondo noi, la presa di coscienza della propria identità da parte dell’umanità, l’abbattimento dell’ordine arcaico e la fine del sistema matriarcale. La separazione dal
ventre materno è finalmente avvenuta. il ventre materno è simboleggiato in Xmucane, che, come la dea Gaia del Pantheon preolimpico, è una divinità femminile che personifica una umanità ancora non matura52.
propria identità metaforizza, secondo noi, la presa di coscienza della propria identità da parte dell’umanità, l’abbattimento dell’ordine arcaico e la fine del sistema matriarcale. La separazione dal
ventre materno è finalmente avvenuta. il ventre materno è simboleggiato in Xmucane, che, come la dea Gaia del Pantheon preolimpico, è una divinità femminile che personifica una umanità ancora non matura52.
Volendo
rendere il concetto più chiaro, possiamo paragonare
l’umanità, in questo prima sistema arcaico, ad un uomo che nella
sua infanzia, non riconoscendo ancora il suo essere, si sente un
tutt’uno con il ventre materno. Il cammino dei gemelli è il
cammino verso la libertà, verso la scoperta delle proprie
potenzialità, verso l’autoemancipazione..
Essi
dichiarano:
“‘ascoltate:
riveleremo i nostri nomi e riveleremo anche i nomi dei nostri padri
di fronte a voi. Eccoci qui: siamo il piccolo Hunahpu e Xbalanque. E
questi sono i nostri padri, quelli che avete ucciso: Uno Hunahpu e
Sette Hunahpu. E noi siamo qui per liberare la strada dai tormenti e
dai pericoli dei nostri padri. E per questo abbiamo subito tutti i
tormenti che ci avete causato. E così metteremo fine a tutti voi. Vi
uccideremo. Nessuno può salvarvi ormai’, fu detto loro. E allora
tutti quelli di Xibalba si prosternarono ed acclamarono:
‘abbiate
pietà di noi, Hunahpu e Xbalanque! E’ vero che abbiamo fatto torto
ai vostri padri, quelli che avete nominato. Tutti e due sono sepolti
presso il Luogo del Sacrificio del Gioco della Palla’, risposero.
‘molto
bene. Ora, questa è la nostra parola, ve la riveleremo. Tutti voi,
ascoltate, voi di Xibalba: a causa di questo il vostro giorno e la
vostra discendenza non saranno grandi. Inoltre, i doni che riceverete
non saranno più grandi ma saranno ridotti a noduli fibrosi di linfa.
Non vi sarà per voi sangue accuratamente assorbito, ma solo zucche,
solo piastre infuocate, solo cose fragili fatte a pezzi. Inoltre, voi
non vi nutrirete che delle creature dei prati e delle radure. Nessuno
di coloro che nascono nella luce, generati nella luce, sarà vostro.
Saranno i colpevoli, i violenti, i disgraziati, gli afflitti.
Dovunque la colpa sia chiara, subentrerete voi, invece che compiere
attacchi improvvisi su chiunque capiti. E ascolterete suppliche sulla
linfa rappresa,’ fu detto a tutti quelli di Xibalba”.53
Quindi
da tale momento in poi, come chiarisce Dennis,
“ le
offerte ricevute dai signori di Xibalba saranno limitate a fumo fatto
di linfa di croton e ad animali, e[…]i signori di Xibalba
limiteranno i loro attacchi solo agli uomini con debolezze e colpe”.54
Afferma
Pietro Bandini che l’uccisione dei due signori della morte fu
“la
causa della sconfitta di tutta la schiera dei vecchi dei, sconfitta
che ne incrinò per sempre il potere e lo splendore”.55
Mercedes
De La Garza sostiene:
“vincendo
le potenze del mondo sotterraneo, il cui appetito smisurato consumava
gli esseri viventi, le piante e gli astri, i Divini Gemelli pongono
un freno alla forza distruttiva di queste”.56
Successivamente,
Hunahpu e
Xbalanque si recano sul luogo dove giacciono
i resti dei loro parenti, ma ogni sforzo per riportarli in vita
risulta vano. In ambito celeste, la visita di Hunahpu
e Xbalanque
alla tomba di Sette Hunahpu, segna, come scrive Dennis Tedlock57,
il ritorno di un intero giro dei cicli di Venere.
