martedì 29 maggio 2012

Aristotele


Aristotele nasce a Stagira nel 384 a.C. Nel 367, a 18 anni, entrò l’Accademia e vi rimase per 20 anni, fino alla morte del maestro. Abbandona l'accademia perché a Platone succedette l'avversario Speusippo. Si trasferisce ad Asso, alla corte dell'ex allievo di Platone, Ermia, e qui vi rimane per circa tre anni. Poi risiede per due anni a Militene. Nel 342 si sposta in Macedonia per richiesta del re macedone Filippo. Diviene, pertanto, maestro di Alessandro, che allora aveva tredici anni. Nel 335 a.C ritornò ad Atene, e, ormai cinquantenne, vi fonda il Liceo o il peritato. Rimane alla direzione della propria scuola sino al 323, anno della disfatta dell'allievo Alessandro il Grande. Si rifugia a Calcide di Eubea, dove muore nel 322, ossia l'anno seguente.
Dei primi scritti arostotelici ci sono rimasti solo pochi frammenti. Da essi si può ricostruire l'elaborazione del pensiero dello stagirita, che maturando va emancipandosi sempre di più da quello del maestro.
Tutte queste prime opere sono scritte in forma dialogica, ad eccezione del Protrettico. Ciò rispecchia il metodo di Platone, che faceva effettuare le ricerche in un contesto di confronto e di domanda-risposte.
Questi scritti giovani di Aristotele sono detti essoterici, cioè “destinati al pubblico”, per lo stile semplice e di facile accesso. Gli studi successivi, detti “esoterici”, cioè “destinati agli iniziati”, più difficili e scientifici, obliarono i precedenti, che non vennero più trascritti, e che, conseguentemente, si perdettero.
Alle opere essoteriche o acromatiche appartengono Grillo o Della retorica, Simposio, Sofista, Eudemo o Dell’anima, Erotico, Protrettico, Sulla ricchezza, Sulla preghiera, Sulla nobiltà, Il piacere, L’educazione, Il regno, Il politico, Dei poeti, Della giustizia, Sul bene, La filosofia di Archita, La filosofia di Democrito, Della filosofia.
Opere perdute sono: Alessandro, Problemi, Divisioni, Ipomneata, Categorie, Dei contrari, Delle idee, Pitagorici.
Andronico di Rodi, attivo nel I sec, filosofo peripatetico ed undicesimo scolarca, ossia successore al Liceo, ordinò le opere di Aristotele in una raccolta, detta Corpus Aristotelicus, disponendo gli scritti in quattro gruppi, ordinati non in ordine cronologico, ma per argomento trattato.
Al primo gruppo appartengono gli scritti di logica, indicati con il titolo complessivo di Organon, cioè strumento, poiché per Andronico la logica era lo strumento necessario per tutte le altre scienze, ed infatti solo sapendo ben ragionare si possono fondare saperi certi e sicuri in tutte le altre scienze. A questo gruppo appartengono i trattati dal titolo Dell’interpretazione, Analitici Primi, Analitici Secondi, Topici, Elenchi Sofistici.
Alle opere di fisica appartengono i trattati dal titolo Fisica, Del cielo, Generazione e Corruzione, Meteorologia, Storia degli Animali, le parti degli animali, sul movimento degli animali, sull’incedere degli animali, generazione degli animali, l’anima e opuscoli relativi all’anima, parva naturalia.
Libri relativi alla filosofia prima sono Metafisica (14 libri) da metha ta phisyka, cioè dopo i libri di fisica. Il titolo, quindi, in origine indicava soltanto la disposizione di questi studi, che vennero collocati subito dopo quelli che trattavano argomenti concernenti la natura. Il termine metafisica, però, ebbe così tanto successo che alla fine andò ad indicare anche l'argomento stesso trattato in questo gruppo di scritti, e cioè ciò che va oltre il fisico, ciò che trascende il materiale, e con metafisica verrano indicati tutte quelle opere che cercheranno di rispondere ad interrogativi riguardanti Dio, l'immortalità o meno dell'anima, la totalità del mondo, ecc.
Alle opere politiche appartengono l'Etica Eudemia, Etica Nicomachea, Magna Moralia, Politica, Costituzione degli ateniesi, Retorica e Poetica.
