sabato 31 dicembre 2016

Le scuole socratiche minori

Dopo la morte di Socrate vennero fondate delle scuole da parte di alcuni dei suoi discepoli. La storiografia filosofica li definisce “scuole socratiche minori” per differenziarle dall'indirizzo di Platone, e cioè dello scolaro più importante di Socrate.
Le scuole socratiche sviluppano alcuni aspetti del pensiero del maestro, che in parte venne modificato per rispondere alle esigenze del tempo. Tutte, però, cercano di fondare un'etica universalmente valida; dando soluzione, quindi, alla questione principale della speculazione di Socrate.
La nascita delle scuole socratiche è da cercare nelle questioni politiche di Atene nel V secolo a.C. La città era governata da un partito democratico di stampo conservatore. A capo di esso si aveva Trasibulo, nemico di Socrate, perché quest'ultimo era stato amico (oltre che amante) di Alcibiade, che si era fatto fama di patteggiare per Sparta e di avere tradito Atene.
Trasibulo intendeva riportare in auge i valori prefissati da Pericle. Si intendeva, infatti, restaurare gli antichi ideali, i principi morali e i costumi tradizionali, fondati sulla religione ufficiale. In realtà, i tempi erano profondamente cambiati, e i giovani prestavano attenzione alle lezioni dei sofisti, che criticavano e polemizzavano contro ogni principio o verità che si basasse sulla tradizione o sulla religione. In questo contesto si inseriva anche Socrate, che, con la sua maieutica e con il suo perenne dialogo, poneva in discussione ogni principio considerato certo. A tale ragione, venne ritenuto un nemico pubblico. Con l'accusa di empietà e di corrompere i giovani per sedurli alla falsità, venne condannato a morte.
In realtà furono i rapporti che Socrate ebbe con Alcibiade e Crizia a procurargli la diffidenza dei nuovi governatori; e sebbene sia Alcibiade che Crizia fossero morti, i democratici non si sentivano tranquilli finché non veniva eliminato colui che era considerato il loro ispiratore e che godeva ancora di grande credito presso l'opinione pubblica ateniese.
Molti discepoli di Socrate temettero per la propria vita. Decisero, quindi, di allontanarsi da Atene e di trasferirsi in altre città. Qui fondarono le proprie scuole e partirono dalla convinzione che la politica, ormai, si fosse totalmente discostata dalla filosofia. Per tal motivo, saggio era colui che viveva al di fuori della società e che si ritirava in se steso. Il filosofo, inoltre, doveva studiare ed approfondire la questione etica. Ciò al fine di giungere a delle soluzioni che permettano al singolo individuo di risolvere i propri problemi esistenziali.
La scuola Megarica
La scuola di Megara venne fondata da Euclide di Megara (450 a.C – 365 a.C), allievo di Zenone di Elea e di Socrate. Euclide, afferma Platone, fu testimone oculare della morte del maestro.
Tra gli esponenti più importanti della scuola di Megara abbiamo Eubulide di Mileto (450 a.C. - 380 a.C.), Stilpone di Megara e Diodoro Crono. Essi operarono nella metà del IV secolo a.C. e concentrarono le proprie ricerche sulla logica. A tale ragione vennero considerati gli eredi della dialettica di Zenone di Elea e chiamati i “nuovi eleati”.
In logica i megarici operarono degli studi che chiariscono che ad uno stesso soggetto non possono essere riferiti più attributi (negazione della predicazione) e che uno stesso predicato non può essere riferito a molteplici soggetti (negazione della generalità dei predicati). Ciò significa che il giudizio, inteso come unione di un predicato con un soggetto, può essere posto solo come identità. Quindi, possiamo effettuare solo affermazioni di identità. Ad esempio, possiamo dire che “coraggio è coraggio”, “bene è bene”, ecc. Ciò risponde ai postulati parmenidei, secondo cui l'essere coincide solo con se stesso.
Stilpone di Megara polemizza contro il giudizio aristotelico, affermante che di un soggetto si può predicare un qualsiasi termine. A tal riguardo Stilpone ritiene che:
Se predichiamo il correre di un cavallo, egli dice che il predicato non è identico al soggetto di cui si predica; l'essere del cavallo differisce infatti dall'essere del correre, perché se siamo richiesti della definizione dell'uno e dell'altro, non diamo la stessa risposta. Così anche la definizione dell'essenza necessaria di un uomo è diversa da quella di buono. Donde deriva che sbagliano quelli che predicano i due termini uno dell'altro; se sono identici infatti il buono e l'essere uomo, il correre e l'essere cavallo, come potremo predicare il buono anche del cibo e della medicina e il correre del leone e del cane? Ma se sono diversi non è corretto dire che l'uomo è buono e il cavallo corre.” Plutarco, Contro Colote, 23, 1120a.
Euclide di Mileto confutava le dimostrazioni partendo dal presupposto che le conclusioni sono sempre incerte. Alla stessa maniera, anche i ragionamenti comparativi non assumono statuto di certezza. Ed infatti, se dico che una cosa è simile ad un'altra, è meglio osservare la cosa stessa, e non l'oggetto ritenuto simile; se, invece, sono oggetti diversi, allora l'accostamento tra di essi risulta superfluo.
Euclide connette la filosofia di Zenone di Elea con la morale. Da tale unione si ricava che l'essere e il bene coincidono. Entrambi, infatti, sono eterni, immutabili e incorruttibili. Il Bene di Euclide, denominato in molteplici maniere, e cioè come dio, saggezza, intelletto, sapienza, ecc. coincide con l'Essere parmenideo.
A chiarimento di ciò che abbiamo detto riportiamo la testimonianza di Diogene Laerzio, che, in Vita dei filosofi, scrive:
Euclide diceva che uno è il bene, chiamato con molti nomi: a volte saggezza, a volte dio, altre volte intelletto e in altri modi ancora. Egli eliminava ciò che è opposto al bene, dicendo che è non essere. Diogene Laerzio, Vite dei filosofi, II, pag. 106.”
Il saggio, il filosofo, quindi, non può cogliere il bene nel quotidiano. Deve, pertanto, allontanarsi da ogni desiderio e da ogni passione, per giungere all'apatia.
La morale della scuola di Megara coincide per molti versi con quella dei Cinici e sarà di ispirazione per quella stoica. A tal riguardo, basta ricordare che Zenone di Cizio fu allievo di Stilpone.

