Il
culto dei morti ebbe le sue origini nella civiltà olmeca per poi
diffondersi in tutta la mesoamerica. Esso, chiarisce lo studioso Paul
Gendrop,
“esprime
un bisogno di eternità e implica necessariamente la credenza in
un’aldilà migliore, e continuerà a consolidarsi e a codificarsi
attraverso i secoli dando luogo a offerte sempre più ricche.”1
Gli
antenati deceduti andavano a collocarsi nell’ oscuro regno di
Xibalba. Secondo la tradizione maya, chiarisce Martin Brennan,
“un
portale centrale di comunione con gli inferi si trova al confine
meridionale della via Lattea, quando essa appare diritta nel suo
tragitto da nord a sud. È il tragitto seguito dai morti nel cammino
ultraterreno, ma anche nella mitologia, dato che gli Eroi Gemelli
seguono tale sentiero quando vanno ad affrontare gli dei nel Mondo
Sotterraneo “.2
Il
culto dei morti ricopriva un ruolo di primaria importanza nel sistema
spirituale maya, poiché i mesoamericani, scrive David Webster,
credevano che:
Questo
concetto viene ulteriormente chiarito da Martin Brennan che afferma:
“vediamo
così un mondo dove la morte non impedisce ad una persona di
appartenere a una unità sociale e dove i morti reali vengono colmati
di attenzioni. Secondo i maya gli spiriti ancestrali che risiedono
nel cielo godono maggiormente della benevolenza e dell’ influenza
divina e quindi è naturale chiedere ad essi di assistere la comunità
dei vivi e intercedere presso gli dei”.4
Agli
antenati, che divenivano quindi un mezzo per mantenere l’ordine del
mondo, venivano fatte complesse sepolture. I morti si andavano a
collocare tra il divino e la terra, pertanto ricoprivano un ruolo di
mediatori, e divenivano garanti dei bisogni dell’ uomo. Tale idea è
di origine olmeca. Lo si può capire dalle parole di Juan, sciamano
olmeco, che dice al dott. Forgiane che:
“il
viaggio dello spirito era l’esperienza definitiva, rappresentava
ciò che gli i re-sciamani riuscivano a fare già in vita, essere i
garanti dell’ ordine cosmico. Quando un olmeco moriva ritornava fra
gli antenati e diveniva un protettore, uno spirito soprannaturale
come il giaguaro, garante di quest’ ordine superiore che
si
rifletteva anche sulla terra. E questo valeva ancora di più se a morire era un dignitario o un sovrano. Per costoro venivano eretti tumuli piramidali come a La venta, oppure tombe in colonne di basalto”.5
rifletteva anche sulla terra. E questo valeva ancora di più se a morire era un dignitario o un sovrano. Per costoro venivano eretti tumuli piramidali come a La venta, oppure tombe in colonne di basalto”.5
Non
tutti i defunti avevano la stessa importanza spirituale quindi, fatto
questo che viene chiarito da David Webster, che scrive:
“Molti antenati venivano probabilmente
dimenticati dopo cinque o sei generazioni e relegati in un reame
generico di spiriti essenzialmente anonimi. […]Tuttavia gli
antenati di uomini illustri erano particolarmente potenti e
significativi. I più importanti venivano ricordati a lungo e
dovevano essere accuratamente propiziati: non erano tanto venerati,
quanto si riconosceva loro ancora una forte rilevanza per le
questioni politiche e rituali della vita”.6
Il
sovrano Pacal,che seppe assicurare prosperità e benessere durante
il periodo della suo regno, venne ricordato con grande devozione dai
suoi sudditi e dalla classe nobile. La sua tomba è la più sontuosa
che sia mai stata ritrovata in tutta la mesoamerica, e venne trovata
quasi per caso dall’ archeologo messicano Alberto Ruz negli anni
quaranta. L’archeologo si rese conto, scrive Peter James, che:
“una
delle grandi pietre che lastricavano il pavimento del tempio [delle
Iscrizioni]7
presentava sulla superficie una doppia fila di fori otturati. Si
trattava di una botola sotto la quale scoprì una rampa di scale che
portava al piano interrato. Questo passaggio segreto, che scendeva
fino a 21 metri di profondità, era così ostruito dal pietrisco che
occorsero due anni per liberarlo. Alla fine Ruz e i suoi
collaboratori si trovarono di fronte a un’altra enorme lastra
triangolare davanti alla quale era posta una pietra scavata in cui
erano accatastati vasellame, oggetti in giada preziosa, conchiglie e
perle. Nelle vicinanze rinvennero i corpi di sei giovani:
probabilmente offerti in sacrificio assieme agli oggetti “.8