Quanto
ai due gemelli, essi risorgono nelle vesti del sole e della luna.
Riportiamo,
aquesto proposito, il brano del Popol Vuh:
“E
poi i due ragazzi ascesero […] qui nel centro della luce, e il sole
appartiene all’uno e la luna all’altro. Quando si fece chiaro nel
cielo, sulla faccia della terra, essi erano lì nel cielo”.58
Chiariamo
il fatto che il gemello che diventa la luna deve essere inteso
specificatamente come la luna piena, mentre Luna di Sangue, Xquic, la
madre, deve essere intesa come equivalente alle altri fasi di luna.59
Il Popol Vuh:
introduzione alla quarta parte.
Il
dono degli dei: il mais
Dio
che sei il mio avo e la mia ava, Dio dei monti e delle valli, Dio
santo, ti faccio di tutto cuore la mia offerta. Sii paziente con me e
con le mie azioni, mio vero Dio e Beata Vergine. È indispensabile
che tu mi renda in un bel raccolto tutta la semente che spargo qui
dove ho il mio lavoro, il mio campo. Sorveglialo e proteggilo per me,
che niente di male gli accada da quando semino a quando raccoglierò.60
Questa
preghiera cristiana, recitata dai Maya prima della coltivazione del
mais, dimostra l’importanza e la sacralità che tutt’ora circonda
questa pianta per i mesoamericani. Un frate, più di duecento anni
fa, riassunse così il sentimento e il comportamento dei Maya degli
altipiani di fronte al granoturco:
“Da
tutto ciò che fanno o dicono in relazione al mais si capisce che per
loro è quasi un dio. Guardano il loro campo con un tale rapimento
estatico, da farvi capire che per esso possono dimenticare figli,
moglie e ogni altro legame o interesse: come se il campo fosse lo
scopo finale della loro vita, la fonte della loro unica felicità”.
61
La
descrizione è molto felice fuorché per un particolare, come fa
notare, peraltro, Eric Thompson62:
“i
Maya e in genere gli indios non trattavano il mais come se fosse un
dio: per loro era un dio. Ma avevano buona cura di non farlo sapere
ai frati”.
I
Maya, sebbene oggi cristiani, non hanno perso il culto per il mais, e
tutt’ora gli attribuiscono un’ importanza fondamentale.
L’importanza
attribuita a questa pianta ha motivazioni ben precise. Essa
costituiva, come più volte abbiamo accennato, la base della dieta
maya; e un buon raccolto era motivo di immensa felicità per
l’indios. Nel caso di cattivo raccolto, il mesoamericano doveva
fare i conti con la fame. La sacralità di questa pianta nasce dal
ruolo centrale che essa riveste nell’ambito del sistema economico
maya. Scrive, a tal proposito, Wilhelmy:
“Il
mais come certa base alimentare di un popolo sedentario ebbe nello
sviluppo culturale del Centro America la stessa importanza avuta dal
riso nei paesi monsonici dell’ Asia, la cui coltivazione in campi
umidi, in confronto alla coltura del mais su terreni asciutti,
richiede ad ogni modo maggior lavoro. Le grandi creazioni culturali
di Ceylon, di Giava centrale, della Cambogia e della Birmania sono
anche qui impensabili senza la continua produzione di un alimento
base non deperibile. A differenza del mais e del riso (e di altri
frutti da granella extratropicali che sono stati a base dello
sviluppo della civiltà europea), la monocultura di tuberi facilmente
deperibili e ricchi di amido, come la manioca (America meridionale e
centrale) o il taro (Asia monsonica), che hanno rispettivamente
preceduto la coltivazione dei cereali, non ha dato inizio allo
sviluppo di nessuna grande civiltà”.63
Gui
Annequin, invece, nota:
“non
si insisterà mai abbastanza sul mutamento rivoluzionario apportato
dalla coltivazione del mais nella vita degli amerindi.[…]. Pianta
che è alla base della civiltà dei Maya e dei loro vicini. Questa
pianta, che richiede l’intervento del contadino per soli duecento
giorni all’anno, lo lasciava molto libero; quindi il contadino
aveva molto più tempo da dedicare alle attività intellettuali,
artistiche o religiose, di fatto strettamente collegate. Il mais era