Anche per Aristotele, come per Platone, il problema principale è la ricerca di un metodo che porti ad un sapere certo. Esso ci viene dato dlla definizione, la quale è possibile solo se si chiariscono le dinamiche del corretto ragionamento. Solo mediante il giusto procedere della ragione si può giungere alla definizione, la quale permette la genesi di una conoscenza sicura, ossia scientifica.
Nella metafisica, Aristotele critica le idee di Platone, perché esse non spiegano l’esistenza delle cose, ma, al contrario, non fanno altro che duplicarle. Ed infatti la mimesi (imitazione) e metessi (partecipazione) sono per Aristotele immagini poetiche e non ragionamenti scientifici. Inoltre, se si ammette da un lato le cose, e dall’altro le idee delle cose, si dovrà ammettere un’altra idea che comprende sia la cosa che l’idea della cosa (argomento del terzo uomo), aprendo in tal modo la via ad un processo che procede all’infinito.
L'argomento del terzo uomo evidenzia la presa di distanza di Aristotele dal proprio insegnante, anche se ciò non deve far pensare all'instaurazione tra i due di rapporti conflittuali. Anzi. I due filosofi erano proiettati alla ricerca della verità, ed ognuno, a loro parere, vi giunse seguendo strade diverse. Aristotele ebbe sempre gran rispetto per il proprio maestro, e questi sin da subito intuì l'ingegno e la fervida intelligenza dello scolaro. Ma, come dice Aristotele, non si può fare a meno di dire come stanno realmente le cose; non si può tacere il vero.
L'argomento del terzo uomo mette ben in luce una difficoltà delle idee platoniche. Queste, come già si è detto, erano prototipi perfetti delle cose sensibili. Per cui, per esempio, l'uomo terreno è copia imperfetta dell'uomo ideale che si ha nell'iperuranio. Ma non si capiva bene come dal prototipo si generasse la copia, e le spiegazioni date da Platone sembravano allo stagirita poco scientifiche e poco rigorose. L'imitazione e la partecipazione, infatti, apparivano ai suoi occhi come delle immagini poetiche, fantasiose, e non frutto di un ragionamento rigoroso e sillogistico. Inoltre, se l'uomo terreno, copia dell'idea di uomo ultraterreno, è solo partecipe di quest'ultimo, bisogna allora che vi sia un ulteriore idea che esprima quest'insieme di concetti. A sua volta deve esistere un ulteriore idea che abbracci quest'idea e un altro ancora che la contenga. Così, per ogni idea, vi sarebbe associato un numero infinito di idee. Questo creerebbe una incontrollata espansione all'infinito delle idee eterne presenti nell'Iperuranio. Ogni idea, infatti, che giunge all'intelletto dell'uomo deve avere la sua controparte nell'iperuranio. Perché se io ho l'uomo ideale e l'uomo reale che dell'ideale partecipa, devo avere un'altra idea di uomo che abbia qualcosa in comune sia con l'uomo ideale che con quello reale. Altrimenti non avrei partecipazione tra l'idea di uomo e l'uomo sensibile. Si ha pertanto l'idea di un terzo uomo. A questo, però, bisognerebbe aggiungerne un quarto, un quinto, un sesto, ecc., in un procedimento infinito. Ponendo con A l'uomo ideale e con As l'uomo sensibile, che imita il precedente, dobbiamo avere, quindi, un A1 che sia imitazione dell'idea di uomo reale ed imitazione dell'idea di uomo sensibile. Da esso un A2 che è l'idea derivante dall'imitazione dell'imitazione dell'idea di uomo ideale e dell'idea di uomo sensibile. Ciò comporterebbe un susseguirsi infinito di idee di uomini.
Come già detto, il problema fondamentale di Aristotele fu quello di definire le condizioni che permettono la scienza, ovvero “ciò che non può essere diversamente da quello che è”. Tale scienza è detta teoretica: essa studia le “cause e i principi primi”. La teoretica si divide in tre parti, a seconda dell'oggetto studiato: filosofia prima (metafisica), fisica e matematica.
La fisica si occupa dei corpi naturali che hanno esistenza propria, autonoma, e che hanno in sé il principio di movimento e di quiete.
La matematica è la scienza di ciò che è immutabile, ma che non ha un’esistenza propria.
