sabato 26 maggio 2012

Loltremondo maya

Culto dei Morti

Il culto dei morti ebbe le sue origini nella civiltà olmeca per poi diffondersi in tutta la mesoamerica. Esso, chiarisce lo studioso Paul Gendrop,

esprime un bisogno di eternità e implica necessariamente la credenza in un’aldilà migliore, e continuerà a consolidarsi e a codificarsi attraverso i secoli dando luogo a offerte sempre più ricche.”1

Gli antenati deceduti andavano a collocarsi nell’ oscuro regno di Xibalba. Secondo la tradizione maya, chiarisce Martin Brennan,

“un portale centrale di comunione con gli inferi si trova al confine meridionale della via Lattea, quando essa appare diritta nel suo tragitto da nord a sud. È il tragitto seguito dai morti nel cammino ultraterreno, ma anche nella mitologia, dato che gli Eroi Gemelli seguono tale sentiero quando vanno ad affrontare gli dei nel Mondo Sotterraneo “.2

Il culto dei morti ricopriva un ruolo di primaria importanza nel sistema spirituale maya, poiché i mesoamericani, scrive David Webster, credevano che:

“gli antenati defunti continuassero a svolgere ruoli importanti negli affari umani.3

Questo concetto viene ulteriormente chiarito da Martin Brennan che afferma:

“vediamo così un mondo dove la morte non impedisce ad una persona di appartenere a una unità sociale e dove i morti reali vengono colmati di attenzioni. Secondo i maya gli spiriti ancestrali che risiedono nel cielo godono maggiormente della benevolenza e dell’ influenza divina e quindi è naturale chiedere ad essi di assistere la comunità dei vivi e intercedere presso gli dei”.4

Agli antenati, che divenivano quindi un mezzo per mantenere l’ordine del mondo, venivano fatte complesse sepolture. I morti si andavano a collocare tra il divino e la terra, pertanto ricoprivano un ruolo di mediatori, e divenivano garanti dei bisogni dell’ uomo. Tale idea è di origine olmeca. Lo si può capire dalle parole di Juan, sciamano olmeco, che dice al dott. Forgiane che:

“il viaggio dello spirito era l’esperienza definitiva, rappresentava ciò che gli i re-sciamani riuscivano a fare già in vita, essere i garanti dell’ ordine cosmico. Quando un olmeco moriva ritornava fra gli antenati e diveniva un protettore, uno spirito soprannaturale come il giaguaro, garante di quest’ ordine superiore che si
rifletteva anche sulla terra. E questo valeva ancora di più se a morire era un dignitario o un sovrano. Per costoro venivano eretti tumuli piramidali come a La venta, oppure tombe in colonne di basalto”.
5

Non tutti i defunti avevano la stessa importanza spirituale quindi, fatto questo che viene chiarito da David Webster, che scrive:

Molti antenati venivano probabilmente dimenticati dopo cinque o sei generazioni e relegati in un reame generico di spiriti essenzialmente anonimi. […]Tuttavia gli antenati di uomini illustri erano particolarmente potenti e significativi. I più importanti venivano ricordati a lungo e dovevano essere accuratamente propiziati: non erano tanto venerati, quanto si riconosceva loro ancora una forte rilevanza per le questioni politiche e rituali della vita”.6

Il sovrano Pacal,che seppe assicurare prosperità e benessere durante il periodo della suo regno, venne ricordato con grande devozione dai suoi sudditi e dalla classe nobile. La sua tomba è la più sontuosa che sia mai stata ritrovata in tutta la mesoamerica, e venne trovata quasi per caso dall’ archeologo messicano Alberto Ruz negli anni quaranta. L’archeologo si rese conto, scrive Peter James, che:
“una delle grandi pietre che lastricavano il pavimento del tempio [delle Iscrizioni]7 presentava sulla superficie una doppia fila di fori otturati. Si trattava di una botola sotto la quale scoprì una rampa di scale che portava al piano interrato. Questo passaggio segreto, che scendeva fino a 21 metri di profondità, era così ostruito dal pietrisco che occorsero due anni per liberarlo. Alla fine Ruz e i suoi collaboratori si trovarono di fronte a un’altra enorme lastra triangolare davanti alla quale era posta una pietra scavata in cui erano accatastati vasellame, oggetti in giada preziosa, conchiglie e perle. Nelle vicinanze rinvennero i corpi di sei giovani: probabilmente offerti in sacrificio assieme agli oggetti “.8