Scrive
Eric Thompson che:
“rimossa
la lastra di pietra, Ruz e i suoi collaboratori si sono trovati in
una vasta stanza a finta volta […] le pareti erano decorate con
nove figure di stucco in rilievo (forse le nove divinità degli
inferi); gran parte della stanza era occupato da un enorme sarcofago
di pietra dal coperchio
magnificamente
scolpito ( il solo coperchio pesa sulle cinque tonnellate). Il
sarcofago conteneva lo scheletro del re, ornate di giada e da una
perla a goccia lunga più di due centimetri e mezzo. Dal volto gli
era caduta una magnifica maschera composta da duecento pezzi di
giada. A ogni dito portava un anello di giada, e di giada erano anche
le sue collane e i braccialetti. In totale, l’accompagnavano 978
pezzi di giada: un favoloso tesoro per i maya”.9
Questo
ritrovamento fa giungere alla conclusione, affermata dallo studioso
Michael Coe,
“che
il Tempio delle Iscrizioni fosse un monumento funebre avente
esattamente la stessa funzione primaria delle piramidi egizie, cosa
questa che, com’è ovvio, induce a pensare gran parte dei
templi-piramidi maya quali monumenti sepolcrali, dedicati
all’adorazione dei re defunti. Conclusione, questa, convalidata da
molti ritrovamenti nell’Area Centrale, e non solo nei siti davvero
grandi”.10
Pierre
Becquelin sottolinea maggiormente questo fatto e scrive che:
Per
molto tempo siamo rimasti stupiti e abbiamo paragonato la piramide
dell’Egitto faraonico alla piramide maya, facendo notare che la
prima non aveva altra funzione se non quella di proteggere una tomba
regale mentre l’altra, anche se poteva raggiungere una dimensione
notevole, non era dopotutto se non una piattaforma. In realtà anche
la piramide maya racchiude una tomba; le sue notevoli dimensioni non
si giustificano solamente con il fatto che essa nasconde il sovrano
deificato, ma anche perché serve da scala-come dimostrano i gradoni
che formano le terrazze- fra la terra e il cielo. Il tempio, che si
raggiunge dopo una faticosa e lunga ascesa, delude per l’esiguità
dello spazio interno come per l’oscurità che vi regna, ma i limiti
tecnici non ne sono la solo causa: prima di essere usata negli
edifici, la volta ricopriva le tombe, e il tempio è il più delle
volte un monumento funerario entro il quale poteva officiare un
ristrettissimo numero di persone. Il sovrano, scolpito nella pietra,
appare come la suprema autorità in campo civile, militare e
religioso. Gli altri personaggi che possono accompagnarlo appaiono
generalmente di dimensioni minori e chiaramente presentati in un
atteggiamento di deferenza[…]i riti che gli competono sono
soprattutto sacrificali e autosacrificali: se raramente è
rappresentato occupato a mortificarsi, gli strumenti e i simboli di
questi riti l’accompagnano invece sovente”.11
La lastra è una sintesi della visione spirituale del
cosmo dei maya. Pacal, afferma Herbert Wilhelmy, viene rappresentato
come un giovane che
“
siede inclinato all’indietro sulla maschera del demone delle
tenebre e tra le fauci della morte. I monili sulle braccia, le gambe
ed il busto, coprono il suo corpo nudo. Si diparte da lui, a forma di
croce, l’albero degli Inferi, sulla cui cima si trova un uccello
benevolo. Il giovane e l’albero che lo sovrasta simboleggiano
insieme l’idea della eterna e indistruttibile forza vitale e del
continuo rinnovamento”.12
In maniera specifica l’ uccello rappresentato
è, come sottolinea Peter James13,
un quetzal, che rappresentando il cielo, è chiarificante dell’ascesa
spirituale di Pacal. Il trono che ha le caratteristiche del giaguaro,
personifica il sole morto, la cui rinascita, associata al sovrano, è
testimoniata sia dall’uccello che dalla ceiba, che alza i suoi rami
fino al cielo. Il bassorilievo evidenzia tre temi di importanza
notevole: il serpente, il giaguaro e il quetzal, il tutto unito
dall’albero sacro, portale dei tre mondi. La lastra è, come
sottolinea Martin Brennan,
“la
recita di una resurrezione dalla morte, un risveglio che dà inizio
all’ascesa nel divino regno degli antenati”.14
Il
simbolismo di questo coperchio è ben riassunto da Pierre Becquelin
che osserva:
La
scena scolpita sul coperchio è incorniciata da una fascia
celeste divisa in pannelli, ciascuno
dei quali contiene un simbolo astronomico: cielo, stella, sole, luna.
