I
Chaci erano deità
della pioggia, e forse non erano altro che un’ulteriore
manifestazione di Itzamna.
Molto probabilmente il loro culto, che ha origine nella religione più
arcaica, era molto seguito tra i contadini, i quali rimanevano per lo
più lontani dalle divinità più esoteriche, come gli Itzamna,
preferite dall’alta gerarchia. Il culto di queste divinità, i
Chaci, è testimoniato
dal fatto che tutt’ora presso i Maya yucatechi vengono pregati,
mentre si è dimenticato il nome di altre divinità, come quello di
Itzamna.1
I
Chac erano quattro ed erano situati, con pari importanza, ai quattro
lati del mondo. La credenza popolare, tutt’oggi diffusa, è che
essi mandino le piogge spruzzando un po’ di acqua che portano con
sé in una zucca. Se rovesciassero le loro zucche in una sola volta
inonderebbero il mondo. Chiamati anche “gli innaffiatori”,
concepiti anche come giganti, sono gli autori dei lampi. Sono muniti
di asce di pietra che scagliano sulla terra sotto forma di folgori.2
Si pensava che loro aiutanti fossero le uo,
le rane, credenza nata dal fatto che il loro gracidare annuncia le
piogge. Afferma a tal proposito Martin Brennan
“sia
nella cultura maya che in quella azteca le rane sono associate e
alleate degli dei della pioggia. Il gracchiare delle rane annuncia
l’avvento delle piogge; e se gli acquazzoni non si verificano, dei
fanciulli eseguono cerimonie propiziatorie in cui si accucciano e
imitano il gracidio per invocare le piogge”.3
Quando
non si occupavano della pioggia, si pensava che i Chaci
risiedessero nelle caverne. Quindi, se le piogge tanto attese
tardavano, era pratica comune per i maghi della pioggia recarsi nelle
grotte per eseguire le cerimonie appropriate. Divinità benevole e
malevole allo stesso tempo, i Maya gli dedicavano grande culto,
affinché i Chaci
dessero le giuste piogge per un buon raccolto. Guy Annequin asserisce
a tal proposito che:
“il
suo ruolo benefico e malevolo gli fece conoscere una fama
stupefacente, soprattutto nell’arida zone dello Yucatan, dove la
pioggia, lungi dall’essere eccessiva e nefasta come nella selva del
sud (Chiapas e Pèten), era al contrario rara e sempre attesa”.4
Pietro
Bandini annota:
“i
Maya, in epoca classica adoravano un precedessore di Chac che
chiamavano Chac-Xib-Cach […] ma già nel Diccionario De Motul,
il più antico dizionario maya tramandato, egli si chiama Chac e
viene caratterizzato nel modo seguente: Chac era un gigante che
insegnò loro l’agricoltura e che adoravano come dio del cibo,
dell’ acqua, del tuono e del lampo.”5
L’importanza
di questa divinità, ci viene testimoniata anche da Wilhelmi,6
il quale ci fa sapere che solo nei tre codici superstiti la sua
immagine compare ben 218 volte. Ci sembra bel chiara la descrizione
della rappresentazione iconografica di questa divinità quadruplice
compiuta da Enrique Nalda:
“[il
Chac] è rappresentato con un lungo naso cascante [che somiglia alla
proboscide di un elefante],7
sul quale si può osservare un elemento a forma di voluta all’insù
[ ma anche all’ingiù];8
ha gli occhi ofidiomorfi con le pupille a forma di spirale e, sotto
le palpebre inferiori, si può osservare un’altra voluta, simile a
quella del naso, ma che si prolunga fino alle tempie; zanne ricurve
serpentine compaiono dalla fessura della bocca. Sovente nella mano
stringe un’ascia simboleggiante la folgore, oppure impugna una
torcia, emblema di siccità, poiché dipendeva dalla deità stessa il
fatto che piovesse o meno”.9
I
suoi occhi, scrive Victor von Hagen, simboleggiano le lacrime e,
quindi, la pioggia.10
L’origine
arcaica di questo dio viene messa in evidenza anche dallo storico
Guglielmo Guariglia:
“Certamente
questo dio è di origine molto antica, se si pensa quanto l’acqua
piovana fosse indispensabile alla vita di tutto l’altopiano
messicano, e come il
passaggio dalla caccia all’agricoltura debba ricondursi a circa due millenni a.C. […] Lo s’invocava spesso come colui che può trasformare l’Altopiano polveroso in un giardino fiorito: ‘Mio capo / è a te che appartengono i nostri alimenti / sei tu che li produci, facendo tutto germogliare’ ”.11
passaggio dalla caccia all’agricoltura debba ricondursi a circa due millenni a.C. […] Lo s’invocava spesso come colui che può trasformare l’Altopiano polveroso in un giardino fiorito: ‘Mio capo / è a te che appartengono i nostri alimenti / sei tu che li produci, facendo tutto germogliare’ ”.11
Il
culto di questa divinità, risultato della divinizzazione dell’acqua,
è di certo di origine olmeca, ciò è testimoniato anche, ma non
solo, dal fatto che i Chaci
sono rappresentati con le zanne del giaguaro, il cui culto nasce
nella civiltà di La Venta.
3
Martin Brennan, op. cit., pag.171.
4
Guy Annequin, op. cit., pag. 170.
5
Pietro Bandini, op. cit., pagg. 57-58.
6
Cfr. Herbert Wilhelmi, op. cit., pagg. 178-179.
7
Nota dell’autore.
8
Nota dell’autore.
11
Guglielmo Guariglia, op cit., pag 52.
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