qualcosa di più della base economica della civiltà maya, era il
punto focale del culto, e tutti i Maya che aravano la terra gli
avevano innalzato un altare nel loro cuore. Senza mais essi non
avrebbero avuto tempo libero né avrebbero goduto della prosperità
necessaria per costruire le loro piramidi ed i loro templi; senza
l’amore mistico che nutrivano nei suoi confronti, i contadini non
si sarebbero molto probabilmente sottoposti ai continui inviti dei
loro dirigenti ad attuare programmi prodigiosi. Essi sapevano che
lavoravano per conciliarsi il dio del cielo e della terra, dal quale
dipendeva il loro raccolto di mais”.64
Il
ruolo fondamentale di questa pianta è comprovata da fatto che, come
scrive Herbert Wilhelmy,
“Il
mais è rimasto fino a oggi il cibo principale del territorio maya,
anzi probabilmente rispetto alla svariatissima alimentazione del
passato ha raggiunto una posizione ancora più rilevante. L’acquisto
di cibi d’importazione freschi o conservati è possibile solo nelle
città e nei centri rurali posti in punti commerciali favorevoli,
ammesso che gli abitanti posseggano il necessario denaro contante. La
grande massa della popolazione contadina che vive fuori mano nella
boscaglia o nella foresta è rimasta ferma alla tradizionale economia
antartica. […] Tanto ieri come oggi i tre principali pasti
quotidiani sono a base di mais. Una famiglia di cinque persone ha
bisogno ogni giorno di 3-4 Kg, cioè circa 11-14 q all’anno di mais
[…].65
L’importanza
mistica di questa pianta viene sottolineata anche da David Webster,
il quale scrive:
“Anche
se i Maya del sedicesimo secolo coltivavano campi e frutteti con
diversi prodotti, il più importante di tutti in assoluto era il
mais: non si trattava solo dell’alimento base della loro dieta (con
i fagioli di gran lunga secondi), ma anche di una pianta magica,
associata con le origini dell’uomo e del mondo stesso, e quindi
letteralmente un dono degli dei. Uno sguardo ai grandi cicli
stagionali della natura governati dalle divinità rivelava quando era
il tempo propizio per seminare. Coltivare il mais era ben più di una
necessità economica: era anche un ricorrente e quasi mistico atto di
consacrazione. Anche oggi gli agricoltori maya che si basano su di
un’economia di sussistenza ritengono che una famiglia che non passa
soddisfare il proprio fabbisogno di mais non sia rispettabile, e un
agricoltore povero viene considerato carente di energia, giudizio e
motivazione”.66
L’importanza
spirituale del mais viene più volte ribadita da Eric Thompson,67
il quale asserisce che:
“l’idea
di un prodotto agricolo è del tutto remota nella nostra mentalità,
ma era ed è al centro della concezione maya del mondo. Non è strano
che un Maya umanizzi il granoturco e lo tratti con una reverenza e
amore che noi non possiamo sentire per cose inanimate. Il mais è il
dono che gli dei concedono all’uomo solo quando ha faticato per
meritarlo”.68
Il
Chilam Balam narra che
all’ inizio esisteva solo la giada verde. Questa pietra, per i Maya
molto preziosa, non è altro che non il grano non ancora maturo.
“
uno stretto collegamento tra la coltivazione del mais e il
cerimoniale religioso […]. Ogni lavoro svolto nella milpa
rappresentava un atto cultuale. Tutti i lavori dei campi erano
compiuti in strettissimo contatto spirituale con gli dei. I contadini
maya cercavano continuamente di ottenere il loro aiuto e la loro
benedizione, di accattivarsi le forze cosmiche positive e di tenere
lontano quelle malefiche”.
Il
mais acquisiva un grande significato spirituale, tanto da essere
considerato, come abbiamo già avuto modo di accennare diffusamente,
regalo degli dei, sostentamento reale del cosmo e, secondo il Chilam
Balam, l’elemento primordiale da cui tutto
ha avuto origine. Pertanto, la sua personificazione in divinità ci
sembra del tutto conseguenziale.