La scuola cinica
La scuola cinica venne fondata da Antistene. Egli aveva conosciuto Socrate in età avanzata e da giovane era stato discepolo del sofista Gorgia. Antistene fu autore di un'opera dal titolo Sulla liberta e la schiavitù.
Il nome di scuola cinica ha una doppia valenza. Ed infatti, da una parte è dato dal fatto che la scuola venne fondata in un antico ginnasio e santuario di Atene, situato in una zona periferica, dal nome Cinosarge (il cane agile), che accoglieva ogni genere di persone, compresi schiavi, prostitute, stranieri ed illegittimi. Dall'altra parte, invece, indicava il nome con cui venivano chiamati in maniera dispregiativa dagli altri filosofi. I cinici, infatti, venivano criticati per il loro comportamento libero e irrispettoso di qualsiasi regola del buon vivere sociale. Gli stessi cinici affermavano di vivere come i cani, e cioè in maniera semplice e naturale, senza ricercare alcuna cosa e alcun bene materiale.
Il saggio, quindi, doveva vivere seguendo la ragione. Ciò al fine, non solo di non sottostare alle passioni, ma anche di poterle controllare. Inoltre, doveva avere dominio di sé e doveva bastare a se stesso.
Antistene polemizzava contro lo stile di vita cittadino e criticava tutti coloro che credevano nelle disparità sociali e razziali e che approvavano la schiavitù. Per tali motivi, veniva accusato di frequentare chiunque, anche i delinquenti ed i malvagi. Egli rispondeva che anche i medici stanno con i malati, ma non per questo si ammalano essi stessi.
L'esponente cinico più conosciuto è Diogene di Sinope. Questi fu l'unico che riuscì a farsi accettare come allievo dal maestro Antistene.
Diogene ebbe molti seguaci. I più importanti furono Onesicrito, Monimo, Cratete di Tebe con la moglie Ipparca e il cognato Metrocle.
In seguito, si ebbero Menedemo e Menippo di Gadara. Questi, insieme a Bione di Boristene, Talete e Cercida, fece assurgere a genere letterario vero e proprio le diatribe date dalle discussioni etiche effettuate con toni sarcastici, satirici, impetuosi ed aspri.
La scuola cirenaica
La scuola di Cirene venne fondata dal discepolo di Socrate Aristippo. Questi si recò a Corinto e a Siracusa. Qui conobbe quasi certamente Platone. Aristippo morì nel 355 a.C. e gli succedette alla guida della scuola la figlia Arete e il figlio di lei Aristippo Metrodidatta. Quest'ultimo definì la dottrina ufficiale della scuola ed elaborò la dottrina dell'edonismo, attribuita al nonno.
Per gli esponenti della scuola di Cirene alla base dell'agire umano si hanno le sensazioni e le passioni. Aristippo, come il maestro Socrate, riteneva che la matematica e la fisica non potessero elaborare conoscenze certe. L'unico sapere sicuro che l'uomo può sviluppare è quello della condotta morale. Ora, mentre per Socrate, essa coincideva con la virtù, per i cirenaici coincideva con il piacere corporeo. Quest'ultimo veniva inteso come movimento calmo e dolce, che si contrapponeva a quello aspro e violento dato dal dolore. Bisognava, quindi, comportarsi come Aristippo, che si adeguava con
[…] disinvoltura a luogo, a tempo, a persona e recitava il suo ruolo convenientemente in ogni circostanza. Perciò più degli altri godeva del favore di Dionisio, poiché riusciva sempre a rendere accettabile ogni situazione. Godeva il piacere dei beni presenti, ma rinunziava ad affaticarsi per il godimento di beni non presenti. Fu per questo che Diogene lo chiamava cane (o cinico) regale”.
Diogene Laerzio, Vite dei Filosofi, II, pag. 66,

