“era
strutturato in tre domini:
- la volta celeste con il suo imponente meccanismo degli astri divini;
- gli inferi o mondo parallelo Xibalbà, il regno degli dei degli inferi, dei morti e degli avi;
- l’interregno terreno degli uomini, degli animali, delle piante, posto tra il mondo degli dei e quello degli spiriti e in costante rapporto con questi due mondi”.1
La
cosmologia maya era molto complessa e oscura, sembra infatti che
dividessero il cielo in tredici compartimenti, in ciascuno dei quali
risiedeva un dio. Scrive Eric Thompson2
che:
“Tali
compartimenti forse erano concepiti come altrettante fasce
orizzontali sovrapposte, o forse come tanti gradini ascendenti e
discendenti: sei ascendenti ad est e sei discendenti ad ovest con il
settimo al vertice, sicchè i gradini uno e tredici, due e dodici e
via dicendo, erano alla stessa quota”.
Il
cielo era sorretto da quattro dei, i Bacab,
situati ai quattro lati del mondo. Queste divinità appaiono nel
Codice di Dresda come
coloro che trasportano il dio dell’anno nuovo. In un edificio a
Chichen Itzà, scrive Norman Hammond,3
siedono in due coppie, l’uno di fronte all’altro. Il primo ha una
conchiglia sul dorso, il secondo una ragnatela, il terzo un carapace
di tartaruga, il quarto, infine una conchiglia a spirale. Tutti
questi ornamenti hanno un forte significato mistico: la conchiglia
rimanda allo zero e quindi al sacrificio, la ragnatela rappresenta il
cielo notturno, la tartaruga è, per i Maya, una delle
raffigurazioni della terra, mentre la spirale si connette
all’infinito e al sacrificio come vettore motore del cosmo.
Importanti informazioni su queste divinità sono state lasciate dal
monaco De Landa, il quale scrive:
“tra
gli dei che questa gente adorava ce n’erano quattro chiamati Bacab.
Dicevano che questi erano quattro fratelli che Dio collocò nelle
quattro parti del mondo all’atto della creazione affinché
sostenessero il cielo per impedirne la caduta. […] Danno a ciascuno
di loro un nome con cui indicano la parte del mondo in cui Dio li
aveva posti a sostenere il cielo e associano uno di questi quattro
simboli ad ogni Bacab e alla parte del mondo in cui si trova. ”4
In ciascun lato del mondo sorgeva una sacra
Ceiba ( albero del cotone selvatico che, secondo i Maya, univa i tre
regni). Questi alberi erano legati ai colori del mondo, i maya,
infatti, ritenevano che ogni punto cardinale avesse un colore
specifico: rosso per l’est, bianco è il per il nord, nero per
l’ovest e giallo per il sud.Si aveva anche un quinto colore, (il
verde) per il centro. Qui si aveva un’altra ceiba, la più
importante, il cui tronco si innalzava sulla terra, le radici
affondavano negli inferi e i rami raggiungevano il cielo. Chiamato
Wacab Chan, e cioè
cielo innalzato, precisa Pietro Bandini che
“gli
dei, con l’ aiuto di quest’ albero gigantesco, tendevano il cielo
verso l’ alto come un enorme tetto a piramide”.5
Il
Wacab Chan conserva un
significato spirituale molto forte in quanto “l’albero del mondo
è un portale fondamentale che permette la comunione dell’uomo con
il divino”.6
Ogni
colore aveva un significato ben preciso, per esempio il nero era il
colore degli inferi e della morte, il rosso del sacrificio, il verde
della fertilità. La terra concepita come piatta era considerata il
dorso di un mostruoso coccodrillo, o di una tartaruga o di un
giaguaro galleggiante su uno specchio d’ acqua pieno di ninfee. Il
mondo degli inferi, Xibalbà, era invece strutturato in nove livelli,
ognuno con a capo una divinità. Gli inferi, destinazione di gran
parte dei Maya dopo il decesso, venivano concepiti come un luogo
freddo, triste. Era anche luogo di passaggio del sole e della luna
dopo che scomparivano dall’ orizzonte7.
In tutta la mesoamerica infatti si riteneva che il sole dopo avere
attraversato, durante il giorno, il cielo, scendesse negli inferi.
Raggiunto il paese e gli dei della morte viaggiando di notte da ovest
ad est, l’astro giungeva in tempo per risalire in cielo ogni
mattina. Durante tale tragitto perdeva parte della propria energia e
l’uminosità. Ciò per due motivi:
- perchè subiva l’influsso malefico delle divinità degli Inferi;
- perché utilizzava buona parte delle proprie forze per sconfiggere i signori del male, contro i quali intratteneva una quotidiana lotta.
Ora
poiché il sole si sacrificava ogni giorno, i Maya erano in dovere di
ridargli l’energia persa durante il percorso, se non altro per
perdurare il cosmo. Ciò poteva essere fatto solo con il sacrificio
di sangue. I Maya sicuramente credevano in un aldilà. Il popolo
riteneva che vi fosse una regione sotterranea abitata dai morti. Zona
governata dal signore della morte Cisin ripetutamente raffigurato nei
codici maya. Molte chiare sono le informazioni riportate dai due
mayanisti Linda Shele e David Freidel8
circa la cosmogonia maya. Essi scrivono che:
Il
mondo dei maya era formato da tre strati sovrapposti: la volta
stellata del cielo, il Mondo mediano, fatto di pietra, della terra,
creata per fiorire e fruttificare grazie al sangue dei re, e le acque
scure del Mondo sotterraneo. Dire tuttavia che i maya li
considerassero tre regioni distinte significherebbe dare
un’impressione sbagliata, poiché essi erano convinti che tutte le
dimensioni dell’esistenza fossero interrellate fra loro. Inoltre i
tre regni erano considerati vivi e dotati di potere sacro, compreso
il cielo, rappresentato da un grande mostro simile a un coccodrillo.