La filosofia prima, scienza generale, studia ciò che è in quanto è quello che è, e le condizioni che gli sono intrinseche. Studia il principio o essenza (ousia) delle cose, ovvero la sostanza.
Nel libro XII della metafisica diviene studio della realtà che ha esistenza propria, e che in quanto priva di materia, non ha alcuna forma di mutamento.
Poi vi sono le scienze pratiche (praxis), concernenti l’agire umano volto a realizzare un fine, pertanto la realizzazione del bene e della felicità, cioè l’etica. Ciò trova il suo prolungamento nella politica e nella retorica, come arte del convincimento.
Infine vi sono le scienze poietiche, cioè quelle che riguardano le azioni rivolte alla produzione (poiesis = fare) di qualcosa, che assume una realtà per sé, che non era in natura, ma è dovuta ad un atto creativo.
La logica, ovvero l’analitica, risolve (analizza) il discorso nei suoi elementi più semplici, ed è lo strumento (organon) che rende possibile i ragionamenti corretti, in tutti gli ambiti scientifici. Le premesse della logica devono essere vere, inconfutabili, colte, quindi, non con dimostrazioni, ma con un’intuizione. Ciò dà i principi primi logici comuni a tutte le scienze. Tali principi primi sono: il principio di identità, il principio di non – contraddizione, il principio del terzo escluso.
Con la formulazione del giudizio si ha la predicazione, dove due termini sono posti in rapporto da un verbo, che afferma o nega. Alla dottrina dei giudizi è connessa quelle delle categorie.
La categoria è la classe in cui si raggruppano le determinazioni della realtà. La prima categoria è la sostanza, ovvero ciò che è in sé e per sé, mentre ogni altra determinazione si riferisce alla sostanza e, pertanto, non è in sé e per sé, ma in rapporto alla sostanza (sono gli accidenti).
Nella predicazione si procede alle determinazioni (attributi del soggetto). Quindi qualità (bianco o nero), quantità (lungo o corto), relazione (maggiore o minore), luogo, tempo, posizione, azione, passione, condizione. Tali categorie sintetizzano tutti i possibili predicati entro cui è lecito fare giudizi.
La scienza è conoscenza certa, a cui si giunge mediante la formulazione di sillogismi. quest'ultimo è, per Aristotele, un ragionamento in cui, poste alcune premesse, ne derivano necessariamente una conclusione.
Il sillogismo si forma di tre proposizioni: due sono le premesse, una è la conclusione, e per essere scientifico deve avere premesse immediatamente vere e indimostrabili, oppure avere le premesse costituite da conclusioni di un altro sillogismo scientifico. Il sillogismo può essere dialettico o apodittico. Nel primo caso le premesse sono probabili e, quindi, le conclusioni non rientrano nel campo del sapere certo; nel secondo caso, invece, le premesse sono necessarie e le conclusioni verità oggettive.
Per Aristotele, al contrario di Platone, la dialettica offre un sapere opinabile e confutabile. Solo i sillogismi sono, infatti, ragionamenti dimostrativi.
Abbiamo detto che la teoretica studia l'essere di ogni cosa, cioè quello che fa essere una data cosa quella che è.
Per Aristotele le essenze di ogni cosa nascono dal sinolo di materia e forma. La materia, avendo in sé la possibilità di assumere una forma, si può anche indicare come ente in potenza; la forma, in quanto principio che realizza, determina la materia costituendo questa o quella sostanza; nasce in tal modo la coppia potenza – atto. La materia e la forma sono i principi primi senza i quali non si può avere la realtà. Quindi, la causa materiale e la causa formale, in seguito si ha la causa efficiente (ciò che fa sì che si attui), e la causa finale (ovvero il fine).
Possiamo fare un esempio a chiarimento di quello che abbiamo detto:
l'uomo è sinolo, ossia unione, di materia e forma, che possiamo chiamare anche potenza e atto. Ed infatti, un bambino è uomo solo in potenza, ma in futuro lo sarà in atto. La materia o potenza è ciò che si plasmerà in un certo modo; la forma o atto è la cosa che si realizza, la quale può essere, però, potenza di altro, per esempio il bambino è atto, ma è, anche, potenza di uomo.
A maggiore chiarimento diciamo che la materia è privazione se deve divenire qualcosa, ed è atto, se ha realizzato la cosa. Il divenire della natura avviene, quindi, col continuo passaggio dalla potenza all'atto secondo tre principi ben precisi, che sono forma, materia e privazione, dove quest'ultima è ciò che ancora deve essere.
