Senofane
nacque nella Ionia nel 571, e, dopo aver molto girato per la Grecia,
si stabilì nella Magna Grecia, e qui vi morì in avanzata età nel
475 circa. Egli identificò l’archè, il principio, con la terra
(gaia),
principio insieme fisico e divino,ed infatti afferma che “Tutto
viene nella terra e tutto nella terra si risolve”.
Critica fortemente la concezione religiosa greca, ovvero l’idea di
divinità concepita dagli uomini a propria immagine e somiglianza
(antropomorfismo).
Senofane invece concepisce la divinità come ingenerata ed immortale,
che tutto vede, pensa, ode: tale divinità si pone come il qualcosa
che contiene tutte le cose. Famosa la sua critica alle divinità: I
mortali immaginano che gli dei siano nati, che abbiano vesti, voce e
figura come loro; e se i buoi, i cavalli, i leoni sapessero disegnare
si raffigurerebbero gli dei simili a cavalli, buoi, leoni: tanto è
vero che gli Etiopi dicono che i loro dei sono camusi e neri.
Epicarmo,
insieme
a Senofane, fu un altro poeta che ebbe un ruolo decisivo nella
svalutazione dei miti religiosi. Anche lui operante nella Magna
Grecia, nativo della Sicilia, visse tra il 550 e il 460.
Commediografo di eccellente portata, fu probabilmente un pitagorico.
L'aspetto di maggiore rilievo del suo pensiero è nella polemica
contro la mitologia tradizionale. Epicarmo è, infatti, del parere
che gli elementi dell'universo siano sempre esistiti. È impossibile,
quindi, pensare che siano stati generati dagli dei in un dato
momento.
Pitagora
nasce
a Samo nel 570 a.C., e si trasferisce nella Magna Grecia nel 530,
dove muore nel 497. della sua vita abbiamo ben poche notizie, perché
i suoi allievi lo hanno venerato quasi come un dio, e ne hanno
avvolto la vita in leggende.
La
filosofia della Magna Grecia costituirà per circa un secolo, e cioè
sino alla fine del V secolo, la grande controparte alla filosofia
ionica, ed infatti quest'ultima cercava una spiegazione fisica
dell'universo, e, per tale motivo, si configurava come una filosofia
opposta al mito e ai racconti leggendari. La filosofia dell'Italia
meridionale, invece, spiegava l'universo attraverso dei rapporti
matematici ed astratti. Essi erano alla base della strutturazione del
mondo, tanto che cosmo
deriva dal greco kosmos
e venne utilizzato per la prima volta dai pitagorici, proprio per
significare la costituzione in rapporti numerici dell'universo.
Conseguentemente la filosofia della Magna Grecia si avvolse da
un'aurea misteriosa, che ben si accostava alla nascita di sette
religiose e movimenti mistici.
Il
pensiero di Pitagora introdusse una sorta di simbolismo, in cui le
colonne portanti erano il rapporto illimitato – limitato o
indefinito – definito. Tale concezione spiegava il tutto, per cui
una cosa è quella che è perché ha una sua figura, una sua forma.
L’essenza di ogni cosa è quindi l’essere una figura geometrica.
Ogni figura geometrica è, a sua volta, formata di piani, e i piani
di linee, e le linee di punti, ulteriormente indivisibili. I punti
sono, pertanto, i primi fondamenti della realtà e quindi le unità e
i numeri. Tutta la realtà è riducibile a numeri, a un’armonia di
opposti che risuona in un’armonia cosmica. La stessa salute
dell’uomo è interpretata come equilibrio e armonia. La
prima opposizione è il dispari e il pari, da questa nascono tutti
gli altri opposti: limitato – illimitato, destro – sinistro,
maschio – femmina, quiete – movimento, diritto – ricurvo,
quadrato – rettangolo.
La
dottrina ionica dei contrari viene modificata in teoria simbolico –
matematica. Alla scuola pitagorica si deve il
teorema di Pitagora. Il
filosofo neoplatonico Proclo del V secolo d.C. ci narra che la
felicità di Pitagora a tale scoperta fu tale che subito fece
uccidere un bue per festeggiare l'avvenimento.