Ciò non significa affermare che tutti i piaceri portino al bene. Per Aristippo, infatti, bisogna godere solo di quei piaceri che la ragione reputa idonei. Inoltre, è sempre meglio astenersi dai piaceri, dominarli e non lasciarsi prendere e vincere da essi.
I cirenaici, infine, rifiutavano qualsiasi forma di partecipazione politica. Per loro, la gestione della cosa pubblica era causa di turbamento e di dolore. Inoltre, non intendevano legarsi ad alcuna nazione, in quanto si ritenevano cittadini del mondo.
Da ricordare è il cirenaico Anniceri, che, oltre ad avere elaborato una raffinata dottrina etica, riscattò Platone dalla schiavitù.
Altro esponente di rilievo fu Egesia. Anche lui sviluppa una concezione etica edonistica. Questa, però, si distingue da quella di Aristippo. Ed infatti, Egesia non ricercava il piacere, ma piuttosto l'assenza di dolore, e cioè l'insensibilità, l'imperturbabilità e la tranquillità interiore perfetta ed assoluta. Una concezione di difficilissima realizzazione nel quotidiano e che culminava, per tale motivo, con il suicidio. Egesia passò alla storia come il persuasore di morte e scrisse un trattato dal titolo Sul suicidio mediante il digiuno.
Infine, da menzionare è Teodoro. Questi si predicava ateo e, oltre a negare l'esistenza degli dei, polemizzava contro qualsiasi tipo di valore tradizionale, anche l'amicizia e l'amore verso la propria patria. Inoltre, Teodoro legittimava l'adulterio, il furto, il sacrilegio. Essi, infatti, per la loro costituzione naturale, non erano sempre da condannare.
La scuola eliaco-eretriaca
Bisogna ricordare anche la scuola socratica minore fondata da Menedemo di Eretria. Egli, oltre che filosofo, fu scrittore conosciuto di drammi a carattere satirico e di tragedie. Fu un maestro nell'arte dell'eristica e si diede anche alla politica.
Scarse sono le notizie su di lui. Sappiamo con certezza che proveniva dall'Eretria e che visse tra il 339 a.C. e il 265 a.C. Fu discepolo di Fedone di Elide. Alla morte di questi si trasferì in Eretria e qui, insieme all'amico Asclepiade di Fliunte, fondò una nuova scuola filosofica. Le poche testimonianze su Menedemo di Eretria ci provengono da Plutarco, da Diogene Laerzio, da Cicerone e da Simplicio.
Venne sospettato di tradimento politico in favore della Macedonia e, costretto a fuggire, si recò alla corte di Antigono Gonata. Qui morì nella disperazione.
Il nucleo centrale del suo pensiero afferma che il bene coincide con l'unico essere di stampo eleatico e in etica riprende sostanzialmente il pensiero stoico.


