La
filosofia è un parto prettamente greco. Cosa abbia favorito la sua
genesi è uno degli interrogativi più stimolanti.
Com'è
stato possibile che un popolo di agricoltori e di allevatori abbia
fondato una disciplina, quale quella filosofica, è per me una delle
questioni più intellettivamente eccitante.
Nessun
popolo antico ha sviluppato un fenomeno culturale nei termini greci,
e cioè una scienza filosofica basata sul puro logos,
sulla pura ragione come strumento d'indagine. È certamente vero che
anche altre civiltà possedevano una forma di sapienza, ma questa era
fondamentalmente religiosa, intrisa di miti teologici e cosmogonici.
Uno
dei motivi che ha permesso la genesi di un pensiero laico
è la costituzione dell'antico popolo greco in città–stato – le
cosiddette polis,
per intenderci -. Queste venivano amministrate con un sistema
democratico; al contrario degli altri popoli che, organizzatisi in
regni, avevano a capo un re, che univa, al contempo, la funzione
amministrativa a quella religiosa. Basta pensare agli Egizi con il
loro imperatore, che, oltre alla funzione di governatore assoluto,
svolgeva anche quella di sommo sacerdote. In un tale contesto era
molto difficile che potesse nascere una disciplina che volutamente
indagasse della natura con i soli strumenti del ferreo ragionamento.
Quasi
tutte le antiche civiltà, tranne quella greca, erano organizzate in
un sistema dove il politico e il religioso erano strettamente legati.
Questo innesto ha fatto sì che le antiche culture elaborassero un
pensiero intriso di elementi mistici e numinosi. Al contrario, i
Greci erano svincolati dal sinolo politica-religione, e, a onor del
vero, non possedevano nemmeno dei libri sacri o ritenuti frutto di
una rivelazione divina. Di conseguenza lo sviluppo del loro pensiero
non venne limitato da precetti fissi ed immodificabili. Potremmo
dire che non trovò quegli ostacoli che si sarebbero incontrati nei
paesi orientali, dove l'esistenza di dogmi e di sacerdoti addetti a
custodirli avrebbe contrapposto resistenza e restrizioni.
Prima
dell'avvento della filosofia, i greci ebbero come educatori e
formatori spirituali i poeti. Questi assunsero presso di loro una
grandissima importanza; molto di più rispetto ad altre civiltà, e
costituirono il veicolo di diffusione delle loro credenze.
In
tal senso, un'importanza fondamentale svolsero i poemi omerici, ossia
l'Iliade e l'Odissea, che ebbero un influsso analogo a quello della
Bibbia
presso gli ebrei. Ciò perché ai Greci mancavano, come già detto,
dei veri e propri testi sacri.
Ora,
i poemi omerici sono caratterizzati da alcuni elementi che si
ritroveranno nello sviluppo del pensiero filosofico. In
primis,
queste due opere non cedono mai all'eccessivo, nel senso che, pur
ricorrendo ad immagini mostruose, sono caratterizzate da un sistema
fantastico che conserva un senso di armonia,
proporzione
e limite.
Cose queste che ritroveremo nella filosofia non come accidenti, ma,
addirittura, come elementi fondanti ed ontologici. Inoltre, Omero
presenta la realtà nella sua totalità ed interezza. E, come
sappiamo, la filosofia, cerca, sin dalle sue origini, di dare una
spiegazione risolutiva di tutto il cosmo. Infine, l'Iliade
e l'Odissea
non raccontano solo vicende, ma ne danno anche le motivazioni. In
altre parole, ne spiegano anche le cause e le ragioni. E questo modo
di procedere lo ritroviamo in filosofia, dove si ricerca la ragione,
la causa,
il perché
delle cose.
Importanza
fondamentale ebbe anche il poeta Esiodo,
autore di una Teogonia
– che
sintetizza tutto il materiale preesistente su tale argomento – e di
un altro poema, dal titolo Le
opere e i giorni,
in cui la giustizia viene esaltata come bene supremo. Ricordiamoci
che la giustizia diverrà concetto ontologico, oltre che etico e
politico, in molti filosofi e specialmente in Platone. Legato al
concetto di giustizia si ha quello di limite, ossia di né
troppo né troppo poco.