Scrive Eric Thompson che:

“rimossa la lastra di pietra, Ruz e i suoi collaboratori si sono trovati in una vasta stanza a finta volta […] le pareti erano decorate con nove figure di stucco in rilievo (forse le nove divinità degli inferi); gran parte della stanza era occupato da un enorme sarcofago di pietra dal coperchio
magnificamente scolpito ( il solo coperchio pesa sulle cinque tonnellate). Il sarcofago conteneva lo scheletro del re, ornate di giada e da una perla a goccia lunga più di due centimetri e mezzo. Dal volto gli era caduta una magnifica maschera composta da duecento pezzi di giada. A ogni dito portava un anello di giada, e di giada erano anche le sue collane e i braccialetti. In totale, l’accompagnavano 978 pezzi di giada: un favoloso tesoro per i maya.9

Questo ritrovamento fa giungere alla conclusione, affermata dallo studioso Michael Coe,

“che il Tempio delle Iscrizioni fosse un monumento funebre avente esattamente la stessa funzione primaria delle piramidi egizie, cosa questa che, com’è ovvio, induce a pensare gran parte dei templi-piramidi maya quali monumenti sepolcrali, dedicati all’adorazione dei re defunti. Conclusione, questa, convalidata da molti ritrovamenti nell’Area Centrale, e non solo nei siti davvero grandi.10

Pierre Becquelin sottolinea maggiormente questo fatto e scrive che:

Per molto tempo siamo rimasti stupiti e abbiamo paragonato la piramide dell’Egitto faraonico alla piramide maya, facendo notare che la prima non aveva altra funzione se non quella di proteggere una tomba regale mentre l’altra, anche se poteva raggiungere una dimensione notevole, non era dopotutto se non una piattaforma. In realtà anche la piramide maya racchiude una tomba; le sue notevoli dimensioni non si giustificano solamente con il fatto che essa nasconde il sovrano deificato, ma anche perché serve da scala-come dimostrano i gradoni che formano le terrazze- fra la terra e il cielo. Il tempio, che si raggiunge dopo una faticosa e lunga ascesa, delude per l’esiguità dello spazio interno come per l’oscurità che vi regna, ma i limiti tecnici non ne sono la solo causa: prima di essere usata negli edifici, la volta ricopriva le tombe, e il tempio è il più delle volte un monumento funerario entro il quale poteva officiare un ristrettissimo numero di persone. Il sovrano, scolpito nella pietra, appare come la suprema autorità in campo civile, militare e religioso. Gli altri personaggi che possono accompagnarlo appaiono generalmente di dimensioni minori e chiaramente presentati in un atteggiamento di deferenza[…]i riti che gli competono sono soprattutto sacrificali e autosacrificali: se raramente è rappresentato occupato a mortificarsi, gli strumenti e i simboli di questi riti l’accompagnano invece sovente”.11

La lastra è una sintesi della visione spirituale del cosmo dei maya. Pacal, afferma Herbert Wilhelmy, viene rappresentato come un giovane che

“ siede inclinato all’indietro sulla maschera del demone delle tenebre e tra le fauci della morte. I monili sulle braccia, le gambe ed il busto, coprono il suo corpo nudo. Si diparte da lui, a forma di croce, l’albero degli Inferi, sulla cui cima si trova un uccello benevolo. Il giovane e l’albero che lo sovrasta simboleggiano insieme l’idea della eterna e indistruttibile forza vitale e del continuo rinnovamento”.12

In maniera specifica l’ uccello rappresentato è, come sottolinea Peter James13, un quetzal, che rappresentando il cielo, è chiarificante dell’ascesa spirituale di Pacal. Il trono che ha le caratteristiche del giaguaro, personifica il sole morto, la cui rinascita, associata al sovrano, è testimoniata sia dall’uccello che dalla ceiba, che alza i suoi rami fino al cielo. Il bassorilievo evidenzia tre temi di importanza notevole: il serpente, il giaguaro e il quetzal, il tutto unito dall’albero sacro, portale dei tre mondi. La lastra è, come sottolinea Martin Brennan,