La scuola eleatica

La scuola eleatica, il cui massimo rappresentante fu Parmenide, operò tra il IV – V secolo a.C. e venne fondata ad Elea, una colonia greca dell'antica Lucania, oggi comune di Ascea, nel Salerno.
Fu un circolo presocratico ed ebbe come esponenti Zenone di Elea, Melisso di Samo e Senofane di Colofone. Quest'ultimo, considerato da molti storici della filosofia il fondatore della scuola, sviluppò una critica all'antropomorfismo, che venne portata a compimento da Parmenide con l'elaborazione del concetto di essere. In realtà, non si hanno prove certe su chi sia stato il caposcuola. Le poche conoscenze che abbiamo di questo circolo filosofico sono tutte indirette e provengono dai testi di autori del tempo di Parmenide.
Senofane di Solofone fu il primo pensatore che criticò chiaramente il sistema antropomorfico greco e, con esso, tutto quanto l'impianto mitologico espresso neelle opere di Omero e di Esiodo. Parmenide elaborò ulteriormente la concezione di Senofane e la sviluppa in senso ontologico, gnoseologico e linguistico.
In seguito, la scuola si concentrò su tematiche principalmente eristiche e retoriche. Molto probabilmente perché i contemporanei, ritenendo offensive le dottrine professate da questi filosofi, ne censurarono il pensiero.
Le speculazioni eleatiche non cessarono di esistere, ma confluirono all'interno dell'Accademia platonica e ne divennero i capisaldi del sistema filosofico metafisico.
Gli Eleati rifiutavano un sapere che si basasse sui sensi e davano validità epistemologica a quelle conoscenze che derivano da premesse chiare ed evidenti.
Le dottrine principali della scuola eleatica criticavano le teorie dei filosofi naturalisti di Mileto, che spiegavano l'esistenza del tutto mediante degli elementi primari. Basta pensare a Talete con l'acqua o ad Eraclito con il fuoco e il suo perpetuo movimento. Per gli Eleatici, invece, a fondamento del Tutto si aveva un principio unitario ed universale. Esso è l'essere, che, in quanto immutabile, immobile, eterno ed increato, non poteva essere colto mediante i sensi, sempre mutevoli e contraddittori, ma per mezzo del pensiero. Solo quest'ultimo poteva far giungere alla conclusione che a fondamento del tutto si ha l'Essere e che Tutto è Uno. L'essere, inoltre, essendo eterno, è ingenerato. Se fosse il contrario, bisognerebbe ammettere che l'essere provenga dal non – essere. Ma, in quanto non – essere, nulla può provenire da esso. Anzi, proprio perché non è, di esso non può essere detto nulla. Ed infatti, di ciò che non è non si può parlare, perché risulta impossibile discutere di ciò che non esiste.