Vale a dire il concetto della giusta
misura.
Determinate
nello sviluppo della filosofia antica nei termini che conosciamo la
rivestì
l'Orfismo.
Questo movimento religioso ha come iniziatore il poeta tracio Orfeo,
il quale, al contrario di Omero,
affermava l'immortalità dell'anima e definisce l'uomo secondo la
dualità corpo-anima.
Orfeo
affermava che in ogni uomo si incarna un demone,
o anima, a seguito di una colpa originaria. L'anima, quindi, non
muore con la cessazione materiale del corpo, ma ha un ciclo di
reincarnazioni e di rinascite per espiare quella colpa originaria. Ci
troviamo innanzi alla concezione della metempsicosi,
della reincarnazione, predicata anche da Platone. Senza l'Orfismo,
quindi, non potrebbero essere spiegate alcune teorie avanzate da
Pitagora, da Eraclito, da Empedocle, e, ovviamente, da Platone
stesso.
La
filosofia nasce tra il VII e il VI sec. a.C., ossia nel periodo di
maggiore floridezza economica dell'antica Grecia, che subì una
trasformazione socio – economica radicale grazie allo sviluppo
dell'artigianato e del commercio. Sviluppo che interessò per prima
le colonie e dopo la madrepatria. Ed infatti i primi filosofi sono
della colonia greca di Mileto, in Asia minore e, subito dopo, delle
colonie dell'Italia meridionale. In che senso l'agiatezza economica
abbia favorito la genesi della filosofia lo chiarisce già
Aristotele, che afferma:
“Cosicché,
se gli uomini hanno filosofato per liberarsi dall'ignoranza, è
evidente che ricercano il conoscere solo al fine di sapere e non per
conseguire qualche utilità pratica. E il modo stesso in cui si sono
svolti i fatti lo dimostra: quando
già c'era pressoché tutto ciò che necessitava alla vita ed anche
all'agiatezza ed al benessere, allora si incominciò a ricercare
questa forma di conoscenza.1”
Sono
del parere che le motivazioni che hanno permesso la nascita della
filosofia siano da ritrovare nella mancanza di uno statuto religioso
solido unito a quella particolare forma di governo che si seppero
dare, e che li mise, rivoluzionarmene per quel tempo, nella
condizione di cittadini e non di sudditi. Se facciamo una
comparizione con altre culture antiche, vediamo che queste componenti
vengono a mancare.
I
popoli di un tempo, infatti, si organizzarono in senso teocratico, e
anche quando assunsero una forma di governo simile a quella greca,
come i sumeri2,
organizzati in città-stato, le cose non cambiarono e religione e
potere rimasero indissolubilmente legati. Non è un caso quindi, che
le opere mesopotamiche trattino esclusivamente di argomenti
religiosi, e la scienza che svilupparono, come l'astronomia, avesse
delle finalità predittive e mistiche. Stesso discorso vale per la
cultura egizia, in cui l'imperatore era un dio in terra. Qui le
conquiste tecniche, come la mummificazione, si spiegano solo in
senso religioso.
In
poche parole, in quasi tutti i popoli di un tempo la cultura non solo
era subalterna alla religione, ma trovava origine da essa. Presso i
Greci, invece, nasce per svincolarsi dal mistico e si configura sin
da subito come pensiero libero, che trova spiegazione in se stesso,
scevro da qualsiasi applicazione pratica. La stessa morale greca si
connotava in tal modo. Per il greco l'azione buona non ha un
tornaconto, ma trova spiegazione in se stessa. Ed infatti, il premio
dell'azione virtuosa consiste nell'azione stessa. In ciò ritrovo
qualcosa di più grande di qualsiasi morale religiosa, in cui
l'azione buona è una moneta da pagare per entrare in un qualche
paradiso.
Il
pensiero greco ricerca il vero non per utilità, ma al fine
dell'acquisizione stessa. Acquisizione che non migliora la vita nei
termini pratici, ma che la migliora in termini qualitativi.
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