A
proposito dei tratti fisici dei Maya, Eric Thompson scrive che “c’è
una notevole uniformità fisica. In generale sono individui
tarchiati, coi muscoli delle gambe particolarmente sviluppati, hanno
la faccia larga e gli zigomi sporgenti. Hanno i lineamenti piuttosto
morbidi. Di entrambi i sessi si può dire che sono belli[…]Il tipo
yucateco è quello che, tra razze umane presenta il cranio più
largo”.1
Era usanza dei Maya accentuare la rotondità del capo deformando il
cranio dei bambini. I Maya hanno i capelli neri, dritti e, di rado,
leggermente ondulati. Gli occhi sono scuri e a mandorla
(testimonianza della probabile provenienza asiatica). Eric Thompson
aggiunge che “molti Maya hanno il naso largo e adunco, o forse lo
possiamo chiamare aquilino e il labbro inferiore un po’ cascante”.
Gli uomini sono alti circa 1,60 metri, le donne in media dieci cm. in
meno. Oggi in generale i Maya risultano 5 cm. più bassi della
statura media del periodo classico. Il monaco De Landa descriveva gli
indios dello Yucatan come persone ben “proporzionate, di alta
statura, assai robusti[…]2”.
Guy
Annequin afferma che “gli uomini e le donne si tagliavano gli
incisivi, o incrostavano nei denti piccole sfere di pirite ferrosa,
di ossidiana o di giada, se potevano permetterselo. I guerrieri si
praticavano spesso scarnificazioni sul viso, a volte molto
elaborate[…]. Nei paesi maya c’era l’abitudine di mettere un
poco di pece in mezzo agli occhi dei bambini affinché essi
diventassero strabici”.3
Questi spesso crescevano con le gambe storte per essere stati portati
troppo a lungo sull’anca materna o delle sorelle, si foravano anche
il naso e le orecchie per poter essere ornate di gioielli, infine si
fissavano una piastra nel labbro inferiore. Gli uomini camminavano
per lo più vestiti solo di un perizoma. Il popolo viveva per la
maggior parte, in capanne non molto dissimili da quelle utilizzate
tutt’ora dai Maya. Le capanne venivano costruite sopra un basamento
per tenere l’abitazione fuori dalla portata delle inondazioni, frequenti
durante la stagione delle piogge; una sola porta, situata al centro
del lato lungo, dava accesso allo spazio interno. Le pareti erano
fatte di graticcio, ricoperte di argilla e fango, e il tetto di
paglia.
Le
donne si alzavano molto presto e preparavano una colazione di
gallette di mais, o di fagioli. Nelle famiglie più modeste si
preparava l’atole,
un brodino fatto di mais diluito nell’acqua con l’aggiunzione di
un po’ di miele. La donna maya doveva comportarsi castamente e
abbassare lo sguardo quando incontrava e serviva un uomo, e non
poteva parlare al mattino prima che lo facesse l’uomo. L’adulterio
veniva punito infliggendo ai colpevoli o il supplizio del palo o
quello delle frecce. L’uomo all’alba si dirigeva verso i campi,
oppure si dedicava alla caccia o andava a pescare con la sua canoa in
mare o nei molteplici corsi d’acqua.
La
donna, rimasta nella capanna, preparava il mais per la giornata, lo
sgranava, lo macinava sotto la macina leggermente concava con l’aiuto
di un rullo di pietra, il kab.
Poi, su una lastra di argilla riscaldata sulle tre pietre del
focolare, faceva cuocere le sue tortille,
cioè delle gallette fatte di una pasta di mais. Una volta cotte,
venivano conservate il più a lungo possibile dentro delle zucche.