“la recita di una resurrezione dalla morte, un risveglio che dà inizio all’ascesa nel divino regno degli antenati”.14

Il simbolismo di questo coperchio è ben riassunto da Pierre Becquelin che osserva:

La scena scolpita sul coperchio è incorniciata da una fascia celeste divisa in pannelli, ciascuno dei quali contiene un simbolo astronomico: cielo, stella, sole, luna. Il defunto occupa una posizione centrale; cade all’indietro nelle fauci scheletriche del mostro terrestre: in altri termini discende agli inferi. Proprio sotto Pacal si riconosce una maschera di prospetto; anch’essa con le fauci scheletriche, la cui fronte che reca il segno kin (giorno,sole), è sormontata dall’emblema tripartito formato dalla conchiglia, dalla spina e dal segno cimi (morte). Al di sopra e dietro il sovrano morto s’innalza una croce (l’albero della vita), le cui estremità sono formate da teste di serpente stilizzate e ornate di gioielli di giada. Alla sommità della croce sta un uccello fantastico, detto uccello-serpente per im suoi numerosi caratteri retteliformi, al di sotto si trova un serpente bicefalo dalle fauci spalancate dalle quali esce un piccolo dio. Sul tronco della croce è disegnata sommariamente la testa del dio solare. Questa composizione tradizionale in mesoamerica, presenta tre livelli del cosmo: gli Inferi, la Terra e il Cielo sotto forma di un albero gigante (ceiba). I Maya credevano infatti che questo albero sacro, piantato al centro dell’universo, sprofondasse le radici nell’inframondo e che il tronco e i rami trapassassero i vari livelli che componevano il cielo”.15
Possiamo affermare che il ruolo sacro del re presso i maya era molto grande, e ciò ci viene testimoniato anche dall’arte, ove gli dei, i mostri, gli antenati hanno un bell’invadere l’acconciatura e le vesti del re. Tutte queste creature si stringono attorno a lui, che rimane il personaggio più importante. Tutti gli esseri celesti appartengono ad un mondo al quale il sovrano partecipa: egli evoca gli antenati che sono garanti della sua legittimità e si circonda degli dei in quanto egli è uno di loro e non certo un minore. Questo è provato dal fatto che fin’ora non è stato trovato del periodo classico un solo tempio dedicato ad un dio.
Nella località di Miraflores sono state ritrovate altre tombe. Una di queste, venne fatta, informa Eric Thompson,

scavando dalla cima un pozzo a gradini di trentadue metri, in fondo al quale vi era la tomba, un locale di circa trentun metri per trenta. Questo era stato coperto con un tetto di travi di legno posate dopo la sepoltura e poggianti su pali profondamente infissi in ogni angolo della fossa. Gli interstizi tra le travi erano poi stati riempiti con canne e il tutto coperto di stuoie. Il capo defunto giaceva, dipinto di rosso, su una lettiga di legno deposta sul pavimento della tomba; i ricchi arredi per la vita dell’aldilà erano ammassati intorno alla lettiga, riempiendo tutto lo spazio del pavimento, e altri ancora posati sul tetto dopo che era stato sistemato e sui gradini del pozzo. Un uomo adulto, probabilmente sacrificato per servire il suo signore nell’altro mondo, giaceva sull’ultimo gradino della scala con le gambe distese fin sul tetto della tomba. Alla fine delle cerimonie dell’inumazione il pozzo era stato riempito e un nuovo pavimento collocato in cima alla piattaforma”.16

Questo ritrovamento fa giungere Eric Thompson alla conclusione che

“La natura della sepoltura, come pure la presenza del servo, quasi certamente sacrificato durante il funerale del padrone, indicano una forte credenza nella vita futura”.17

L’uomo era stato dipinto di rosso perché questo colore rappresenta la terra. La terra veniva considerata dai maya, allo stesso modo degli olmechi: una divinità rigeneratrice. Juan spiega ciò molto chiaramente quando dice che:

“La terra era considerata una dea. È lei che ci sostiene”.18

Lo sciamano chiarisce che gli olmechi veneravano in origine una Dea Madre, in seguito personificata nel giaguaro. La dea sosteneva il simbolo della trasformazione e della rigenerazione, oltre che essere sintesi del maschile e del femminile. Alcuni bassorilievi olmechi mostrano una dea ll’interno di caverne, la cui entrata ha la forma delle fauci del giaguaro. La caverna rappresenta l’utero e il suo potere vitale. La venerazione degli antenati è testimoniata anche dal fatto che spesso sotto i pavimenti delle stanze delle abitazioni si sono ritrovate resti di uomini e di donne. Il culto degli avi crebbe di notevole importanza nel periodo tardo, e ciò viene confermato dal fatto che ogni residenza nobiliare aveva la propria cappelletta o in una stanza interna, cosa diffusa a Maypan, o in una costruzione staccata.19
I riti funerari potevano variare da una provincia all’altra.
Guy Annequin scrive che

“nel Chiapas si usava seppellire dentro grandi giare, presso i Cocom di Maypan, la testa del defunto veniva tagliata e fatta bollire; dopo di ciò essa veniva rimpiazzata con una maschera modellata con una materia bituminosa. Alcune di quelle teste di antenati venivano conservate sull’altare e ricevevano offerte in occasione di numerose feste”.20


Nello Yucatan ci informa Eric Thompson

“il figlio fa fare una statua di suo padre in legno, con un foro un po’ sopra alla nuca. Fa bruciare una parte del cadavere e mette la cenere nel buco, poi sopra vi incolla un pezzo della pelle del morto preso in quello stesso punto. Il resto va seppellito. La gente conserva in casa queste statue insieme a quelle degli dei domestici, e le venera come le altre”21.

Tale usanza venne osservata anche dal monaco De Landa. Per tutto il corso della storia maya, dal periodo della formazione all’arrivo degli spagnoli, ad Uaxactun si ebbe, afferma Guy Annequin,


la consuetudine consistente nel togliere le ossa e le carni dal viso per poi modellargli un nuovo volto con la gomma e con altri materiali”.22

Alcune volte, in tutto il territorio maya, si toglievano i femori dei defunti, e, il cranio segato, veniva posto in mezzo alle ginocchia per rimpiazzare i femori mancanti. Spesso le donne seppellivano insieme al defunto il proprio indice tagliato. Questa usanza nasceva dal fatto che tale dito, come scrive Martin Brennan,

“veniva considerato una fonte di buona ‘medicina’ ossia di forte potere spirituale”.23

Tale culto, spiega lo studioso, non era diffuso solo nella Mesoamerica ma anche nelle Grandi Pianure, tanto che i pellerossa nella lotta contro gli americani usavano tagliare gli indici degli sconfitti che appendevano alla collana che portavano addosso. Un’usanza diffusa in tutto il territorio maya era invece quella di seppellire il cane del morto, in maniera che l’animale potesse guidare l’ombra del defunto nel cammino degli inferi. Nel periodo formativo era usuale seppellire i defunti in posizione fetale, coprirli con fogli di palma e tingerli di rosso. Questo modo di operare mostrava una religione più primitiva ancorata ancora al culto della Dea Madre. Chi se lo poteva permettere metteva una perla di giada, oltre una manciata di chicchi di mais, nella bocca del defunto perché vi si trasferisse l’anima che lasciava il morto, poi la pietra veniva strofinata leggermente sul viso del morto. La giada, scrive Victor von Hagen, aveva non solo un significato spirituale, ma anche pratico, in quanto servendo anche da moneta, permetteva al morto di non rimanere senza qualcosa da mangiare nell’altra vita. Alcune volte anche la moglie, ancora in vita, veniva seppellita insieme al marito per accompagnarlo nell’aldilà. il culto dei morti aveva grande presa nei maya quindi, e ciò viene confermato sia dal complesso rituale di trattamento e lavorazione del cadavere sia dal fatto che i loro tabernacoli venivano collocati o in casa dei parenti o in un luogo vicino ad essa. Il credo nella vita eterna ebbe molta importanza nell’animo maya. I mesoamericani erano convinti che le anime andassero in un luogo, probabilmente Xibalba, e che i re ascendessero direttamente in cielo. Probabilmente i maya credevano in una specie di paradiso e di inferno. Quelli che avevano rispettato i riti, e cioè i buoni, andavano all’ombra del primo albero del mondo a bere tazze di cioccolata.24
Il monaco De Landa fornisce alcune informazioni circa la loro concezione dell’aldilà25:

“Questo popolo ha sempre creduto all’immortalità dell’anima di più di molte altre genti, anche senza essere di pari civiltà; riteneva infatti che dopo la morte ci fosse un’altra vita di gran lunga migliore, di cui l’anima, staccandosi dal corpo, andava a godere. Questa vita futura, a quanto affermavano poteva essere buona o cattiva, piena di castighi o priva di ogni pensiero. Quella cattiva e caratterizzata da gravi pene era riservata a quelli che avevano vissuto nel vizio e quella buona e dilettevole a coloro che, a loro giudizio, avevano vissuto bene; i piaceri, di cui, a quanto dicevano, avrebbero goduto se erano buoni, consistevano nell’andare in un luogo molto bello dove nulla poteva dare fastidio e dove avrebbero avuto in abbondanza sempre da mangiare cibi di grande dolcezza e un albero di grande ombra che essi chiamavano Yaxchè, molto fresco, che è il ceiba, sotto i cui rami ombrosi essi avrebbero sempre riposato e oziato.
Le sofferenze della cattiva vita dell’aldilà che, a quanto dicevano, avrebbero dovuto sopportare i malvagi consistevano nell’andare in un luogo inferiore chiamato mitnal, che vuol dire inferno, e nell’esservi tormentati dai demoni e da gran fame, freddo, stanchezza e tristezza. Pensavano che in questo luogo vi fosse un diavolo principe di tutti i demoni al quale tutti gli altri obbedivano […]; credevano inoltre che tanto la vita buona come quella cattiva (nell’aldilà) non avrebbero mai avuto fine, dato che l’anima era immortale.
Affermavano anche, ed erano sicuri di ciò, che nel loro paradiso andavano quelli che si impiccavano, per cui c’erano molti che, anche per insignificanti motivi di tristezza, lievi traversie o infermità, si impiccavano per sottrarsi alle stesse e recarsi a godere del paradiso dove, a quanto dicevano, veniva a condurli la dea del capestro che chiamavano Ixtab. Non sapevano nulla della resurrezione dei corpi[...]. ”26

I maya superstiti dovevano rispettare certi tabù, in quanto erano socialmente contaminati; secondo la legge dovevano compiere riti prescritti, perché in caso contrario il morto sarebbe tornato sulla terra a manifestare ai vivi le proprie esigenze. Erano imposte loro anche privazioni di vario genere. La morte del marito rendeva la donna impura e la sua impurità durava fino a quando non aveva reciso il suo legame con il marito.
Scrive Victor Von Hagen che :
“secondo i maya anche gli animali avevano un’anima e il cacciatore, pur uccidendoli, dovevano mostrar loro rispetto, perché in caso contrario gli altri membri della specie non si sarebbero più lasciati uccidere”.27

Comunque sia il loro ruolo da morti diveniva ancora più importante che da vivi, in quanto più vicini agli dei, e maggiormente partecipi della loro benevolenza, divenivano di fondamentale importanza per il mantenimento dell’ordine cosmico. Sebbene morti il maya agiva sempre nella società e il suo ruolo diveniva sostanziale al funzionamento del cielo-terra.
Norman Hammond scrive che :

“sembra che gli antichi maya considerassero la morte non tanto come una cesura definitiva quanto piuttosto come un cambiamento di condizione, che consentiva agli antenati di rimanere legati ai loro discendenti in vita.”28

Conseguentemente era in uso presso i maya il seppellire gli abitanti di una casa sotto il pavimento di terra battuta, e dopo una serie di queste tumulazioni l’edificio era abbandonato e unanimemente considerato un cimitero sacro.