Questo Mostro cosmico produceva la pioggia quando spargeva il proprio
sangue, in un contrappunto soprannaturale ai sacrifici regali
compiuti sulla terra sottostante.[…]Il mondo sotterraneo veniva
chiamato Xibalbà.[…] Al tramonto Xibalbà ruotava, spostandosi al
di sopra della terra per divenire il cielo notturno. Il piano
dell’esistenza umana, così come l’Oltremondo, era un luogo
sacro. I Maya concepivano il mondo umano come una regione che
galleggiava sul mare primordiale; a volte, infatti, rappresentavano
la terra come il dorso di un caimano o di una tartaruga. I quattro
punti cardinali costituivano la griglia di riferimento fondamentale
per la comunità maya e per la superficie del mondo; per i Maya,
però, l’asse principale del Mondo mediano era il percorso del
sole, che si spostava da oriente a occidente nel suo viaggio
quotidiano. Ogni direzione della bussola era associato a un albero
speciale, a un uccello, a un colore, alle divinità legate al suo
dominio e ai riti relativi a quelle divinità. L’est era rosso ed
era anche la direzione più importante, perché era da quella parte
che sorgeva il sole. Il nord, definito a volte il lato del
paradiso, era bianco, ed era la direzione da cui provenivano le
piogge fresche dell’inverno; inoltre era la direzione della stella
del nord, intorno a cui ruota l’asse del cielo. L’ovest, il luogo
dove il sole scompare o m
uore, era
nero. Il sud era giallo ed era ritenuto il lato
destro, o grande lato del sole. In base alla concezione maya, nella
parte superiore di ogni mappa doveva figurare sempre l’est, e non
il nord.
Questo
modello del mondo, tuttavia, era circolare, oltre che quadrangolare.
I quattro punti cardinali erano visti anche in relazione al centro,
che aveva anch’esso un colore (verde-azzurro), delle divinità, un
uccello e un albero. I Maya immaginavano che in quel punto centrale
vi fosse un asse chiamato Wacab Chan[…]. L’albero che
simboleggiava questo asse si trovava nello stesso tempo in tutti e
tre i regni verticali: il tronco attraversava il Mondo mediano,
mentre le radici affondavano fino al nadir nella regione acquea del
Mondo sotterraneo, e i suoi rami s’innalzavano fino allo zenit
nello strato superiore della regione celeste dell’Oltremondo.[…]
Inoltre non sempre Xibalba si trovava al di sotto del mondo
terrestre, poiché di notte ruotava in modo da prendere posto in
alto, nel cielo notturno. I Maya consideravano le stelle e le
costellazioni, i pianeti e la luna, come esseri viventi che
interagivano con i cicli naturali e sociali del Mondo mediano. Per
gli antichi Maya il mondo delle stelle era vivo quanto il mondo
dell’umanità. L’osservazione astronomica non era una questione
di semplice curiosità scientifica, ma una fonte di conoscenze vitali
su Xibalba e i suoi poteri. Gli schemi del cielo riflettevano le
azioni e interazioni di quegli dei, spiriti e antenati, con gli
esseri viventi del Mondo mediano. Tanto il re quanto il comune
cittadino regolavano la loro esistenza su quegli schemi, o altrimenti
ne subivano le conseguenze ”.
Il
mondo che, secondo i Maya, venne distrutto e ricostruito per ben tre
volte, era considerato indissolubilmente legato a quello spirituale.
Per tale motivo, il popolo mostrava grande reverenza per gli dei, cui
non dovevano mai venir meno sacrifici e devozione.
Mercedes
de la Garza scrive:
“secondo
i Maya, queste entità soprannaturali avevano creato l’universo con
una finalità precisa: perpetuare la propria esistenza attraverso un
essere che differisce dagli altri grazie alla consapevolezza di sé,
cioè l’uomo, convertito, in tal modo in motore e fulcro del
cosmo[…] perciò, nonostante le deità maya fossero, sotto molti
aspetti, superiori all’uomo e possedevano le capacità di creare,
erano state concepite come entità imperfette che nascevano e
morivano, quindi bisognose di essere alimentate per sopravvivere”.9
A
seguito di tale concezione e per il legame tra il cielo e la terra,
il sacrificio acquisiva un forte significato, un’importanza
fondamentale in quanto permetteva di fare andare avanti le ruote del
tempo e del calendario. David Webster, a ragione di ciò, scrive:
“uomini,
animali, piante e perfino dei erano soggetti a cicli di morte e di
rinascita. era compito degli uomini eseguire riti e fare sacrifici
per ripagare il loro debito con gli dei e con gli antenati, nutrirli
ed evitare il caos e i disastri assicurando equilibrio ed ordine in
tutte le cose”.10
Le
conseguenze di una mancata devozione potevano essere disastrose e
l’ira degli dei implacabile. L’uomo maya doveva assolvere i suoi
doveri, se non voleva scomparire come era successo già
precedentemente con le tre distruzioni
4
Diego De Landa, op. cit., pag. 157.
8
Linda Shele-David Freidel, op. cit., pagg. 67-68.
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