venerdì 25 maggio 2012

La vita quotidiana dei Maya


A proposito dei tratti fisici dei Maya, Eric Thompson scrive che “c’è una notevole uniformità fisica. In generale sono individui tarchiati, coi muscoli delle gambe particolarmente sviluppati, hanno la faccia larga e gli zigomi sporgenti. Hanno i lineamenti piuttosto morbidi. Di entrambi i sessi si può dire che sono belli[…]Il tipo yucateco è quello che, tra razze umane presenta il cranio più largo”.1 Era usanza dei Maya accentuare la rotondità del capo deformando il cranio dei bambini. I Maya hanno i capelli neri, dritti e, di rado, leggermente ondulati. Gli occhi sono scuri e a mandorla (testimonianza della probabile provenienza asiatica). Eric Thompson aggiunge che “molti Maya hanno il naso largo e adunco, o forse lo possiamo chiamare aquilino e il labbro inferiore un po’ cascante”. Gli uomini sono alti circa 1,60 metri, le donne in media dieci cm. in meno. Oggi in generale i Maya risultano 5 cm. più bassi della statura media del periodo classico. Il monaco De Landa descriveva gli indios dello Yucatan come persone ben “proporzionate, di alta statura, assai robusti[…]2”.
Guy Annequin afferma che “gli uomini e le donne si tagliavano gli incisivi, o incrostavano nei denti piccole sfere di pirite ferrosa, di ossidiana o di giada, se potevano permetterselo. I guerrieri si praticavano spesso scarnificazioni sul viso, a volte molto elaborate[…]. Nei paesi maya c’era l’abitudine di mettere un poco di pece in mezzo agli occhi dei bambini affinché essi diventassero strabici”.3 Questi spesso crescevano con le gambe storte per essere stati portati troppo a lungo sull’anca materna o delle sorelle, si foravano anche il naso e le orecchie per poter essere ornate di gioielli, infine si fissavano una piastra nel labbro inferiore. Gli uomini camminavano per lo più vestiti solo di un perizoma. Il popolo viveva per la maggior parte, in capanne non molto dissimili da quelle utilizzate tutt’ora dai Maya. Le capanne venivano costruite sopra un basamento per tenere l’abitazione fuori dalla portata delle inondazioni, frequenti durante la stagione delle piogge; una sola porta, situata al centro del lato lungo, dava accesso allo spazio interno. Le pareti erano fatte di graticcio, ricoperte di argilla e fango, e il tetto di paglia.
Le donne si alzavano molto presto e preparavano una colazione di gallette di mais, o di fagioli. Nelle famiglie più modeste si preparava l’atole, un brodino fatto di mais diluito nell’acqua con l’aggiunzione di un po’ di miele. La donna maya doveva comportarsi castamente e abbassare lo sguardo quando incontrava e serviva un uomo, e non poteva parlare al mattino prima che lo facesse l’uomo. L’adulterio veniva punito infliggendo ai colpevoli o il supplizio del palo o quello delle frecce. L’uomo all’alba si dirigeva verso i campi, oppure si dedicava alla caccia o andava a pescare con la sua canoa in mare o nei molteplici corsi d’acqua.
La donna, rimasta nella capanna, preparava il mais per la giornata, lo sgranava, lo macinava sotto la macina leggermente concava con l’aiuto di un rullo di pietra, il kab. Poi, su una lastra di argilla riscaldata sulle tre pietre del focolare, faceva cuocere le sue tortille, cioè delle gallette fatte di una pasta di mais. Una volta cotte, venivano conservate il più a lungo possibile dentro delle zucche. Per fare il cioccolato, bevanda per loro molto preziosa, si faceva bollire un miscuglio di polvere di mais e di cacao, il tutto condito con il peperone. Il pasto principale avveniva poco prima del tramonto ed era costituito di fagioli, ragù di tacchino, di daino, di cervo, di legumi o di cioccolato. Alcune volte si faceva lo stufato di una specie di cane senza pelo e che non abbaia, che veniva allevato esclusivamente per essere mangiato. Tutti attingevano al piatto centrale ben condito, servendosi delle tortille. Finita la cena l’uomo si faceva il bagno immergendosi in una vasca ricavata nel tronco di un cedro. Verso le otto di sera tutta la famiglia si addormentava, lasciando acceso il fuoco rituale. Generalmente i Maya erano monogami. Quando erano adolescenti, ragazzi e ragazze venivano raggruppati in capanne riservate. Secondo quanto afferma Thompson, il cerimoniale per la richiesta di matrimonio consisteva nello spezzare la brocca della ragazza che il