Il defunto occupa una posizione centrale; cade all’indietro nelle
fauci scheletriche del mostro terrestre: in altri termini discende
agli inferi. Proprio sotto Pacal si riconosce una maschera di
prospetto; anch’essa con le fauci scheletriche, la cui fronte che
reca il segno kin
(giorno,sole), è sormontata dall’emblema tripartito formato dalla
conchiglia, dalla spina e dal segno cimi
(morte). Al di sopra e dietro il sovrano morto s’innalza una croce
(l’albero della vita), le cui estremità sono formate da teste di
serpente stilizzate e ornate di gioielli di giada. Alla sommità
della croce sta un uccello fantastico, detto uccello-serpente per im
suoi numerosi caratteri retteliformi, al di sotto si trova un
serpente bicefalo dalle fauci spalancate dalle quali esce un piccolo
dio. Sul tronco della croce è disegnata sommariamente la testa del
dio solare. Questa composizione tradizionale in mesoamerica, presenta
tre livelli del cosmo: gli Inferi, la Terra e il Cielo sotto forma di
un albero gigante (ceiba). I Maya credevano infatti che questo albero
sacro, piantato al centro dell’universo, sprofondasse le radici
nell’inframondo e che il tronco e i rami trapassassero i vari
livelli che componevano il cielo”.15
Possiamo
affermare che il ruolo sacro del re presso i maya era molto grande, e
ciò ci viene testimoniato anche dall’arte, ove gli dei, i mostri,
gli antenati hanno un bell’invadere l’acconciatura e le vesti del
re. Tutte queste creature si stringono attorno a lui, che rimane il
personaggio più importante. Tutti gli esseri celesti appartengono ad
un mondo al quale il sovrano partecipa: egli evoca gli antenati che
sono garanti della sua legittimità e si circonda degli dei in quanto
egli è uno di loro e non certo un minore. Questo è provato dal
fatto che fin’ora non è stato trovato del periodo classico un solo
tempio dedicato ad un dio.