La scuola di Elea sviluppò un modo di argomentare che fu alla base della nascita della logica occidentale. 

Aristotelismo

Il pensiero aristotelico visse un periodo di declino dalla morte dello stagirita sino all'inizio dell'era cristiana. Il successore al Liceo, dopo la morte di Aristotele, fu Teofrasto, che resse la scuola dal 323 a.C. al 284 a.C. Teofrasto fu un uomo di vastissima cultura e di fertili innovazioni nel campo della ricerca scientifica; non riuscì, però, a fare conoscere e a diffondere il nucleo centrale del pensiero del maestro. I discepoli di Aristotele, inoltre, non riuscirono ad intendere correttamente le dottrine filosofiche peripatetiche e molti di questi scolari elaborarono concezioni materialistiche di stampo presocratico. Con la morte di Teofrasto, si ebbe come successore al Liceo Stratone di Lampsaco ( dal 284 a.C. al 270 a.C.). Questi operò la rottura più clamorosa con i dettami originali del circolo peripatetico. L'aristotelismo, quindi, viveva l'inizio del suo declino e del suo oblio. Quest'ultimo venne favorito dal fatto che Teofrasto, alla sua morte, lasciò gli edifici del Peribato alla scuola, ma diede la biblioteca con tutte le opere non pubblicate di Aristotele a Neleo di Scepsi. Questi trasferì la biblioteca in Asia Minore e la lasciò agli eredi. Essi nascosero i libri in una cantina, per evitare che cadessero nelle mani del re Attalidi, che stava facendo costruire una biblioteca a Pergamo. I libri di Aristotele rimasero dimenticati in questo luogo finché un certo Apellicone, bibliofilo, non li acquistò per trasferirli nuovamente ad Atene. Dopo la morte di Apellicone, i testi vennero confiscati nell'86 a.C. da Silla, che li fece trasportare a Roma per affidarli al grammatico Tirannione, con il compito di trascriverli.
La scuola aristotelica, privata dagli scritti esoterici, che contenevano il pensiero più autentico dello Stagirita, entrò in una profonda crisi. Si fecero, pertanto, spazio altre filosofie, come quella epicurea, stoica e scettica.
Tirannione cercò di sistemare ed ordinare le opere aristoteliche, ma non riuscì a finire l'opera. Nel frattempo, iniziarono a circolare a Roma alcune opere di Aristotele. Si trattava, però, di testi mal tradotti, con molte imprecisioni, a tratti incomprensibili, frutto più di un intento remunerativo che culturale e filosofico.
L'opera di sistemazione si ebbe con Andronico di Rodi. Nel fare ciò, egli compì il primo passo per la rinascita del pensiero aristotelico.
Andronico raggruppò le opere di Aristotele per argomenti, unì i trattati più brevi con altri riguardanti le stesse indagini, diede nuovi titoli ed organizzò i libri di logica in un solo corpus. Alla stessa maniera procedette con quei testi riguardanti argomenti di fisica, di metafisica, di politica, di estetica e di retorica.
La sistemazione di Andronico rimase invariata sino ai giorni nostri.
Le opere esoteriche, al contrario delle essoteriche, erano destinate agli allievi del Liceo. Per tale motivo erano molto complesse. Per facilitarne la lettura, si iniziarono a compilare dei commentari, che spiegavano passo per passo ogni frase del testo.
Andronico, Boeto di Sidone, Nicola di Damasco e Senarco di Seleucia (operanti tutti nel I secolo a.C.) prepararono monografie, parafrasi e sintesi delle opere dello stagirita.

I commentari si diffusero durante i primi tre secoli dell'era cristiana, e divennero il genere letterario indispensabile per leggere ed intendere il pensiero di Aristotele. Tra i più celebri commentatori sono da ricordare Ermino, Adrasto di Afrodisia, Aspasio , Alessandro di Ege e, il più eminente, Alessandro di Afrodisia.