Possiamo
dire che il sentimento maya verso il mais fa luce sulla mentalità di
questo popolo e sui suoi costumi, meglio di qualunque sua altra
manifestazione: la cultura maya ha un carattere sostanzialmente
contadino, sulla quale si innesta una complessa struttura religiosa.
Le
cerimonie con cui si apre la semina del granoturco presso i Maya
Mopan del Belize meridionale illustrano bene l’anelito religioso
che circonda il mais.70
Prima di cominciare una delle fasi del suo lavoro, il Maya compie
un’offerta agli dei custodi del suo campo. Fa notare Wilhelmi che
“ogni
pianta di mais - così credevano i Maya - aveva un’anima che si
trovava a suo perfetto agio solo nelle pannocchie più belle. Così
essi le spruzzavano con il sangue degli animali sacrificati e le
cospargevano di polvere calcarea per proteggerle dagli insetti
nocivi. Il fatto che consacrassero agli dei le pannocchie migliori
aveva un profondo significato: si impiegava come semente solo il mais
di migliore qualità, in grado di assicurare per il prossimo raccolto
un risultato ottimale”.71
In
queste cerimonie un ruolo fondamentale lo ricopre la magia imitativa.
Scrive Thompson:
“non
c’è dubbio che il gracidio delle ranocchie, il rumore del tuono,
il personaggio che rappresenta il capo dei Chac, coi simboli della
pioggia e del lampo, sono del repertorio magico. Ha un certo rilievo
anche il ricorrere di numeri sacri: il sette, il nove, il tredici. E
lungo tutta la cerimonia appaiono elementi lustrali: l’acqua da
adoperare è vergine, in teoria sono vergine anche le vittime
sacrificali ed è di rigore l’astinenza”.72
In
tal modo Victor von Hagen parla del mais:
“il
mais, dono degli dei, era sacro, e pertanto doveve essere coltivato
rispettando i riti stabiliti. Ci si propiziava dunque il dio della
pioggia Chac, e si seminava nei giorni di pioggia perché i chichi
potessero germogliare rapidamente”73
“l’elemento cardine del pensiero religioso maya. […]. I lunghi
capelli ondulati del dio del mais, rappresentando la barba del
granoturco, sono adorni di cerchi di giada”.
Ciò
non è un caso perché la giada, elemento base del cosmo secondo il
mito narrato nel Chilam Balam,
simbolizza il mais giovane, perché non ancora maturo. Il termine per
indicare il mais è tun,
che significa anche pietra in senso generico e giada in particolare,
ma che è anche sinonimo di prezioso.
Il
numero proprio di questa divinità è l’otto che, rileva Martin
Brennan, è un “esplicito riferimento al raddoppiamento o alla
fruizione del numero quattro che è il dio Sole”.75
Va
notato che, nella cosmologia maya, i colori assegnati ai quattro
punti cardinali sono il rosso, il bianco, il nero e il giallo. Il
mais compare in cinque colori: rosso, bianco, nero, giallo e verde,
che è il colore del mais non maturo, simboleggiato dalla giada.
Nel
Chilam Balam, il
giovane dio del mais (YUM
KAX) viene semplicemente identificato con i due
eroi divini Uno e
Sette Hunahpu.76
Il
mito cosmogonico Quiquè afferma che l’uomo fu creato da un impasto
di granoturco. Tale mito, giustificherebbe, la raffigurazione di
questa deità con forma umana e senza attributi zoomorfi.77
Di
solito il dio del mais veniva rappresentato come un giovane di
bell’aspetto, la cui testa poteva comparire al posto di una
pannocchia di granoturco, o dal cui capo potevano spuntare le foglie
di granoturco, come se ne fosse il seme esso. Viene raffigurato
adornato da gioielli di giada.