A
Pitagora si deve anche il primo utilizzo del termine filosofia.
Almeno così ci viene riferito da Platone.
Di
fondamentale importanza nella sua filosofia riveste il numero dieci,
e, infatti, dieci sono gli opposti principali, dieci i pianeti che
girano intorno alla terra e di dieci punti è costituito il triangolo
quaternario,
avente 4 punti per lato, in modo tale che la somma dei punti risulta
essere sempre 1 +2+3+4, e cioè 10, comunque si volti il triangolo.
Della
scuola pitagorica ci sono pervenuti, grazie un filosofo del IV sec.
d.C. , i cosiddetti Discorsi
di Pitagora.
La caratteristica di quest'opera fu quella di utilizzare diversi modi
di espressione, a seconda degli ascoltatori. Un certo tipo di
espressione viene utilizzato per i giovani, un altro per le donne,
ecc. Questo modo di procedere veniva considerato saggio, mentre un
solo modo di espressione per tutti veniva considerato da ignoranti.
Eraclito
nasce
ad Efeso, cittadina vicina al centro urbano di Mileto, nella Ionia.
Visse tra il 520 – 460 a.C. Scrisse un’opera nel 478 a.C. dal
titolo Sulla
Natura
di cui ci sono rimasti 140 frammenti.
Egli
sviluppa una visione profondamente unitaria ed armonica della realtà,
che tale si rivela nel discorso (logos)
e non nell’immediatezza sensibile. Eraclito afferma il continuo
divenire di tutte le cose, per cui non è possibile bagnarsi due
volte nelle stesse acque di un fiume (tutto scorre = panta rei). Il
divenire spiega la realtà mediante il rapporto dei contrari (vita
– morte, giorno – notte, inverno – estate, sazietà – fame,
giustizia – ingiustizia, ecc.),
per tale motivo Eraclito dice che il padre di ogni cosa è la guerra,
che distrugge ogni cosa per trasformarla in qualcos’altro. Gli
opposti sono i momenti di un solo discorso armonioso e cioè del
logos.
Eraclito,
pertanto, trova l'archè
del mondo nel fuoco.
Solo
questo elemento, infatti, cambia continuamente, istante per istante,
e ogni cosa che viene a contatto di esso (come il metallo e altri
oggetti) mutano di aspetto.
L'universo
sottosta ad un continuo gioco di tensione di opposti, che generano la
vita. Per questo motivo la tensione, l'opposizione è più importante
degli opposti stessi, e da tale continuo contrasto si ha la vita.
Il
mondo sussiste dalla “tensione
di forze contrastanti”
organizzate in maniera ordinata, coerente e armonica dal logos.
Di
esso Eraclito scrive “che
sussiste sempre e che gli uomini non hanno comprensione sia prima di
averlo ascoltato sia appena lo hanno ascoltato. Pur accadendo,
infatti, tutte le cose secondo il logos, essi sembrano essere
inesperti delle parole e dei fatti, quali io li spiego, distinguendo
ogni cosa secondo natura e dicendo com'è”.
Il
logos
ha contemporaneamente un significato ontologico, cioè relativo alle
cose esistenti, gnoseologico, cioè relativo alla conoscenza di esse,
e uno linguistico, connesso al come esprimerlo. Dal punto di vista
ontologico il logos prende il significato di legge fisica e di
criterio fisso; dal punto di vista gnoseologico prende il significato
di scienza, di ricerca; dal punto di vista linguistico prende il
significato di analisi dei termini, cioè di studio dei vocaboli da
utilizzare per descrivere al meglio il modo di operare del logos.
Eraclito
si guadagnò la fama di “oscuro” per la prosa ardua ed oscura
utilizzata nella sua opera. Ed in effetti, egli accusava i suoi
contemporanei di vivere da ignoranti: “essi
non capiscono, anche se ascoltano, come se fossero sordi”.
Parmenide
nasce
e vive nella colonia di Elea (Campania) tra il 520 – 440 a.C.