Nella
località di Miraflores sono state ritrovate altre tombe. Una di
queste, venne fatta, informa Eric Thompson,
“scavando dalla cima un pozzo a gradini
di trentadue metri, in fondo al quale vi era la tomba, un locale di
circa trentun metri per trenta. Questo era stato coperto con un tetto
di travi di legno posate dopo la sepoltura e poggianti su pali
profondamente infissi in ogni angolo della fossa. Gli interstizi tra
le travi erano poi stati riempiti con canne e il tutto coperto di
stuoie. Il capo defunto giaceva, dipinto di rosso, su una lettiga di
legno deposta sul pavimento della tomba; i ricchi arredi per la vita
dell’aldilà erano ammassati intorno alla lettiga, riempiendo tutto
lo spazio del pavimento, e altri ancora posati sul tetto dopo che era
stato sistemato e sui gradini del pozzo. Un uomo adulto,
probabilmente sacrificato per servire il suo signore nell’altro
mondo, giaceva sull’ultimo gradino della scala con le gambe distese
fin sul tetto della tomba. Alla fine delle cerimonie dell’inumazione il pozzo era stato riempito e un
nuovo pavimento collocato in cima alla piattaforma”.16
Questo
ritrovamento fa giungere Eric Thompson alla conclusione che
“La
natura della sepoltura, come pure la presenza del servo, quasi
certamente sacrificato durante il funerale del padrone, indicano una
forte credenza nella vita futura”.17
L’uomo
era stato dipinto di rosso perché questo colore rappresenta la
terra. La terra veniva considerata dai maya, allo stesso modo degli
olmechi: una divinità rigeneratrice. Juan spiega ciò molto
chiaramente quando dice che:
Lo
sciamano chiarisce che gli olmechi veneravano in origine una Dea
Madre, in seguito personificata nel giaguaro. La dea sosteneva il
simbolo della trasformazione e della rigenerazione, oltre che essere
sintesi del maschile e del femminile. Alcuni bassorilievi olmechi
mostrano una dea ll’interno di caverne, la cui entrata ha la forma
delle fauci del giaguaro. La caverna rappresenta l’utero e il suo
potere vitale. La venerazione degli antenati è testimoniata anche
dal fatto che spesso sotto i pavimenti delle stanze delle abitazioni
si sono ritrovate resti di uomini e di donne. Il culto degli avi
crebbe di notevole importanza nel periodo tardo, e ciò viene
confermato dal fatto che ogni residenza nobiliare aveva la propria
cappelletta o in una stanza interna, cosa diffusa a Maypan, o in una
costruzione staccata.19
I
riti funerari potevano variare da una provincia all’altra.
Guy
Annequin scrive che
“nel
Chiapas si usava seppellire dentro grandi giare, presso i Cocom di
Maypan, la testa del defunto veniva tagliata e fatta bollire; dopo di
ciò essa veniva rimpiazzata con una maschera modellata con una
materia bituminosa. Alcune di quelle teste di antenati venivano
conservate sull’altare e ricevevano offerte in occasione di
numerose feste”.20
Nello
Yucatan ci informa Eric Thompson
“il
figlio fa fare una statua di suo padre in legno, con un foro un po’
sopra alla nuca. Fa bruciare una parte del cadavere e mette la cenere
nel buco, poi sopra vi incolla un pezzo della pelle del morto preso
in quello stesso punto. Il resto va seppellito. La gente conserva in
casa queste statue insieme a quelle degli dei domestici, e le venera
come le altre”21.
Tale
usanza venne osservata anche dal monaco De Landa. Per tutto il corso
della storia maya, dal periodo della formazione all’arrivo degli
spagnoli, ad Uaxactun si ebbe, afferma Guy Annequin,
“la
consuetudine consistente nel togliere le ossa e le carni dal viso per
poi modellargli un nuovo volto con la gomma e con altri materiali”.22
Alcune
volte, in tutto il territorio maya, si toglievano i femori dei
defunti, e, il cranio segato, veniva posto in mezzo alle ginocchia
per rimpiazzare i femori mancanti. Spesso le donne seppellivano
insieme al defunto il proprio indice tagliato. Questa usanza nasceva
dal fatto che tale dito, come scrive Martin Brennan,
Tale
culto, spiega lo studioso, non era diffuso solo nella Mesoamerica ma
anche nelle Grandi Pianure, tanto che i pellerossa nella lotta
contro gli americani usavano tagliare gli indici degli sconfitti che
appendevano alla collana che portavano addosso. Un’usanza diffusa
in tutto il territorio maya era invece quella di seppellire il cane
del morto, in maniera che l’animale potesse guidare l’ombra del
defunto nel cammino degli inferi. Nel periodo formativo era usuale
seppellire i defunti in posizione fetale, coprirli con fogli di palma
e tingerli di rosso. Questo modo di operare mostrava una religione
più primitiva ancorata ancora al culto della Dea Madre. Chi se lo
poteva permettere metteva una perla di giada, oltre una manciata di
chicchi di mais, nella bocca del defunto perché vi si trasferisse
l’anima che lasciava il morto, poi la pietra veniva strofinata
leggermente sul viso del morto. La giada, scrive Victor von Hagen,
aveva non solo un significato spirituale, ma anche pratico, in quanto
servendo anche da moneta, permetteva al morto di non rimanere senza
qualcosa da mangiare nell’altra vita. Alcune volte anche la moglie,
ancora in vita, veniva seppellita insieme al marito per accompagnarlo
nell’aldilà. il culto dei morti aveva grande presa nei maya
quindi, e ciò viene confermato sia dal complesso rituale di
trattamento e lavorazione del cadavere sia dal fatto che i loro
tabernacoli venivano collocati o in casa dei parenti o in un luogo
vicino ad essa. Il credo nella vita eterna ebbe molta importanza
nell’animo maya. I mesoamericani erano convinti che le anime
andassero in un luogo, probabilmente Xibalba, e che i re ascendessero
direttamente in cielo. Probabilmente i maya credevano in una specie
di paradiso e di inferno. Quelli che avevano rispettato i riti, e
cioè i buoni, andavano all’ombra del primo albero del mondo a bere
tazze di cioccolata.24
“Questo
popolo ha sempre creduto all’immortalità dell’anima di più di
molte altre genti, anche senza essere di pari civiltà; riteneva
infatti che dopo la morte ci fosse un’altra vita di gran lunga
migliore, di cui l’anima, staccandosi dal corpo, andava a godere.