Il Popol Vuh:
la quarta parte. Gli uomini di mais: aspettando il Sole
Con
l’ascesa di Hunahpu e
Xbalanque il Popol Vuh
ritorna al problema che gli dei affrontavano
all’inizio del libro sacro: la creazione di esseri in grado di
camminare, lavorare, parlare e pregare in modo articolato. Il
racconto del quarto e ultimo tentativo è in flaschback,
giacchè la narrazione ritorna indietro, al momento in cui Sette
Macao aveva già subito la punizione ma il
sole doveva ancora apparire. Abbiamo già visto come gli dei avevano
fallito nelle tre precedenti creazioni, ma, ora essi hanno notizia di
una montagna piena di mais giallo e bianco, scoperta dalla volpe, dal
coyote, dal pappagallo e dal cervo. È arrivato il tempo, come narra
il Popol Vuh,
“del
concepimento degli uomini e della ricerca degli ingredienti del corpo
umano. Così parlarono, il Portatore, il Genitore, i Fattori e i
Modellatori chiamati Sovrano Serpente Piumato. ‘L’alba si
avvicina, i preparativi sono stati compiuti ed è giunto il mattino
per colui che dovrà provvedere, per colui che dovrà nutrire, nato
nella luce, generato nella luce. È giunto il mattino per la stirpe
umana, per la gente che popolerà la faccia della terra’, dissero.
Tutto si combinò mentre essi continuavano a pensare nell’oscurità,
nella notte, mentre cercavano e vagliavano, pensavano e si
interrogavano.78
E a
questo punto i loro pensieri vennero alla luce. Essi cercarono e
scoprirono ciò di cui c’era bisogno per la carne umana. Non passò
molto tempo prima che il sole, la luna e le stelle facessero la loro
comparsa al di sopra dei Fattori e dei Modellatori. Luogo Spaccato,
Luogo dell’ Acqua Amara si chiama: il mais giallo, il mais bianco
vennero di là. E questi sono i nomi degli animali che portarono il
cibo: volpe, coyote, pappagallo, corvo. Furono quattro gli animali
che portarono la notizia delle pannocchie di mais giallo e di mais
bianco. Venivano da un luogo chiamato Luogo Spaccato, e mostrarono la
via per la spaccatura”.79
Il
passo riportato fa ben comprendere la centralità dei miti
precedenti: infatti, gli episodi narrati nella seconda e terza parte
della cosiddetta bibbia-maya
costituiscono una fondazione degli astri e dei loro movimenti,
un’elaborazione armoniosa del cosmo e del calendario, che ne è il
suo rispecchiamento. L’uomo ha, in tutto questo, un ruolo centrale,
infatti è lui che si deve preoccupare del suo mantenimento e
sostentamento. Il Popol Vuh
rappresenta una sorta di lungo cammino,nel quale, a nostro parere,
l’uomo di mais rappresenta la fine e l’inizio. La fine perché è
l’atto finale della creazione di un ordine che con fatica gli dei
sono riusciti a raggiungere, sconfiggendo non solo le false divinità
ma limitando anche lo strapotere dei signori degli inferi, che
avrebbero tolto troppo energie all’uomo, non lasciandogli altra
linfa da utilizzare per il nutrimento del Cielo-Terra. L’inizio
perché il sostentamento del creato è tutto sulle spalle di esso.
Trovati gli elementi con cui fare il corpo dell’uomo, il Popol
Vuh continua:
“fu
allora che [le deità] trovarono le materie prime fondamentali. E
questi furono gli ingredienti per la carne dell’opera umana, del
disegno umano, e l’acqua fu usata per il sangue. Divenne sangue
umano e anche il mais fu usato dal Portatore, Genitore. […] E poi
il mais giallo e il mais bianco vennero macinati, e Xmucane li macinò
per nove volte. Venne usato del cibo, insieme all’acqua con la
quale si sciacquò le mani, per creare il grasso; divenne grasso
umano quando fu lavorato da Portatore, Genitore, Sovrano Serpente
Piumato, come vengono chiamati”.80
L’uomo,
finalmente, ha fatto la sua comparsa. E se nell’ Antico Testamento
ebraico egli è creato a somiglianza di Dio, nel Popol
Vuh è creato dal mais, sostanza divina ed
elemento primordiale, da cui tutto ha avuto origine. Due modi
diversi, a nostro parere, per affermare la stessa cosa: l’origine
divina dell’uomo, creatura dall’alta dignità con il compito di
curare la terra, allevarla e sostenerla. E chi potrebbe compiere un
tale compito se non una creatura diversa da tutte le altre? Una
creatura consapevole di sé, della sua alta dignità e del valore
della sua vita, che sappia rispettare il patto con gli dei: curare la
terra e i suoi creatori. Ed è per questo che il sacrificio, sebbene
anche assai cruento, non è mai crudele. Esso è dono delle divinità,
il più grande dono da questi fatto all’uomo per il proseguimento
del tempo e delle ruote del calendario.