giovanotto desiderava, mentre si recava a prendere l’acqua; se la ragazza non protestava, allora significava che accettava la corte, nel caso contrario per il ragazzo non rimaneva altro da fare che ritentare l’esperienza con un’altra ragazza. I matrimoni erano preceduti da lunghe trattative condotte da una sorta di sensale, mediatore ufficiale, alla fine delle quali generalmente, si stabiliva che il giovane lavorasse per un periodo che andava dai tre ai sei anni la terra del suocero, cacciasse con lui, badasse alle sue api (una specie senza pungiglione), l’aiutasse a fornire la legna necessaria in casa; in più il padre di lui doveva fare alcuni doni in cioccolato, mais, fagioli, milpa e altro al padre di lei. Quindi si costruiva la capanna dei due sposini. Il mediatore si recava dal prete per decidere la data del matrimonio, che veniva stabilita dal prete stesso, il quale consultando il calendario, doveva trovare quel giorno favorevole agli astri. Il divorzio avveniva per adulterio o per la sterilità della donna; il sognare il serpente significava maternità in arrivo, dato che per i Maya esso era simbolo di fertilità.4
Il monaco Diego De Landa, nella sua Relazione sullo Yucatan, scrive che gli anziani erano tenuti in grande considerazione dal popolo, il quale conferiva loro stima per il fatto che, avendo avuto una vita più lunga, avevano accumulato una tale esperienza che li rendeva saggi.5 Sempre secondo il cronista spagnolo l’educazione dei ragazzi avveniva in una grande casa imbiancata a calce, aperta su tutti i lati, nella quale si riunivano i ragazzi per la loro formazione. Qui risiedevano fino al giorno del matrimonio.6 I ragazzi, fino al momento in cui si sposavano, si dipingevano di nero. Nei primi anni di vita i bambini venivano allevati dalle indie che, sempre secondo il cronista cristiano, li educavano con grande durezza. Fino a quattro/cinque anni venivano allevati nudi, dopo quest’età veniva dato loro un mantello che serviva anche per dormire e un perizoma per coprire la parte intima. Sempre a quest’età anche le bimbe venivano ricoperte dalla cinta in giù. De Landa afferma che il periodo di allattamento durava molto a lungo, dato che veniva dato latte materno ai figli fino a tre o quattro anni. Nei primi due anni di vita crescevano grassi e di pelle chiara, la quale si andava scurendo per via del sole. I bambini da piccoli erano molto vivaci e buoni e non cessavano mai di andare in giro con archi e frecce. In questo modo crescevano finchè non venivano trasferiti nella casa del villaggio, in cui vivevano con tutti gli altri giovanotti. I Maya indossavano dei sandali chiamati xanab che normalmente, per la gente comune, erano fatti di pelle di cervo non conciata e venivano legati al piede mediante corde ottenute dalla pelle di tapiro. Nel periodo classico le stringhe, che erano due, passavano rispettivamente per l’alluce e il vicino dito del piede e tra il terzo e il quarto dito. Spesso, nel caso di nobili, i sandali venivano riccamente adornati con piume, fiocchi e pitture praticate sul cuoio.
La giustizia era amministrata esclusivamente dalla casta signorile; ed era ignorato qualsiasi tipo di aspetto burocratico: accordi, contratti, transazioni venivano instaurati esclusivamente a voce. I colpevoli rischiavano di essere messi alla gogna, o in prigione, oppure venivano sanciti in pubblico legati ad un palo d’infamia. I condannati a morte venivano rinchiusi in una gabbia di legno, i colpevoli di furto (e di adulterio) venivano, dopo essere stati rasati, spogliati e legati a un palo, trafitti con frecce o impalati. Il ladro veniva anche ridotto in schiavitù finché non avesse pagato il suo riscatto, se l’infamia era grave, si faceva tagliuzzare la fronte e le guance. L’assassinio comportava l’esecuzione dell’assassino; egli veniva legato, con le braccia in alto, ad un palo e trafitto con frecce. Sembra che gli assassini non potessero essere sacrificati agli dèi, in quanto considerati indegni. Per la loro indegnità si pensava che non potessero soddisfare la sete di sangue degli dèi.

1 Eric Thompson, op. cit., pag. 33.
2 Diego De Landa, op. cit., pag. 98
3 Guy Annequin, op. cit., pag. 109, 110.
4 Eric Thompson, op. cit., passim.
5 Diego De Landa, op cit., pag 141
6 Ibidem, pag. 140.

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