Ora, se nella natura inanimata bastano i tre principi di forma, materia e privazione a spiegare il divenire, per i prodotti costruiti dagli esseri viventi si rendono necessarie quattro cause: la causa materiale, la causa formale, la causa efficiente o motrice e la causa finale. Facciamo un esempio a chiarimento di ciò: se dobbiamo costruire una statua necessitiamo del bronzo (causa materiale), della forma che essa deve assumere (causa formale), dello scultore (causa efficiente o motrice) e di una destinazione (causa finale).
È da notare che ogni causa efficiente presuppone a sua volta un'altra causa efficiente. Per esempio il frutto che nasce dal fiore proviene da un seme inseminato da altre piante. Il tutto avviene in un ciclo che si ripete per chissà quante piante senza che, quindi, per qualsiasi frutto si possa più sapere quale è la sua causa prima. Ciò darebbe vita ad una catena di nessi causali che andrebbe all'infinito, nella quale ogni causa per agire avrebbe bisogno di un'altra causa, e questa di un'altra, e così via. Per evitare un regresso all'infinito, occorre postulare l'esistenza di un motore immobile (qualcosa che muova senza muoversi) e atto puro (cioè che sia eternamente in atto senza bisogno di qualcosa che determini il suo passaggio dalla potenza all'atto), che in ogni movimento dia inizio a una serie di nessi causali. Questa causa viene identificata con Dio. Esso è Principio Primo e Causa Primaria è Dio, ossia Atto Primo, Sostanza Immateriale, assolutamente semplice ed immobile. La sua attività immateriale è la forma di vita più alta.
Dio pone fine alla successione infinita di cause, ed è, pertanto, Motore Immobile. Ed infatti, se ogni oggetto è mosso da un altro, questo da un altro ancora, e così via a ritroso, alla fine della catena si ha deve necessariamente avere un motore immobile. Esso è "motore" perché è la meta finale a cui tutto tende, "immobile" perché causa incausata, cioè Atto Puro, non generato. Solo in Lui l'essenza coincide con l'esistenza, e, pertanto, solo Lui è necessario. Tutti gli enti sono possibili, in quanto la loro essenza è possibile, ma non necessaria, e per tale motivo sono attratti da lui. Nel Motore Immobile tutto è compiuto perfettamente, e non v'è nessuna traccia del divenire, perché questo è appunto solo un passaggio. Non vi è neppure l'imperfezione della materia, che continua, invece, a sussistere negli enti inferiori; e non vi può essere perché egli è Atto Puro, causa incausata.
Aristotele esaminando i corpi in movimento distingue quattro tipi di movimento o moto: la generazione e corruzione (cioè il moto sostanziale per cui le cose nascono e muoiono); il mutamento (ovvero l’alterazione qualitativa); l’accrescimento e diminuzione (cioè passaggio da piccolo a grande) e la traslazione (ossia movimento locale distinto dal movimento violento). Il movimento presuppone il divenire, cioè passaggio da qualcosa a qualcos'altro, ove la sostanza rimane invariata, e gli accidenti cambiano. Il movimento, come detto, presuppone tre principi: materia (sostrato), forma e privazione. Forma e materia sono cause e condizioni dell’esistenza di una cosa, mentre la privazione è il principio di mutamento in quanto indica la mancanza di una forma, in un soggetto avente già una forma. Ogni essere o ente è, quindi, sinolo, unione, di materia e forma. Ogni movimento però, comporta una causa del movimento (cioè una causa efficiente) e un fine (una causa finale).
Aristotele pone a fondamento della sua concezione fisica del mondo la dottrina dei quattro elementi enunciata da Empedocle. Quattro sono, quindi, gli elementi che costituiscono il mondo materiale (terra, acqua, aria e fuoco), ai quali lo stagirita ne aggiunge un ulteriore, etere, la materia speciale che costituisce il cielo. I quattro elementi sono dotati di moto rettilineo, dall’alto al basso (terra e acqua) o dal basso all’alto (aria e fuoco), a seconda della loro naturale pesantezza o leggerezza; ogni elemento occupa infatti un luogo naturale. Il moto dei quattro elementi è imperfetto, in quanto ha un inizio e una fine; perfetto è, invece, quello circolare dei cieli, in quanto non ha né un principio né una fine. La zona celeste va dal cielo delle stelle fisse al cielo della luna, sotto il cielo della luna inizia zona degli elementi. Oltre ai moti naturali, vi sono anche quelli violenti, per esempio una pietra lanciata in alto. Il moto si spiega con lo spostamento dell’aria dato dalla mano che lancia la pietra.