I
primi esseri umani furono quattro: QUITZE
Giaguaro, Notte
Giaguaro, Non Subito
e Giaguaro Scuro.
Questi uomini, dice il Popol Vuh,
“[…]furono
semplicemente formati e modellati, non ebbero né padre né madre”.81
La
creazione era risultata buona, essi infatti
“Parlavano
e formavano parole. Guardavano e Ascoltavano. Camminavano e
Lavoravano.”82
Ma
si presentò ai creatori un problema. Narra infatti il Popol
Vuh che
“Essi
comprendevano tutto perfettamente, vedevano i quattro lati, i quattro
angoli nel cielo”
Gli
dei, intimoriti da ciò, ovvero dalla sapienza di questi uomini, che
li poteva rendere troppo simili a essi, decisero, come afferma Pietro
Bandini, “di velargli gli occhi83”,
in modo che potessero
“solo
da molto vicino vedere le cose con chiarezza”.84
Scrive
ancora Pietro Bandini:
“In
seguito, la religione e la matematica dei Maya fu un mirabile
tentativo di compensare con strumenti umani questa menomazione
inflitta dagli dei. Impararono, ad esempio, a penetrare il velo che
avevano davanti agli occhi, attraverso l’estasi visionaria indotta
mediante rituali e con l’aiuto del loro calendario, che rivelava a
una persona esperta i segreti mediante il potere magico dei numeri”.85
Ma
anche il Popol Vuh
giunge a delinearsi come mezzo di riscoperta del sapere maya, obliato
dagli dei. Ciò lo si evince dal passo, di seguito riportato.
“erano
grandi persone, erano uomini di genio. […] Sapevano se ci sarebbe
stata una guerra; ogni cosa che vedevano era chiara per loro. Se ci
sarebbe stata morte, o se ci sarebbe stata carestia, o se ci
sarebbero state liti, lo sapevano con certezza, poiché c’era un
luogo dove vederlo, c’era un libro. Popol Vuh era il nome che gli
davano”.86
Gli
dei, di notte, mentre i quattro uomini dormivano, gli fecero delle
compagne: quattro donne dalla quale unione con i quattro uomini
nascono le principali tribù dei Maya Quique.
A
questo punto il testo narra una serie di vicende che vedono come
protagonisti i quattro uomini, alla ricerca di un dominio terreno,
nel quale affermarsi come signori. La peregrinazione farà sì che le
principali tribù si separeranno e perderanno la lingua originale,
talchè nasceranno i vari dialetti locali.
Quindi
si giunge all’evento finale: il sorgere del sole. In questa sola
occasione appare come una persona intera, così caldo da disseccare
la superficie della terra. All’inizio i Quiquè gioiscono nel
vedere il sorgere del sole, ma poi ricordano i loro fratelli, e il
fatto che non sanno più dove siano.
Il
sorgere del sole riunisce le tribù, come chiarisce Dennis Tedlock87,
nonostante esse rimangono ampiamente separate nello spazio. Come dice
il popol Vuh
“vi
erano innumerevoli popoli, ma vi fu una sola alba per tutte le
tribù.”88
Ciò
che rende possibile tale visione di unione è il calendario comune.
Tutte le genti della Mesoamerica, infatti, possedevano il sacro
calendario di 260 giorni.
Ci
sembra opportuno chiudere suggestivamente questo capitolo con la
preghiera di preparazione alla lettura del Popol
Vuh, che veniva recitata dal capo spirituale
Andrei Xiloj Peruch, della comunità maya di Momostenango:
Fa
che la mia colpa scompaia,
Cuore
del Cielo, Cuore della Terra;
fammi
un favore,
dammi
forza, dammi coraggio
nel
mio cuore, nella mia testa,
perché
sei la mia montagna e il mio piano;
possa
non esserci più menzogna né onta,
e
possa questa lettura del Popol Vuh
essere
chiara come un’ alba, e possa l’ esame dei tempi antichi
essere
completo nel mio cuore, nella mia testa;
e
possa la mia colpa svanire,
mie
nonne, mie nonni,
e
quante sono le anime dei morti,
voi
che parlate con Cuore del Cielo e della Terra,
possiate
tutti voi insieme dare forza
alla
lettura che ho intrapreso.89
2
Popol Vuh, introduzione di Dennis Tedlock, cit., pag. 51-52.