Questa vita futura, a quanto affermavano poteva essere buona o
cattiva, piena di castighi o priva di ogni pensiero. Quella cattiva e
caratterizzata da gravi pene era riservata a quelli che avevano
vissuto nel vizio e quella buona e dilettevole a coloro che, a loro
giudizio, avevano vissuto bene; i piaceri, di cui, a quanto dicevano,
avrebbero goduto se erano buoni, consistevano nell’andare in un
luogo molto bello dove nulla poteva dare fastidio e dove avrebbero
avuto in abbondanza sempre da mangiare cibi di grande dolcezza e un
albero di grande ombra che essi chiamavano Yaxchè, molto fresco,
che è il ceiba, sotto i cui rami ombrosi essi avrebbero sempre
riposato e oziato.
Le
sofferenze della cattiva vita dell’aldilà che, a quanto dicevano,
avrebbero dovuto sopportare i malvagi consistevano nell’andare in
un luogo inferiore chiamato mitnal,
che vuol dire inferno, e nell’esservi tormentati dai demoni e da
gran fame, freddo, stanchezza e tristezza. Pensavano che in questo
luogo vi fosse un diavolo principe di tutti i demoni al quale tutti
gli altri obbedivano […]; credevano inoltre che tanto la vita buona
come quella cattiva (nell’aldilà) non avrebbero mai avuto fine,
dato che l’anima era immortale.
Affermavano
anche, ed erano sicuri di ciò, che nel loro paradiso andavano quelli
che si impiccavano, per cui c’erano molti che, anche per
insignificanti motivi di tristezza, lievi traversie o infermità, si
impiccavano per sottrarsi alle stesse e recarsi a godere del paradiso
dove, a quanto dicevano, veniva a condurli la dea del capestro che
chiamavano Ixtab. Non
sapevano nulla della resurrezione dei corpi[...]. ”26
I
maya superstiti dovevano rispettare certi tabù, in quanto erano
socialmente contaminati; secondo la legge dovevano compiere riti
prescritti, perché in caso contrario il morto sarebbe tornato sulla
terra a manifestare ai vivi le proprie esigenze. Erano imposte loro
anche privazioni di vario genere. La morte del marito rendeva la
donna impura e la sua impurità durava fino a quando non aveva reciso
il suo legame con il marito.
Scrive
Victor Von Hagen che :
“secondo
i maya anche gli animali avevano un’anima e il cacciatore, pur
uccidendoli, dovevano mostrar loro rispetto, perché in caso
contrario gli altri membri della specie non si sarebbero più
lasciati uccidere”.27
Comunque sia il loro ruolo da morti diveniva
ancora più importante che da vivi, in quanto più vicini agli dei, e
maggiormente partecipi della loro benevolenza, divenivano di
fondamentale importanza per il mantenimento dell’ordine cosmico.
Sebbene morti il maya agiva sempre nella società e il suo ruolo
diveniva sostanziale al funzionamento del cielo-terra.