Aristotele nega il vuoto, in quanto renderebbe impossibile il movimento. Il numero delle sfere celesti è di 55.
Nella fisica rientra lo studio degli esseri viventi: sinolo di materia – forma, ove la forma o atto è il principio di vita, e pertanto anima. In quanto forma l’anima non esiste separata dal corpo e non è quindi, pensabile un’anima che esista prima della nascita e dopo la morte. L’anima può essere composta da tre aspetti: vegetativa, sensitiva, razionale. La pianta si riduce al primo aspetto e svolge, in tal modo, le sue funzioni nutritive; gli animali svolgono sia la funzione vegetativa e nutritiva, infine l’uomo vive vegetativamente, sente e pensa, giudica e realizza in sé la conoscenza di tutta la realtà. La sensazione si conserva nella memoria e l’accostamento di più sensazioni crea l’esperienza della successione temporale.
L’etica è la scienza pratica. Essa è sempre volta ad un fine, il bene,e, pertanto, di volta in volta, il realizzarsi di questo o quel fine. Da ciò, Aristotele dice che l’etica è una scienza architettonica. La felicità consiste pertanto nella piena attuazione della propria natura. L’etica si divide in virtù etiche e virtù dianoetiche. Ove le prime sono attività proprie della vita politica, le seconde sono l’attuazione dell’attività dell’intelletto. Le virtù dianoetiche sono intelligenza, scienza, sapienza, ragionevolezza o saggezza, arte. La vita etica si identifica nel continuo esercizio di attuare di volta in volta il giusto mezzo tra due estremi. Per Aristotele la virtù perfetta è la giustizia, in quanto esprime il giusto non solo rispetto alla misura interiore che l’uomo deve realizzare in se stesso, ma anche rispetto alla misura che realizza in un ordinato equilibrio politico. La giustizia si determina come giustizia distributiva e giustizia correttiva. La giustizia distributiva dà ad ognuno ciò che gli spetta (onore, denaro, beni) in proporzione ai propri meriti e condizione sociale; la giustizia correttiva corregge gli squilibri che si vengono a creare nei rapporti tra gli uomini (per esempio nei contratti, nei furti, ecc.). L’uomo per Aristotele è per natura un animale politico. La prima forma di associazione è la famiglia, poi il villaggio, e infine lo stato. Aristotele distingue tre tipi di governo: monarchia (governo di uno solo), aristocrazia (governo dei migliori o dei privilegiati) e politeia ovvero repubblica, governo democratico o costituzionale. Quest’ultima forma di governo è per Aristotele la migliore, in quanto è il governo dove sono i più a governare, dove con i più si intende la classe media. La corruzione delle tre forme di governo sono la tirannide, degenerazione della monarchia; l’oligarchia, degenerazione dell’aristocrazia; la democrazia, degenerazione della repubblica. Gli schiavi, che per natura sono incapaci di realizzare la natura dell’uomo e la vita intellettuale, sono alla guisa degli animali e degli strumenti materiali.
Allo studio del mondo umano appartiene la retorica, e cioè l’indagine critica dei tipi di discorso capaci di persuadere. Siamo pertanto nel mondo del possibile. La poesia è tale perché fa un mondo di parole, di ritmi, di voci e segni che non si esaurisce nell’azione stessa (come l’oratoria) ma che acquista autosufficienza. Il mondo poetico è perciò imitazione, ma non in senso spregiativo, ma nel senso di presentazione di realtà verosimili ove vi sono significati universali. Nella poetica Aristotele attribuisce alla tragedia la funzione di catarsi, cioè di purificazione delle passioni. La tragedia deve attuarsi secondo regole formali quali l'unità di tempo (tutto deve svolgersi nell’arco di un giorno) di luogo (tutto deve svolgersi nello stesso luogo) e di azione (tutto devi svolgersi attorno ad unico tema centrale).

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