Se
Eraclito segnerà tutta la storia della filosofia a venire con il
concetto di logos,
Parmenide la segnerà con il concetto di essere.
Con questo termine si intende il quid
di qualcosa, cioè la sostanza fondante che fa essere una data cosa
quella che è. Per esempio, se ricerchiamo l'essere di un uomo,
ricerchiamo quel quid
che lo definisce come tale, che lo fa essere quello che è,
differente ad altri esseri. Nella definizione dell'essere dell'uomo
non vengono prese in considerazione elementi accidentali, come
altezza, colore di pelle, di occhi o altro, bensì quel substrato
comune a tutta la specie. Possiamo dire che lo studio dell'essere
coincida con la definizione di un dato oggetto preso in
considerazione.
Parmenide
è il primo pensatore ad avanzare il problema dell'essere, e a tal
proposito afferma il rapporto diretto tra pensiero ed essere,
condannando il discorso di opinione. Egli ricerca, pertanto, un
sapere stabile, scientifico, che non possa essere messo in
discussione e che, a suo parere, non può coincidere con l'evidenza
sensibile, perché questa è sempre mutevole e soggettiva. Questi
argomenti vengono affrontati in un poema dal titolo Intorno
alla Natura,
dove si afferma che essere e pensare sono la medesima cosa. In altre
parole, Parmenide cerca di portare il pensiero al di là del sapere
illusorio costituito dai “nomi” che i mortali hanno date alle
cose, fidandosi dell’opinione sensibile. La narrazione del poema si
snoda attraverso il racconto di un viaggio immaginario diretto alla
dimora della dea Diche (divinità della giustizia). Questa lo
condurrà al “cuore
inconcusso della ben rotonda verità”.
La dea mostra al filosofo la via dell'opinione, conoscenza fallace e
ingannevole, e la via della verità, conoscenza che conduce alla
sapienza e all'essere.
Parmenide,
a proposito dell'essere, afferma che “l'essere
è, e non può non essere”,
“il
non essere non è, e non può non essere”.
La definizione dell'essere passa attraverso un ferreo ragionamento,
in cui la regola portante è il principio di non – contraddizione.
Da tale principio conseguono una serie di considerazione, e cioè
l'essere è immobile, perché se si muovesse sottostarebbe al
divenire, e quindi, ora sarebbe e ora non sarebbe più. L’essere
parmenideo, quindi, esclude il divenire e la divisibilità.
Quest’ultima infatti implicherebbe il concetto di non – essere.
L'essere
è Uno, perché se non fosse così vi sarebbero più esseri, ma ciò
è impensabile perché nulla si ha fuori dall'essere, o, meglio
ancora, perché più esseri implicherebbero dei non – esseri, i
quali non sono pensabili perché fuori dall'essere non può esistere
nulla, perché ciò che non è, non esiste per sua stessa
definizione. L'essere è eterno, perché se avesse un cominciamento,
si avrebbe un momento in cui non era, e ciò implicherebbe il non
essere. Conseguentemente, l'essere è ingenerato ed imperituro.
Infine, è indivisibile, perché se così non fosse implicherebbe il
non essere come elemento separatore. L’essere
è pertanto compiuto, finito (nel senso che nulla gli manca)
immobile, immutabile, identico a sé e sempre presente in sé.
Parmenide
lo immagina come una sfera perfetta, sempre uguale a se stessa nello
spazio e nel tempo, chiusa e finita. Il divenire, il mutare della
natura attestato dai sensi è pura illusione, ed infatti la
conoscenza non deriva dai sensi, sempre mutevole ed ingannevole,
bensì dalla ragione.
Parmenide
fu il fondatore di una scuola di pensiero ad Elea. Qui ebbe
innumerevoli discepoli, di cui il più famoso fu Zenone.
Essi
avevano sviluppato un metodo di ragionamento per assurdo, con cui
confutavano le tesi degli avversari, che intendevano dimostrare il
divenire e l'oggettività dei sensi. Il ragionamento di base
scaturiva dall'impossibilità di pensare che una cosa sia e non sia
contemporaneamente. È la prima teorizzazione del principio di non –
contraddizione, che verrà chiaramente espresso da Aristotele, il
quale mostrerà la necessità di esso per una conoscenza sicura ed
oggettiva.
