Erasmo
da
Rotterdam
(Basilea 1469 – 1536) fu filologo, polemista e teologo. Importante
è il suo insistere sulla necessità di una profonda riforma
religiosa e morale, attraverso il ritorno al cristianesimo antico.
Alle sottili e inutili diatribe dei teologi, alla sterili
prescrizioni ritualistiche dei monaci, Erasmo oppone la filosofia del
Cristo (philosophia
Christi)
intesa come recupero dell’autentico messaggio di Gesù, ritorno al
cristianesimo primitivo colto nelle sue originali fonti, lettura del
Nuovo Testamento e delle opere dei Padri greci e latini. Da ciò
l'importanza di rileggere e interpretare il più fedelmente possibile
il Vangelo, il quale, per l'importanza che riveste, deve essere messo
nelle mani di tutti, anche degli incolti. Non è possibile, infatti,
che resti una lettura riservata a pochi teologi e monaci, cioè ad
una parte veramente minima della Cristianità, che è stata,
peraltro, responsabile di avere occultato il messaggio di Cristo con
la filosofia aristotelica e con dispute su problemi del tutto
estranei al primitivo cristianesimo. Inoltre, gli esponenti della
Chiesa hanno avvilito la pietà cristiana riducendola ad un
estrinseco ritualismo e formalismo. Tutti questi argomenti vengono
affrontati nelle sue opere: Enchiridion
militis christiani (1503), Elogio della Follia (1509), Colloquia
(1519).
Nel vastissimo Epistolario
Erasmo prospetta la costituzione di una società di uomini nuovi,
formata da intellettuali, da politici e da prelati accomunati dai
medesimi ideali di riforma e capaci di lavorare insieme per
realizzarla.
Frequente
in Erasmo è l’appello all’uso della ragione; ragione intesa come
strumento capace
di portare l'equilibrio, di analizzare ed affrontare i problemi. Una
ragione, quindi, che non cessi di indagare in nome di dogmi. Queste
sue concezioni gli causeranno le accuse dei teologi, che polemizzano
contro di lui perché, in nome della ricerca e della ragione, ha
rinunciato a qualsiasi certezza dogmatica. Questo suo atteggiamento
di dialogo e di confronto con le tesi altrui è sempre presente,
anche quando divamperanno le prime polemiche contro la predicazione
di Lutero. Di Lutero Erasmo condivise la critica alla corruzione
della Chiesa e degli ordini monastici, ma non volle mai porse contro
la Chiesa di Roma, a cui, anzi, rimase sempre fedele, pur non
facendosi mai paladino di Essa.
La
polemica contro Lutero lo porterà a scrivere il De
libero
Arbitrio
(1524). In questo lavoro Erasmo procede con equilibrio e serenità,
mostrando l'inutilità di imbattersi in dispute religiose che il più
delle volte sono inutili, e certamente contrarie alla vera pietà
cristiana. L'argomento principe di quest'opera è la difesa del
libero arbitrio. Si trova, però, d'accordo con Lutero e con la sua
polemica contro l’abuso delle pratiche penitenziali e delle
indulgenze. Su un punto fondamentale Erasmo rimane sempre contrario a
Lutero, e cioè la sua negazione radicale del valore delle opere.
Tale tesi
luterana, dice Erasmo, favorisce gli empi. Le opere non vanno,
quindi, depauperate del tutto di importanza. Bisogna, semmai, trovare
la via di mezzo, cioè dare importanza alle opere riconoscendo sempre
e comunque il potere più grande della grazia. Lutero accuserà
Erasmo, per questa sua posizione, di scetticismo e di irreligione.
Per Lutero, infatti, è necessario sostenere la tesi dell’assoluta
imperscrutabilità della giustizia divina, la quale giustifica e
salva in maniera incomprensibile per noi, col concorso della sola
fede, e non per le opere pie dell’uomo peccatore. Erasmo, però,
avvilito dalle lotte e dai conflitti nati con il luteranesimo non gli
risponderà più. Per lui, infatti, era venuto meno una componente
essenziale del confronto, e cioè il pacifico dialogo e la diatriba
mediante ragione. Fondamentale infine è la distinzione operata da
Erasmo tra dottrine fondamentali (fundamenta)
e quelle indifferenti (adiaphora).
Distinzione fatta al fine di potere ritrovare l’unità della
Cristianità e la tolleranza.
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