Norman
Hammond scrive che :
“sembra
che gli antichi maya considerassero la morte non tanto come una
cesura definitiva quanto piuttosto come un cambiamento di condizione,
che consentiva agli antenati di rimanere legati ai loro discendenti
in vita.”28
Conseguentemente
era in uso presso i maya il seppellire gli abitanti di una casa sotto
il pavimento di terra battuta, e dopo una serie di queste tumulazioni
l’edificio era abbandonato e unanimemente considerato un cimitero
sacro.
Il Codice di Parigi: Il Libro dei Morti Maya
Un
testo di fondamentale importanza per la comprensione della metafisica
maya è il Codice di Parigi, il libro dei morti maya. Non si conosce
la data di nascita di tale testo, gli studiosi ipotizzano che sia
anteriore al codice di Dresda. Questa supposizione sorge poiché il
Codice di Dresda è un misto di tradizione antica e tradiva (IX
sec. D.c.). E’ certo che il rituale di
Parigi sia posteriore alla colonizzazione (1520) e costituisce la
riedizione di un testo molto antico. La sua traduzione ha permesso di
potere avere una più chiara visione dell’idea dell’Oltremondo
maya, oltre che a farci conoscere l’originale pensiero metafisico
maya del periodo classico.
Le
poche conoscenze dell’infrarregno maya non rispecchiano la
tradizione classica, in quanto, con la discesa dei messicani, gli
indios assorbirono elementi della cultura tolteca-azteca.
Il
codice, uno dei pochissimi documenti scampati alla barbaria iberica,
è una reziosissima testimonianza del pensiero metafisico maya
classico. Pensiero che è assolu-tamente superiore alle religioni
degli altri popoli mesoamericani. Il culto degli avi; la fede nella
ciclica rinascita degli esseri umani; lo stretto legame tra la
fecondità umana e quella delle piante sostentatrici: sono le
complesse argomentazioni trattate nel manoscritto. Il codice, composto da vari libri, di cui nessuno completo,
fornisce il rituale completo da seguire per aiutare il defunto, dopo
il suo decesso, a raggiungere la metamorfosi dell’anima e quindi la
reincarnazione nel corpicino di un infante, prima
della gestazione. La concezione del ritorno ciclico dei trapassati è
il fulcro del testo e tale credo, afferma Paul Arnold, costituisce il
motore dell’universo, in quanto la terra poggia
sull’interdipendenza di vivi e di morti. La ritualità deve essere
osservata, e non può essere altrimenti, almeno che non si voglia
fare sparire l’umanità a causa delle mancate reincarnazioni. Guida
dei morti e anello di congiunzione dei due piani di esistenza
(defunti e vivi) è il Chilam. I Maya contemporanei hanno in parte
conservato la propria tradizione, e il sacro Tzolkin stesso non è un
reperto archeologico, bensì un calendario vivo che, tutt’ora,
mantiene il suo carattere mistico-divinatorio in alcuni territori
maya. Si è però perso ogni traccia e ricordo delle mansioni del
Chilam, e solo ora, dopo 500 anni, si stanno colmando le molte lacune
in tal senso. La figura di questo sacerdote era però centrale
nell’universo maya classico: era lui che raggiungeva Xibalba, che
guidava i morti, che li riportava indietro e che li faceva rinascere.
Era lui che prediceva il futuro, che entrava in estasi e parlava con
le divinità.29
Le sue mansioni furono tante e tutte importantissime, in quanto
garantivano il non annichilimento del mondo. La perdita della sua
memoria è per i maya una delle perdite più gravi. La dominazione
messicana e spagnola hanno infatti cancellato la figura del massimo
sacerdote, di colui, cioè, che con i suoi rituali permetteva
all’umanità di non scomparire e alla vegetazione di rifiorire
ritmicamente.
Il
testo sacro spiega la stretta connessione e legame tra la ciclica
reincarnazione degli esseri umani defunti e la ciclica rinascita
della natura, delle piante e, in special modo della pannocchia di
granoturco, elemento base della dieta mesoamericana.
Quando
gli Spagnoli giunsero in Messico, vennero a conoscenza del complesso
sistema metafisico azteco e del loro paradiso e inferno.30
Per i messicani, la maggioranza dei trapassati, giungeva nel Mictlan,
un luogo pieno di torture e di trappole.