Zenone
nasce ad Elea nel 500 – 490 a.C. La filosofia di parmenide aveva
messo in crisi alcune concezioni assodate quali la molteplicità, la
divisibilità, la mutabilità, ecc.
A
difesa di tale pensatore si schierò Zenone con i suoi paradossi.
Egli confuta gli avversari di Parmenide accettando le loro istanze e
portandole a compimento. Per esempio, se ammettiamo che le cose siano
molteplici e divisibili, si dovrà ammettere che ciascuna
di
queste cose abbia una grandezza, e che tale grandezza sia da punti.
Ma se tali punti hanno anche loro una grandezza allora saranno
formati da altri punti, e questi da altri, e così via all'infinito.
Se, al contrario, invece, questi punti non hanno grandezza, le cose
che sono costituite da punti, sono costituiti da un insieme di non –
grandezze, e perciò esse stesse prive di grandezza. Queste
argomentazioni falsificano le teorie affermanti la molteplicità e la
divisibilità della natura.
Altri
paradossi portano alla negazione del movimento. Se infatti lo spazio
è divisibile all’infinito, un corpo A per giungere in B dovrà
prima raggiungere A1, ma per raggiungere A1 prima dovrà raggiungere
A2, e così all’infinito (inesistenza del moto). Per chiarire ciò,
possiamo esemplificare il ragionamento con un segmento con un vertice
A ed un vertice B. Ora, se dal punto A voglio giungere al punto B,
dobbiamo giungere prima ad un punto A1, ma per giungere ad esso,
dobbiamo prima giungere ad un punto A2, e così via. Ma se sono
infiniti i punti che formano un segmento, sono infiniti i punti da
raggiungere, e quindi non si arriverebbe mai al punto B.
Ancora,
se lo spazio e il tempo sono divisibili all’infinito, una freccia,
scagliata nello spazio, non raggiungerà mai il bersaglio. Infatti
l’intervallo di tempo, essendo formato da infiniti spazi, non potrà
mai essere percorso.
Famoso
è anche il paradosso di Achille
e della tartaruga,
per cui se una tartaruga parte prima di Achille, questo non lo
raggiungerà mai. Ciò perché la differenza di spazio che intercorre
tra i due è incolmabile da parte dell'eroe, che dovrà percorrere
infiniti spazi per superare l'animale.
I
pradossi di Zenone ponevano in evidenza il fatto che il ragionamento
logico-matematico, che necessita della divisibilità, fosse
incompatibile con l'estensione spaziale. Per tale motivo la realtà
non va studiata mediante procedimenti razionali di tipo
logico-astratto, bensì secondo delle teorie non matematiche.
L'inapplicabilità della matematica all'estensione verrà risolta
solo nel XVII secolo con la scoperta del calcolo infinitesimale.
Empedocle
(492
– 430 a.C.) scrisse un’opera intitolata “Sulla
Natura”
e un’altra intitolata “Le
purificazioni”.
Filosofo, politicamente attivo ad Agrigento, considera i dati della
forma immediata in cui si presentano: i solidi (terra), i liquidi
(acqua), gli aeriformi (aria e fuoco). Da ciò l’ipotesi che la
realtà sia costituita da quattro elementi: fuoco, aria, acqua,
terra. Tali elementi costituiscono le radici (rizomata) del tutto.
Questi elementi dapprima si trovavano riuniti in un insieme confuso
(lo sfero), poi si vengono differenziando per l’azione di due
forze, una che le unifica (amore) e una che le divide (odio). La vita
si spiega con la tensione tra queste due forze.
La
realtà, come per Parmenide, viene vista come una totalità di forma
sferica.
L'uomo,
nel periodo della sua esistenza, rappresenta un momento di equilibrio
tra Amore ed Odio.