Il Codice di Parigi: Il Libro dei Morti Maya

Un testo di fondamentale importanza per la comprensione della metafisica maya è il Codice di Parigi, il libro dei morti maya. Non si conosce la data di nascita di tale testo, gli studiosi ipotizzano che sia anteriore al codice di Dresda. Questa supposizione sorge poiché il Codice di Dresda è un misto di tradizione antica e tradiva (IX sec. D.c.). E’ certo che il rituale di Parigi sia posteriore alla colonizzazione (1520) e costituisce la riedizione di un testo molto antico. La sua traduzione ha permesso di potere avere una più chiara visione dell’idea dell’Oltremondo maya, oltre che a farci conoscere l’originale pensiero metafisico maya del periodo classico.
Le poche conoscenze dell’infrarregno maya non rispecchiano la tradizione classica, in quanto, con la discesa dei messicani, gli indios assorbirono elementi della cultura tolteca-azteca.
Il codice, uno dei pochissimi documenti scampati alla barbaria iberica, è una reziosissima testimonianza del pensiero metafisico maya classico. Pensiero che è assolu-tamente superiore alle religioni degli altri popoli mesoamericani. Il culto degli avi; la fede nella ciclica rinascita degli esseri umani; lo stretto legame tra la fecondità umana e quella delle piante sostentatrici: sono le complesse argomentazioni trattate nel manoscritto. Il codice, composto da vari libri, di cui nessuno completo, fornisce il rituale completo da seguire per aiutare il defunto, dopo il suo decesso, a raggiungere la metamorfosi dell’anima e quindi la reincarnazione nel corpicino di un infante, prima della gestazione. La concezione del ritorno ciclico dei trapassati è il fulcro del testo e tale credo, afferma Paul Arnold, costituisce il motore dell’universo, in quanto la terra poggia sull’interdipendenza di vivi e di morti. La ritualità deve essere osservata, e non può essere altrimenti, almeno che non si voglia fare sparire l’umanità a causa delle mancate reincarnazioni. Guida dei morti e anello di congiunzione dei due piani di esistenza (defunti e vivi) è il Chilam. I Maya contemporanei hanno in parte conservato la propria tradizione, e il sacro Tzolkin stesso non è un reperto archeologico, bensì un calendario vivo che, tutt’ora, mantiene il suo carattere mistico-divinatorio in alcuni territori maya. Si è però perso ogni traccia e ricordo delle mansioni del Chilam, e solo ora, dopo 500 anni, si stanno colmando le molte lacune in tal senso. La figura di questo sacerdote era però centrale nell’universo maya classico: era lui che raggiungeva Xibalba, che guidava i morti, che li riportava indietro e che li faceva rinascere. Era lui che prediceva il futuro, che entrava in estasi e parlava con le divinità.29 Le sue mansioni furono tante e tutte importantissime, in quanto garantivano il non annichilimento del mondo. La perdita della sua memoria è per i maya una delle perdite più gravi. La dominazione messicana e spagnola hanno infatti cancellato la figura del massimo sacerdote, di colui, cioè, che con i suoi rituali permetteva all’umanità di non scomparire e alla vegetazione di rifiorire ritmicamente.
Il testo sacro spiega la stretta connessione e legame tra la ciclica reincarnazione degli esseri umani defunti e la ciclica rinascita della natura, delle piante e, in special modo della pannocchia di granoturco, elemento base della dieta mesoamericana.
Quando gli Spagnoli giunsero in Messico, vennero a conoscenza del complesso sistema metafisico azteco e del loro paradiso e inferno.30 Per i messicani, la maggioranza dei trapassati, giungeva nel Mictlan, un luogo pieno di torture e di trappole.