Per fare il cioccolato, bevanda per loro molto preziosa, si faceva
bollire un miscuglio di polvere di mais e di cacao, il tutto condito
con il peperone. Il pasto principale avveniva poco prima del tramonto
ed era costituito di fagioli, ragù di tacchino, di daino, di cervo,
di legumi o di cioccolato. Alcune volte si faceva lo stufato di una
specie di cane senza pelo e che non abbaia, che veniva allevato
esclusivamente per essere mangiato. Tutti attingevano al piatto
centrale ben condito, servendosi delle tortille. Finita la cena
l’uomo si faceva il bagno immergendosi in una vasca ricavata nel
tronco di un cedro. Verso le otto di sera tutta la famiglia si
addormentava, lasciando acceso il fuoco rituale. Generalmente i Maya
erano monogami. Quando erano adolescenti, ragazzi e ragazze venivano
raggruppati in capanne riservate. Secondo quanto afferma Thompson, il
cerimoniale per la richiesta di matrimonio consisteva nello spezzare
la brocca della ragazza che il giovanotto desiderava, mentre si
recava a prendere l’acqua; se la ragazza non protestava, allora
significava che accettava la corte, nel caso contrario per il ragazzo
non rimaneva altro da fare che ritentare l’esperienza con un’altra
ragazza. I matrimoni erano preceduti da lunghe trattative condotte da
una sorta di sensale, mediatore ufficiale, alla fine delle quali
generalmente, si stabiliva che il giovane lavorasse per un periodo
che andava dai tre ai sei anni la terra del suocero, cacciasse con
lui, badasse alle sue api (una specie senza pungiglione), l’aiutasse
a fornire la legna necessaria in casa; in più il padre di lui doveva
fare alcuni doni in cioccolato, mais, fagioli, milpa e altro al padre
di lei. Quindi si costruiva la capanna dei due sposini. Il mediatore
si recava dal prete per decidere la data del matrimonio, che veniva
stabilita dal prete stesso, il quale consultando il calendario,
doveva trovare quel giorno favorevole agli astri. Il
divorzio avveniva per adulterio o per la sterilità della donna; il
sognare il serpente significava maternità in arrivo, dato che per i
Maya esso era simbolo di fertilità.4
Il
monaco Diego De Landa, nella sua Relazione
sullo Yucatan, scrive che gli anziani erano
tenuti in grande considerazione dal popolo, il quale conferiva loro
stima per il fatto che, avendo avuto una vita più lunga, avevano
accumulato una tale esperienza che li rendeva saggi.5
Sempre secondo il cronista spagnolo l’educazione dei ragazzi
avveniva in una grande casa imbiancata a calce, aperta su tutti i
lati, nella quale si riunivano i ragazzi per la loro formazione. Qui
risiedevano fino al giorno del matrimonio.6
I ragazzi, fino al momento in cui si sposavano, si dipingevano di
nero. Nei primi anni di vita i bambini venivano allevati dalle indie
che, sempre secondo il cronista cristiano, li educavano con grande
durezza. Fino a quattro/cinque anni venivano allevati nudi, dopo
quest’età veniva dato loro un mantello che serviva anche per
dormire e un perizoma per coprire la parte intima. Sempre a quest’età
anche le bimbe venivano ricoperte dalla cinta in giù. De Landa
afferma che il periodo di allattamento durava molto a lungo, dato che
veniva dato latte materno ai figli fino a tre o quattro anni. Nei
primi due anni di vita crescevano grassi e di pelle chiara, la quale
si andava scurendo per via del sole. I bambini da piccoli erano molto
vivaci e buoni e non cessavano mai di andare in giro con archi e
frecce. In questo modo crescevano finchè non venivano trasferiti
nella casa del villaggio, in cui vivevano con tutti gli altri
giovanotti. I Maya indossavano dei sandali chiamati xanab
che normalmente, per la gente comune, erano fatti di pelle di cervo
non conciata e venivano legati al piede mediante corde ottenute dalla
pelle di tapiro. Nel periodo classico le stringhe, che erano due,
passavano rispettivamente per l’alluce e il vicino dito del piede e
tra il terzo e il quarto dito. Spesso, nel caso di nobili, i sandali
venivano riccamente adornati con piume, fiocchi e pitture praticate
sul cuoio.
La
giustizia era amministrata esclusivamente dalla casta signorile; ed
era ignorato qualsiasi tipo di aspetto burocratico: accordi,
contratti, transazioni venivano instaurati esclusivamente a voce. I
colpevoli rischiavano di essere messi alla gogna, o in prigione,
oppure venivano sanciti in pubblico legati ad un palo d’infamia. I
condannati a morte venivano rinchiusi in una gabbia di legno, i
colpevoli di furto (e di adulterio) venivano, dopo essere stati
rasati, spogliati e legati a un palo, trafitti con frecce o impalati.
Il ladro veniva anche ridotto in schiavitù finché non avesse pagato
il suo riscatto, se l’infamia era grave, si faceva tagliuzzare la
fronte e le guance. L’assassinio comportava l’esecuzione
dell’assassino; egli veniva legato, con le braccia in alto, ad un
palo e trafitto con frecce. Sembra che gli assassini non potessero
essere sacrificati agli dèi, in quanto considerati indegni. Per la
loro indegnità si pensava che non potessero soddisfare la sete di
sangue degli dèi.
2
Diego De Landa, op. cit., pag. 98
5
Diego De Landa, op cit., pag 141
6
Ibidem, pag. 140.
Nessun commento:
Posta un commento