Le
due forze contrastanti sono essenziali nella generazione del cosmo,
ed infatti, se prevalesse l'Amore tutti i quattro elementi si
troverebbero mescolati; se, invece, prevalesse l'Odio, si
ritroverebbero tutti distinti, per cui l'acqua ritornerebbe con
l'acqua, la terra con la terra, ecc.
L'uomo
partecipa in maniera armonica dei quattro elementi. Ciò gli permette
di conoscere la natura. Ed infatti, Empedocle afferma che “il
simile conosce il simile”.
La conoscenza è possibile perché l'uomo è costituito da quegli
elementi con cui i suoi organi vengono a contatto. La conoscenza
sensibile può errare solo perché l'uomo è un essere limitato
rispetto al tutto. Pertanto, la conoscenza sensibile non è falsa,
bensì limitata, ed infatti l'uomo può conoscere “solo
ciò in cui per caso s'imbatte”.
Empedocle
fu, oltre che filosofo e ricercatore, anche profeta e mago, e la
leggenda vuole che, ormai vecchio e malato, si sia buttato
all'interno del cratere dell'Etna per disfarsi del corpo. Questo
racconto sintetizza bene l'atteggiamento dei filosofi della Magna
Grecia, più proiettati verso l'immaginazione e la fantasia rispetto
ai filosofi della Ionia, che possiamo considerare dei veri e propri
ricercatori scientifici, propugnatori di un metodo empiristico.
Melisso
vissuto
tra il 444/439, scrisse un’opera dal titolo “Sulla
natura o sull’Essere”.
Nato a Samo intorno al 485, si reca ad Elea, dove diviene scolaro di
Parmenide.
Egli
sostiene che l’essere è uno, infinito ( per Parmenide invece era
finito, incompiuto), immobile, sempre eguale, eterno. Non possono
quindi ammettersi più esseri perché in tal caso l’uno limiterebbe
l’altro e quindi ognuno non avrebbe i caratteri di infinità,
eternità, propri dell’essere. Così il molteplice con i suoi
mutamenti è solo quanto ci sembra essere; mentre nella realtà
l’essere vero non muta, non si fraziona, non si altera.
Melliso,
come Parmenide, ritiene la conoscenza sensibile fallace, e a prova di
ciò avanza una serie di argomentazioni. Quello che ad uno sembra
caldo, ad altri, per esempio, può sembrare freddo. Il vero, quindi,
non viene colto mediante le immagini, bensì mediante il pensiero.
Anassagora
di Clazomene nasce nel 496 e arriva ad Atene nel 462 a.C. Egli
sviluppa una precisa metodologia di ricerca: raccolta dei dati, i
quali devono essere controllati tramite l’esperienza e organizzati
nella memoria, per poi essere vagliati con l’intelletto e
interpretati per mezzo della techne,
ossia dell’arte.
La
realtà per Anassagora non può ridursi ai quattro elementi, bensì
ad un numero imprecisato di semi (denominati omeomerie,
cioè “particelle
simili”
o semi,
spermata)
che si differenziano tra loro qualitativamente. Ogni corpo contiene
tutti i semi (tutto è in tutto), ma in ciascuno ne prevale una certa
quantità. Il complesso di omeomerie non distinte forma il migma
(mescolanza), da cui vengono a distinguersi i diversi corpi per opera
dell’intelletto (nous). In tal senso l’intelletto è l’anima e
la vita del tutto, nel senso di essere una intelligenza ordinatrice.
Per
Anassagora la conoscenza avviene secondo il principio che “il
contrario conosce il contrario”.
Egli nota, ad esempio, che la mano fredda non avverte l'acqua fredda,
ma, al contrario, è la mano calda ad avvertire che l'acqua è
fredda.
La
teoria delle omeomerie o spermata gli permette di spiegare anche la
nutrizione; ed infatti un alimento, come, per esempio, il pane,
contiene al suo interno anche semi di altri alimenti, quali carne,
ossa, peli, ecc. Ciò spiega come mai un uomo che si nutre solo di
pane ed acqua possa continuare a vivere, ed ad avere tutte le sue
normali funzioni fisiologiche, come l'allungamento delle unghie, dei
capelli, ecc.
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