Gli
Aztechi, popolo fortemente guerriero, assicuravano al combattente,
specialmente a quello deceduto in guerra, un destino migliore. Stessa
cosa per i mercanti e per le donne morte durante la gestazione. I
primi perché mostravano un ammirevole coraggio, simile a quello dei
soldati, nell’attraversare territori pieni di insidie e di nemici
al fine di potere portare le merci a destinazione. Le seconde perché,
come i guerrieri, sacrificavano se stesse per portare a termine il
parto. Ai guerrieri, ai mercanti e alle donne gravide spettava
pertanto una sorte privilegiata: essi ascendevano in cielo per
accompagnare il sole. Questo compito veniva svolto dagli uomini
dall’alba al mezzogiorno, e dalle donne da mezzogiorno al tramonto.
Una volta che tale mansione era stata adempiuta, gli uomini
ritornavano in terra sotto forma di farfalle e colibrì, le donne,
invece, sotto forma di inquietanti fantasmi. Un destino diverso
spettava invece a coloro che morivano affogati o colpiti da fulmini.
Essi, morti a causa degli dei della pioggia, andavano nel regno delle
divinità collocate sulle alte cime, spesso coperte da nubi.31
Questo triste ultimo destino veniva descritto dai Maya al tempo della
conquista iberica. La maggioranza dei Maya, dopo il decesso, scendeva
a Xibalbà, corrispettivo di Mictlan, e luogo, come quest’ultimo,
pieno di insidie, torture ed orrori. Sorte diversa spettava però ai
guerrieri, ai sacerdoti, alle donne morte durante la gestazione e a
coloro che si toglievano la vita mediante impiccagione. Questi
trovavano l’eterno gioioso riposo sotto l’ombra della sacra ceiba
attraversante i tredici cieli.32
Non si vede, comunque, in tale concezione metafisica, alcun cenno
alla reincarnazione o al ritorno dei morti alla vita terrena. Ciò
perché in seguito alla conquista messicana i Maya acquisirono il
l’Oltremodo azteco e persero la conoscenza classica. Quest’ultima
è testimoniata però dal Codice parigino. Vediamo ora, a grandi
linee, ciò che viene detto in questo testo: i deceduti, almeno in un
primo momento, scendono nel mondo sublunare. Questo è un luogo
sottomesso al tempo, alla nostra terra e a tutto ciò che si trova
immediatamente sopra di esso e intorno ad esso. I defunti non sono
però destinati a restare in questo stato-luogo per sempre, possono
essere infatti evocati da riti che li guidano e li istruiscono alla
rinascita. Rimangono in questo stato subito dopo la morte: prima
della decomposizione del corpo e nei primi giorni di sepoltura. Non
tutti i defunti però subiscono il medesimo destino, alcuni di essi,
infatti, finiscono in una sorta di “limbo”. Un luogo che, stando
alla traduzione di Paul Arnold, è un piano di esistenza “
purificato ”.
I
morti rimangono a girovagare nel “limbo”, sotto il segno delle
divinità, fino al momento della rinascita.
Il
bambino nato morto gode di una rinascita più veloce in quanto gode
di una ritualità speciale. I Maya pertanto erano convinti della
positività della vita terrena e concentrarono parte delle loro
energie mistiche al fine di preservare l’umanità. I riti avevano
lo scopo di permettere al defunto di trovare la via per il grembo di
una donna al fine di potere rinascere. Gli uomini defunti non erano,
pertanto, destinati a rimanere per sempre nell’Infraregno, ma si
reincarnavano incessantemente in un altro corpo.
- dopo il grande passaggio, il defunto ritorna progressivamente ad uno stato sempre più cosciente. Questa fase si svolge nel mondo “sublunare”, uno spazio temporale che giace sotto le influenze dello spazio e del tempo, e finisce prima che il deceduto abbia raggiunto lo stato “purificato”.
- raggiunta la purificazione il defunto entra nel piano d’esistenza chiamato da Paul Arnold impropriamente “limbo”. Qui subisce un’ulteriore metamorfosi e perde la sagoma umana e ogni traccia di materialità. Questa fase termina quando l’individuo è totalmente disincarnato e rimane puro spirito o anima.