Gli Aztechi, popolo fortemente guerriero, assicuravano al combattente, specialmente a quello deceduto in guerra, un destino migliore. Stessa cosa per i mercanti e per le donne morte durante la gestazione. I primi perché mostravano un ammirevole coraggio, simile a quello dei soldati, nell’attraversare territori pieni di insidie e di nemici al fine di potere portare le merci a destinazione. Le seconde perché, come i guerrieri, sacrificavano se stesse per portare a termine il parto. Ai guerrieri, ai mercanti e alle donne gravide spettava pertanto una sorte privilegiata: essi ascendevano in cielo per accompagnare il sole. Questo compito veniva svolto dagli uomini dall’alba al mezzogiorno, e dalle donne da mezzogiorno al tramonto. Una volta che tale mansione era stata adempiuta, gli uomini ritornavano in terra sotto forma di farfalle e colibrì, le donne, invece, sotto forma di inquietanti fantasmi. Un destino diverso spettava invece a coloro che morivano affogati o colpiti da fulmini. Essi, morti a causa degli dei della pioggia, andavano nel regno delle divinità collocate sulle alte cime, spesso coperte da nubi.31 Questo triste ultimo destino veniva descritto dai Maya al tempo della conquista iberica. La maggioranza dei Maya, dopo il decesso, scendeva a Xibalbà, corrispettivo di Mictlan, e luogo, come quest’ultimo, pieno di insidie, torture ed orrori. Sorte diversa spettava però ai guerrieri, ai sacerdoti, alle donne morte durante la gestazione e a coloro che si toglievano la vita mediante impiccagione. Questi trovavano l’eterno gioioso riposo sotto l’ombra della sacra ceiba attraversante i tredici cieli.32 Non si vede, comunque, in tale concezione metafisica, alcun cenno alla reincarnazione o al ritorno dei morti alla vita terrena. Ciò perché in seguito alla conquista messicana i Maya acquisirono il l’Oltremodo azteco e persero la conoscenza classica. Quest’ultima è testimoniata però dal Codice parigino. Vediamo ora, a grandi linee, ciò che viene detto in questo testo: i deceduti, almeno in un primo momento, scendono nel mondo sublunare. Questo è un luogo sottomesso al tempo, alla nostra terra e a tutto ciò che si trova immediatamente sopra di esso e intorno ad esso. I defunti non sono però destinati a restare in questo stato-luogo per sempre, possono essere infatti evocati da riti che li guidano e li istruiscono alla rinascita. Rimangono in questo stato subito dopo la morte: prima della decomposizione del corpo e nei primi giorni di sepoltura. Non tutti i defunti però subiscono il medesimo destino, alcuni di essi, infatti, finiscono in una sorta di “limbo”. Un luogo che, stando alla traduzione di Paul Arnold, è un piano di esistenza “ purificato ”.
I morti rimangono a girovagare nel “limbo”, sotto il segno delle divinità, fino al momento della rinascita.
Il bambino nato morto gode di una rinascita più veloce in quanto gode di una ritualità speciale. I Maya pertanto erano convinti della positività della vita terrena e concentrarono parte delle loro energie mistiche al fine di preservare l’umanità. I riti avevano lo scopo di permettere al defunto di trovare la via per il grembo di una donna al fine di potere rinascere. Gli uomini defunti non erano, pertanto, destinati a rimanere per sempre nell’Infraregno, ma si reincarnavano incessantemente in un altro corpo.
Le fasi della rinascenza sono tre33:
  1. dopo il grande passaggio, il defunto ritorna progressivamente ad uno stato sempre più cosciente. Questa fase si svolge nel mondo “sublunare”, uno spazio temporale che giace sotto le influenze dello spazio e del tempo, e finisce prima che il deceduto abbia raggiunto lo stato “purificato”.
  2. raggiunta la purificazione il defunto entra nel piano d’esistenza chiamato da Paul Arnold impropriamente “limbo”. Qui subisce un’ulteriore metamorfosi e perde la sagoma umana e ogni traccia di materialità. Questa fase termina quando l’individuo è totalmente disincarnato e rimane puro spirito o anima.
  3. Dopo altre manipolazioni terrene e celesti, quest’anima disincarnata, spogliata del suo involucro e, pertanto anche della memoria del defunto, viene integrata alle viscere di una donna fecondata.
