martedì 29 maggio 2012

Gli scettici


Pirrone, fondatore del movimento scettico, nacque ad Elide nel 365 a.C. circa. Nel 324, stabilitosi ad Elide diede il suo insegnamento senza lasciare alcuno scritto. Suo discepolo fu Timone nato a Flimite nel 325 a.C. circa. Si trasferì nel 295 ad Elide per ascoltare il maestro. Tra le sue opere sono celebri: Pitone, I Silli, Apparenze, Le sensazioni, Contro i Fisici, Il Banchetto funebre di Arcesilao. Quindi va ricordato Arcesilao, nato nel 315 circa a Pitane nell’Eolide. Nel 300 si recò ad Atene, studiò al Liceo sotto Teofrasto e alla morte di Cratete divenne scolarca dell’Accademia. Morì nel 240 a.C.
La posizione di Arcesilao venne approfondita da Carneade, nato a Cirene tra il 219 – 214 a.C. Importante il viaggio di questi a Roma. Nel 155 a.C., infatti, Carneade fece parte, con Critolao e Diogene di Babilonia, della celebre ambasceria inviata a Roma dagli Ateniesi multati per aver saccheggiato Oropo. Qui si distinse per aver argomentato in due giorni a sfavore dell'esistenza di una legge universale di giustizia. Le sue tesi scandalizzarono i benpensanti di Roma; egli, infatti, giunse alla conclusione che la saggezza e la giustizia non vanno necessariamente d'accordo. A prova di questa proposizione affermava che se i Romani avessero voluto essere giusti avrebbero dovuto restituire i loro possessi, guadagnati con la guerra e lo sterminio, agli altri e andarsene, ma in tal caso sarebbero stati stolti.
A chiarimento di quello che abbiamo detto riportiamo un passo di Cicerone:
« ...ed espose tale tesi: tutti i popoli dominatori, innanzitutto i Romani capi del mondo, se avessero voluto essere giusti con il rendere le altrui proprietà, avrebbero dovuto ritornare come poveri alla vita nelle capanne1 »

Carneade fu uno scettico radicale e, a dire il vero, il primo filosofo a sostenere il fallimento dei metafisici, che credevano di poter spiegare in maniera razionale le credenze religiose. Oltre ad essere stato un accanito avversario dello stoicismo, fu anche scolarca dell'Accademia. Queste sono le argomentazioni che avanza a critica dello stoicismo: alla dottrina di una comune ragione a tutti gli uomini, Carneade controbatte la radicale diversità di opinioni dei vari popoli e dei vari uomini; neppure l’idea di Dio è comune a tutti in quanto vi sono sempre stati gli atei; contro la dottrina della provvidenza e della ragione universale oppone la presenza del male e dell’ingiustizia nel mondo; contro l’idea di un diritto naturale oppone la diversità tra le leggi dei vari popoli, tali che non permettono di elaborare alcun concetto universale di giusto e ingiusto. Carneade afferma che ogni discorso si costituisce, come vogliono gli stoici, di implicazioni dovute al ricordo di impressioni, le quali, ognuna presa per sé, non è né vera né falsa. Per dire che l’impressione è vera dovremmo conoscere l’oggetto, ma sull’oggetto non possiamo fare alcun giudizio e, pertanto, dobbiamo sospenderlo (epochè). Ogni discorso, in quanto ipotetico, può opporsi ad un altro (antiloghia) e la validità di un discorso può mutare se diverse sono le impressioni ed i ricordi. Una volta rinunciata alla verità delle cose in sé, l’uomo si deve attenere alla rappresentazione persuasiva (probabile – pithonon): le rappresentazioni probabili si possono concatenare tra loro per dare un sapere, insieme, coerente.
Lo scetticismo (da skepsis = ricerca) esprime un atteggiamento di stanchezza verso i sistemi definiti, nonché una posizione critica verso i filosofi dogmatici, i quali pretendono di cogliere l’essenza della realtà, la verità delle cose. Il primo scetticismo si deve, come già detto, a Pirrone, il quale critica la logica aristotelica per rifarsi alla scuola megarica e a Democrito.
Pirrone afferma che nulla possiamo conoscere che vada al di là dell’apparenza, cioè di come le cose ci appaiono ai sensi e alla ragione. Le essenze sono pertanto inconoscibili e le nostre sensazioni non sono né vere né false. Tutte le rappresentazioni sono ugualmente validi, così come sono ugualmente incerte, nel senso che possono essere, ma possono anche non esserlo. Pirrone, però, non nega la realtà, ma la pretesa di conoscerla nell’essenza. L’uomo non può avere, infatti, sulla realtà alcuna conoscenza certa, e per tale motivo non deve assumere un atteggiamento di fede o fiducia innanzi a nessuna cosa. Non deve credere ad alcuna cosa; deve, semmai, assumere un atteggiamento disincantato e imperturbabile, il quale lo libera dal dogmatismo e gli permette una ricerca limitata al probabile.
Pirrone rifiuta di considerare come assoluti e eterni i valori delle varie dottrine morali; tutto, infatti, è provvisorio e relativo alle diverse situazioni umane. Il secondo momento dello scetticismo si deve ad Arcesilao e a Carneade nell’arco di periodo in cui furono capiscuola dell’Accademia. Arcesilao, in contrapposizione allo stoicismo, afferma che non si possono distinguere le fantasie catalettiche da quelle che tali non sono. Nessuna fantasia (rappresentazione) ci si presenta con un’evidenza maggiore di un’altra, sicché nessuna ci fa conoscere la realtà. Quindi per non cadere nell’errore si dovrà sospendere l’assenso (tale rappresentazione prende il nome di epoché). L’uomo nella sua condotta deve invece agire in modo ragionevole. Nella sospensione dell’assenso e nella condotta ragionevole si realizza l’imperturbabilità (Atarassia) del saggio. Arcesilao e Carneade sono i maggiori rappresentanti del cosiddetto secondo scetticismo.
I maggiori rappresentanti del terzo periodo dello scetticismo furono, invece, Enesidemo, Agrippa e Sesto Empirico. Alla fine del I secolo a.C. si venivano compilando le summae del sapere stoico, platonico, aristotelico. Allo stesso modo si vennero ordinando un complesso organico di argomenti, i modi (tropi) propri della tradizione scettica. Celebri sono i 10 tropi di Enesidemo, della II metà del I secolo a.C., ed i 5 di Agrippa del I sec. d.C.
In tali tropi viene affermato che i sensi non possono offrire alcun fondamento valido al conoscere; vengono criticate le varie religioni e teologie; viene confutata l'esistenza di un criterio logico universalmente valido. Resta, pertanto, solo la sospensione del giudizio come posizione non dogmatica del saggio.
Sesto Empirico, autore di Scrizzi Pirroniani e Contro i matematici. (II – III sec. d.C) richiama il pensiero ai limiti della conoscenza. Per questi si tratta di non assumere a definitiva alcuna tesi, e di cogliere, pertanto, di volta in volta, i dati che permettono di capire i fenomeni, senza mai andare al di là di essi. La ricerca deve essere sempre aperta (scepsi) come quei pensatori del passato che hanno assunto un atteggiamento aperto. Sesto Empirico critica fortemente lo scolasticismo e il dogmatismo.
1 Cicerone, De re publica, 3,21

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