4
Popol Vuh, introduzione di Dennis Tedlock, cit., pag. 16.
5
Atlante di Mitologia, Miti Maya e Inca,
a cura di Marcella Masconi, Demetra editore, Novembre 1999, pag.
67.
6
Ibidem.
7
Popol Vuh, cit., pagg. 65-66.
13
Essi sono più vecchi di tutte le altri divinita , le quali gli si
rivolgono come a dei nonni. I due sono marito e moglie, l’uomo è
patrono dei matrimoni e sensale divino dei matrimoni, la donna è
patrona di tutti i pari in quanto levatrice divina. Cfr. Popol Vuh,
introduzione di Dennis Tedlock, cit. pag 17.
18
Ibidem, Tennis Tedlock, scrive (nell’introduzione, pagg. 58-59)
che sono i “nomi di una coppia di guaritori, due anziani coniugi
specializzati nella cura dei denti, degli occhi e delle ossa”.
23
Ibidem.
29
Ibidem, pag. 38.
32
Nota dell’ autore.
34
Michael Coe, op. cit., pag . 172.
35
Cfr. Popol Vuh, cit., pag. 97.
36
Cfr. Ibidem.
37
Ibidem.
38
Ibidem, introduzione di Tennis Tedlock, pag. 23.
40
Cfr. Popol Vuh, cit., pag. 103.
48
Ibidem, pag. 42.
49
Popol vuh, cit., pag. 116.
50
Cfr. Ibidem, introduzione di Dennis Tedlock, pag. 27.
51
Il crocevia, incontrato per la seconda volta durante la nostra
narrazione, sintetizza la struttura del cosmo. Il crocevia,
rappresentato con una croce ( fondamentale simbolo sacro maya )
indica i quattro punti cardinali, i quattro angoli del mondo, i
quattro cieli. Ad ogni angolo corrisponde un colore e ad ogni colore
un significato ben preciso. I due gemelli come i loro padri prendono
la direzione dal colore nero, che come abbiamo già più volte
visto, è il colore degli inferi, della morte, delle malattie, della
sporcizia e di tutte le negatività in generale.
52
Cfr. Pietro Bandini, op. cit., pag 38.
53
Popol vuh, cit., pagg. 134-135.
54
Ibidem, introduzione di Dennid Tedlock, pag. 30
55
Pietro Bandini, op. cit., pag. 44.
56Peter
Schmidt-Mercedes de la Garza-Enrique Nalda, op. cit., pag.
224.
57
Cfr. Popol vuh, introduzione di Dennis Tedlock, cit.,
pag. 31.
58
Ibidem, pag. 137.
59Ibidem,
introduzione di Dennis Tedlock , op. cit., pag. 32.
68
L’idea si tradusse in una leggenda (Atlante di Mitologia, op.
cit., pag. 59, 64-65): ci fu un tempo in cui la gente viveva
nella prosperità, dimentica degli dei. Questi allora si riunirono
per discuterne. ‘L’uomo si ciba di carne, di frutti e
soprattutto di mais, ma non si cura più di noi, non offre sacrifici
e vive come se non esistessimo’. ‘ho un’idea’ disse uno di
loro ‘nascondiamo lo spirito di mais e costringiamoli a una misera
esistenza in modo che si ricordino di noi e a noi si rivolgano’
tutti furono d’accordo e lo spirito del mais venne nascosto sotto
una roccia. Da quel momento tutto il mais cominciò a seccare e gli
uomini furono costretti a cibarsi di bacche e di radici. Anche tutti
gli altri animali e gli uccelli non trovavano più i preziosi
chicchi di cui erano ghiotti e andarono alla ricerca dello spirito
del mais. Gli uccelli che volavano alto trovarono la roccia sotto la
quale gli dei lo avevano celato e tentarono di spezzarla con i loro
potenti becchi, ma tutto fu inutile, perché la roccia era troppo
dura. Tentarono e ritentarono fino quasi a spezzarsi il becco, ma
gli dei avevano scelto con cura il nascondiglio.[…] A scoprirlo
furono per prima le formiche carovaniere, che scavarono una galleria
fino al nascondiglio del mais sotto la roccia e cominciarono a
portarlo via caricandolo sul dorso grano per grano. La volpe che è
sempre curiosa dei fatti dei vicini vide le formiche portare quel
grano e ne assaggiò. Poi poco a poco tutti gli animali ne vennero a
conoscenza, ma il mais poteva essere raggiunto solo dalle formiche.