- Dopo altre manipolazioni terrene e celesti, quest’anima disincarnata, spogliata del suo involucro e, pertanto anche della memoria del defunto, viene integrata alle viscere di una donna fecondata.
Si tratta della reincarnazione, la quale avviene
interamente nel mondo sublunare. Tale reincarnazione è possibile
solo quando il morto è del tutto purificato e disincarnato; e
avviene grazie ad una spinta, dapprima cieca, poi cosciente, che il
defunto riceve dall’intervento costante delle forze terrene e
celesti. Quest’ultime sono finalizzate a indicargli la strada
corretta da percorrere per incarnarsi in un ventre gravido.
In altre parole la cooperazione perpetua tra i vivi e i
morti rappresenta il necessario vettore affinché si mantenga
l’equilibrio permanente del mondo terreno con le sue morti e
rinascite.
Tutto si ripete per i maya classici, anche le anime dei
defunti si ripetono ciclicamente, e tale idea è perfettamente
conforme alla loro concezione del tempo e al loro calendario. Questi
venivano visti come il ripresentarsi del passato secondo una
successione infinita. Lo zero, simbolo di fertilità, con la sua
rappresentazione a spirale non fa che chiarire tale aspetto. Il tempo
che gira in se stesso in una serie infinità: la conoscenza del
passato per la predizione del futuro. Le nascite quindi si ripetono
alla stessa maniera del tempo e di tutte le altre manifestazioni
della natura.
Un fondamentale insegnamento del Codice parigino è lo
stretto legame esistente tra la rinascita dell’uomo e la
germinazione ciclica delle piante, tanto che i defunti vengono
definiti larve dei vegetali o semi. Il testo, addirittura, confonde
continuamente, in modo inestricabile, le operazioni delle rinascite e
le benedizioni per un abbondante raccolto. Il segno glifico della
fecondità, pertanto, si esplica in tutte le sue potenzialità, sia
umane che vegetali. La prosperità materiale si connette alla
spirituale e, viceversa, secondo un legame inscindibile. Dalla
traduzione del Rituale parigino, ad opera di Paul Arnold, possiamo
affermare che i Maya risolsero il mistero della vita mediante il
processo, incessante, delle rinascite. Queste, come già detto,
riguardano sia gli esseri umani che tutta quanta la natura con il suo
germogliare. L’uomo rimane il centro del cosmo, il mezzo del suo
perpetuamente, e il suo compito non si viene a sminuire mai. Gli si
chiede un impegno costante e perpetuo, e solo questo può scongiurare
la scomparsa del cosmo e di tutto quello che lo forma, umanità
compresa. In tal senso riaffiora e si ripresenta un concetto
fondamentale della religione maya, e cioè il suo carattere sociale e
non meramente privatistico.
1
Paul Gendrop, op. cit., pag. 9.
2
Martin Brennan, op. cit., pag. 110.
3
David Webster, op. cit., pag. 142
4
Martin Brennan, op. cit., pag. 239.
5
“Hera, Civiltà scomparse, Misteri archeologici”, articolo di
Adriano Forgione, Olmechi, Sacerdoti e Nagual, riv. cit.,
pag. 26.
7
Nota dell’autore.
10
Michael Coe, op. cit., pag. 110.
18
“Hera, Civiltà scomparse, Misteri archeologici”, articolo di
Adriano Forgione, Olmechi, Sacerdoti e Nagual, riv. cit.,
pag. 27.
22
Guy Annequin, op. cit., pag. 149.
25
Diego De Landa, op. cit., pagg. 151-152.
26
Vedremo nel prossimo paragrafo che la traduzione del Codice di
Parigi, ad opera di Paul Arnold, ci ha portato ad una conoscenza del
destino degli uomini dopo la morte molto più complessa di quelle
riportate dal De Landa e da innumerevoli altri studiosi, compreso il
Thompson.
30
Cfr. ibidem, pagg. 27-29.
31
Cfr ibidem.
32
Cfr. ibidem.
33
Cfr. ibidem, pag. 39-40, 42.
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