Si tratta della reincarnazione, la quale avviene interamente nel mondo sublunare. Tale reincarnazione è possibile solo quando il morto è del tutto purificato e disincarnato; e avviene grazie ad una spinta, dapprima cieca, poi cosciente, che il defunto riceve dall’intervento costante delle forze terrene e celesti. Quest’ultime sono finalizzate a indicargli la strada corretta da percorrere per incarnarsi in un ventre gravido.
In altre parole la cooperazione perpetua tra i vivi e i morti rappresenta il necessario vettore affinché si mantenga l’equilibrio permanente del mondo terreno con le sue morti e rinascite.
Tutto si ripete per i maya classici, anche le anime dei defunti si ripetono ciclicamente, e tale idea è perfettamente conforme alla loro concezione del tempo e al loro calendario. Questi venivano visti come il ripresentarsi del passato secondo una successione infinita. Lo zero, simbolo di fertilità, con la sua rappresentazione a spirale non fa che chiarire tale aspetto. Il tempo che gira in se stesso in una serie infinità: la conoscenza del passato per la predizione del futuro. Le nascite quindi si ripetono alla stessa maniera del tempo e di tutte le altre manifestazioni della natura.
Un fondamentale insegnamento del Codice parigino è lo stretto legame esistente tra la rinascita dell’uomo e la germinazione ciclica delle piante, tanto che i defunti vengono definiti larve dei vegetali o semi. Il testo, addirittura, confonde continuamente, in modo inestricabile, le operazioni delle rinascite e le benedizioni per un abbondante raccolto. Il segno glifico della fecondità, pertanto, si esplica in tutte le sue potenzialità, sia umane che vegetali. La prosperità materiale si connette alla spirituale e, viceversa, secondo un legame inscindibile. Dalla traduzione del Rituale parigino, ad opera di Paul Arnold, possiamo affermare che i Maya risolsero il mistero della vita mediante il processo, incessante, delle rinascite. Queste, come già detto, riguardano sia gli esseri umani che tutta quanta la natura con il suo germogliare. L’uomo rimane il centro del cosmo, il mezzo del suo perpetuamente, e il suo compito non si viene a sminuire mai. Gli si chiede un impegno costante e perpetuo, e solo questo può scongiurare la scomparsa del cosmo e di tutto quello che lo forma, umanità compresa. In tal senso riaffiora e si ripresenta un concetto fondamentale della religione maya, e cioè il suo carattere sociale e non meramente privatistico.
1 Paul Gendrop, op. cit., pag. 9.
2 Martin Brennan, op. cit., pag. 110.
3 David Webster, op. cit., pag. 142
4 Martin Brennan, op. cit., pag. 239.
5 “Hera, Civiltà scomparse, Misteri archeologici”, articolo di Adriano Forgione, Olmechi, Sacerdoti e Nagual, riv. cit., pag. 26.
6 David Webster, op. cit., pag. 142.
7 Nota dell’autore.
8 Peter James-Nick Thorpe, op. cit., pag . 20.
9 Eric Thompson, op. cit., pag. 82.
10 Michael Coe, op. cit., pag. 110.
11 Claude Francois Baudez,-Pierre Bequelin, op. cit., pag. 313.
12 Herbert Wilhelmi, op. cit., pag. 526.
13 Peter James--Nick Thorpe, op. cit., pag. 21.
14 Martin Brennan, op. cit., pag. 295.
15 Claue Francois Baudez-Pierre Bequelin, op. cit., pag. 120.
16 Eric Thompson, op. cit., pagg. 55-56.
17 Ibidem
18 “Hera, Civiltà scomparse, Misteri archeologici”, articolo di Adriano Forgione, Olmechi, Sacerdoti e Nagual, riv. cit., pag. 27.
19 Cfr. Eric Thompson, op. cit., pag. 152.
20 Guy Annequin, op. cit., pag. 149.
21 Eric Thompson, op. cit., pag. 273.
22 Guy Annequin, op. cit., pag. 149.
23 Martin Brennan, op. cit., pag. 45.
24 Cfr. Victor Von Hagen, op. cit., pag. 173.
25 Diego De Landa, op. cit., pagg. 151-152.
26 Vedremo nel prossimo paragrafo che la traduzione del Codice di Parigi, ad opera di Paul Arnold, ci ha portato ad una conoscenza del destino degli uomini dopo la morte molto più complessa di quelle riportate dal De Landa e da innumerevoli altri studiosi, compreso il Thompson.
27 Victor von Hagen, op. cit., pag. 166.
28 Norman Hammond, op. cit., pag. 220.
29 Cfr. Paul Arnold, op. cit., pagg. 66-68, 71-72.
30 Cfr. ibidem, pagg. 27-29.
31 Cfr ibidem.
32 Cfr. ibidem.
33 Cfr. ibidem, pag. 39-40, 42.

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