Gli uomini allora “pregarono a lungo gli dei perché concedessero
loro di penetrare nlla montagna. ‘Dei della pioggia, che sapete
scagliare potenti saette, aprite la montagna sotto la quale si
nascondono i gustosi chicchi di cui sono ghiotti le volpi e gli
altri animali, perché abbiamo fame e vogliamo anche noi cibarcene’.
Le loro preghiere vennero ascoltate dagli dei della pioggia. Ci
provarono in tre: il primo di loro lanciò fulmini e saette contro
la roccia, ma non riuscì nemmeno a scalfirla. Ci provo il secondo e
anche il terzo, ma invano. Si recarono allora al dio più anziano
che si rivolse a un picchio: ‘Con il tuo becco potente vai alla
ricerca della roccia più dura e di quella più debole, perché le
mie saette possano aprirsi un varco nella montagna che nasconde il
mais’. il picchio obbedì e trovò il punto più debole che il
dio della pioggia cercava. ‘riparati sotto quello strapiombo’
disse il dio al picchio e lanciò una potente saetta là dove la
roccia era sottile. Il picchio, curioso, non obbedì all’ ordine
che il dio aveva dato e mise fuori il capino per osservare la scena.
Nello stesso momento in cui la saetta colpiva la montagna un
frammento di roccia si staccò e lo colpì. Dalla ferita sul capo
sgorgò un rivolo di sangue e per questo ancora oggi il picchio ha
la testa rossa. Finalmente la montagna si aprì, lasciando un varco.
Fu così che gli uomini ebbero a disposizione il mais bianco, cioè
quello che non aveva subito l’azione del fuoco, quello giallo,
quello rosso e quello nero, cioè quelli che avevano subito, in
maniera diversa, l’ azione del fuoco.
70
Cfr. Eric Thompson, op. cit.,
pag. 293-294. Le cerimonie in onore al mais erano un tutt’
uno con le cerimonie in onore dei Chac. Durante questi riti parte
importante svolgeva il sacrificio. Questo aveva il fine di potere
saziare il dio della pioggia in maniera che esso portasse le giuste
pioggie per un buon raccolto. La cerimonia che era molto complessa
verrà presentata nei particolari nella sezione dedicata al
sacrificio. Qui basta dire che gli uomini prima di tale cerimonia
dovevano compiere un periodo di astinenza, dovevano stare lontani
dalla donna, e sacrificarsi secondo la tecnica dell’autosalasso.
Il sangue, versato su delle ciotole o intriso in fogli di fibra
vegetale, veniva bruciato in offerta agli dei. Oggi i maya
sacrificano uccelli, un tempo venivano sacrificati bambini.
74
Martin Brennan, op. cit., pag. 91.
75
Ibidem
76
Pietro Bandini, op. cit., pag. 52.
77
Peter Schmidt-Mercedes de la Garza-Enrique Nalda, op. cit.
238.
78
Il passo ribadisce due concetti di fondamentale importanza:
- l’ uomo nasce quando ancora il sole non è nato
- l’ uomo viene creato per un fine ben preciso: provvedere al sostentamento degli dei.
79
Popol Vuh,, cit., pag. 138.
80
Ibidem, pag. 139.
81
Ibidem, pag 139.
82
Ibidem, pag 140
83
Pietro Bandini, op. cit., pag. 36
84
Popol Vuh, cit., pag. 141.
85
Pietro Bandini, op. cit., pag. 36.
86
Popol Vuh, cit. pag. 189.
87
Ibidem, introduzione di Dennis Tedlock, cit., pag. 37.
88
Ibidem, cit., pag. 157.
89
Ibidem, introduzione di Dennis Tedlock, pag. 60.
Nessun commento:
Posta un commento