Proclo
resse
la scuola di Atene
dal
438 al 485, anno della sua morte. Egli è il rappresentante
dell’ultima grande sintesi della tradizione platonica antica, che
viene reinterpretata in chiave platonica - aristotelica. Questi
argomenti avranno grande successo nel medioevo, nella filosofia araba
e greco – biazantina. Proclo, prendendo spunto da Plotino, afferma
che tutto procede dall’Uno, il quale rimane per noi inconoscibile.
Pertanto, di Lui non possiamo fare alcuna affermazione, e dobbiamo
procedere solo per negazioni. L’Uno si caratterizza per un
procedimento triadico secondo il quale permane in sé (monade), esce
da sé causando il molteplice (proodos), e ritorna, come fine a sé,
epistrophe. Tale procedimento caratterizza anche gli esseri finiti.
L’uomo giunge all’Uno attraverso un procedimento ascetico di
contemplazione causato dall’amore. L’Uno si coglie non per
conoscenza, bensì mediante un atto di intuizione, che è una sorta
di illuminazione con cui ci perdiamo nel silenzio dell’Uno.
L’universo di Proclo si regge in un'armonia che è risultante
dall'azione di due forze, che si attraggono e respingono (simpatie ed
antipatie).
Nel
529, per volere dell’imperatore cristiano
Giustiniano, venne chiusa la scuola di Atene, perché non si inseriva
nel filone del pensiero messianico.
Damascio,
ultimo rappresentante della scuola ateniese diede una interpretazione
aristotelica della dialettica di Proclo: ogni cosa si sviluppava
secondo uno scandirsi traidico di atto-potenza-atto. Dell’unico
essere non si può dire nulla e a Lui tutto ritorna. L’Uno,
condizione necessaria dell’esistere fenomenico, resta un postulato
inconoscibile teoreticamente. Egli è, infatti, assolutamente
trascendentale, e quindi scevro da qualsiasi determinazione,
inconoscibile, indefinibile, ineffabile, impredicabile.
L’Uno,
che da un lato permane
in sè ( intelligenza ipercosmica), dall’altro lato procede da sé
( intelligenze encosmica ) dando realtà al tutto, fino alle
determinazioni materiali. Alla fine di questo processo ritorna in sé.
Il
corpus dello
Pseudo-Dionigi venne
erroneamente attribuito a Dionigi, discepolo di Paolo. L’autore
di tale corpus, invece, ci rimane ignoto. L'opera è formata da una
serie di scritti, quali Teologia
mistica, Nomi Divini, Gerarchia celeste, Gerarchia ecclesiastica,
Lettere.
Centrale
è la dottrina propria del neoplatonismo che colloca Dio, L’Uno, al
di là dell’Essere e di
ogni possibilità per l'uomo di poterLo conoscere. Egli è, infatti,
assolutamente altro, rimanendo pertanto ineffabile. Dio è luce
inaccessibile, che può essere colto solo con un atto di
intuizione,e non con le categorie logiche e ontologiche. Da Dio tutto
emana, secondo una precisa gerarchia discendente che vede prima di
tutto gli ordini angelici, la gerarchia celeste. Nella emanazione,
nel processo creativo, Dio si manifesta, e quindi possibile
attribuire a Dio tutti gli aspetti e gli attributi degli esseri
creati ( teologia affermativa o catafatica). Alla teologia
affermativa si oppone la teologia negativa o apofatica, e cioè la
via che procede per negazione, per cui non si può dire nulla di Dio.
Teologia negativa e teologia affermativa sono due metodi che non si
vanno a contrapporre tra loro, perché le affermazioni non si possono
contrapporre alle negazioni. Ed infatti Dio, l'Uno, la Causa
Universale è al di là di ogni affermazione e negazione. Pertanto,
solo chi supera ogni forma di conoscenza, il principio di non
contraddizione, le categorie proprie della filosofia classica, può
unirsi al principio del tutto, all’Uno inconoscibile: “ proprio
perché non conosce più nulla, conosce al di là dell’intelligenza”.
Anche
il duplice metodo teologico dell’affermazione e della negazione
resta al di fuori dell’Uno. Nella totale assenza di parole e di
pensieri si realizza l’unione (henosis ) della mente umana con
l’Uno.
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