martedì 29 maggio 2012

Agostino d’Ippona


Aurelio Agostino nasce in Africa, a Tagaste, nella Numidia, il 13 Novembre del 354 d.C. Nel 385, dopo una profonda crisi interiore che lo induce a lasciare il Manicheismo, decide di abbracciare il Cristianesimo. Nel 387, a Milano, dal vescovo Ambrogio, riceve il battesimo. Nel 396 diviene Vescovo di Ippona. Muore nel 430, quando i Vandali Genserico cingono d’assedio Ippona. Tra le opere di maggiore rilievo abbiamo: Contra Academicos (386); De Beata Vita (386), De Ordine (386), I Soliloqui (387), De Immortalitate Animi (386), Contra Manichaeos (388-390), De Libero Arbitrio (388-395), De Magistero (389), De vera religione (389-391), De Duabus animabus contra manichaeos (391-392), opere di esegesi biblica (393-396), De Doctrina Christiana, Contro i manichei (397-400), Le Confession (400), Contro i Donatisti (400-402), De Trinitate, De Civitate Dei (415-426). Per Agostino l’anima, che è una realtà spirituale, è prima di tutto coscienza di sé. L’anima si libera dal dubbio appena medita sul suo stesso dubitare. Il dubbio infatti nel momento in cui si afferma manifesta una prima verità, e cioè la certezza dello stesso dubitare: chi, infatti, sa di dubitare è certo di questo suo dubitare. Ancora, chi dubita ha la consapevolezza di esistere, se infatti non esistesse, non potrebbe ingannarsi. Inoltre, chi vive dubita e pensa. Vi è dunque un complesso di verità che nascendo dal dubbio si pongono oltre il dubbio stesso. Ed infatti, l'esistenza del dubbio dà la certezza della propria esistenza, della propria anima, la cui realtà è provata dal dubitare stesso. Il problema della verità non si esaurisce però qui. Per Agostino il conoscere non può realizzarsi nella sua totalità nel sensibile, né in un conoscere intellettuale che nasce da esso, infatti i sensi sono mutevoli e provvisori, e allo stesso modo la mente dell’uomo è mutevole e limitata. La verità invece è immutabile, eterna ed infinita. Ciò vuol dire che la verità non può provenire dai sensi, e neppure può essere prodotta dalla mente dell’uomo. La verità e, invece, già presente nell’uomo. Agostino spiega questa presenza della verità dell’uomo con la dottrina dell’illuminazione. È il verbo, vero maestro interiore, che, come si legge nel IV vangelo “illumina ogni uomo che viene in questo mondo”. L’uomo è capace di verità in quanto in lui risplende la luce divina nella parte superiore della ragione (ratio superior). Il conoscere si delinea quale un’ascesa a Dio, passando attraverso l’esperienza del proprio pensiero fino a trascenderlo “non uscire fuori di te, ritorna in te stesso, nell’interno dell’uomo abita la verità; ma se troverai mutevole la tua natura, trascendi anche te stesso e tendi là dove si accende il lume della ragione (De Vera Religione)”. Dio, dunque, illumina l’anima umana e la rende capace di cogliere la verità, l’anima trova in sé le regole eterne, riposte come in uno scrigno, nella memoria. Quest’ultima non è empirica, bensì innata, anteriore ad ogni conoscenza. Le regole eterne sono i principi universali che permettono il fondamento dei giudizi. Si ripetono in lui, con lieve modifiche di adattamento alla nuova religione cristiana che egli abbraccia, alcune tematiche fondamentali della filosofia gnoseologica ed ontologica platonica. La filosofia, per Agostino, non è qualcosa di essenzialmente diverso dalla religione: tanto la filosofia che la religione sono ricerca e godimento della verità, cioè di Dio stesso, e, pertanto, Agostino potrà dire che il cristianesimo è la vera filosofia. Fede e intendere si collegano strettamente: “intendi per credere, credi per intendere”. Il conoscere, la vera sapienza, è un itinerario della mente verso Dio; cercare altro, disperdersi in conoscenze legate al mondo sensibile è inutile e dannosa curiosità. La curiosità ci spinge verso il molteplice, il limitato, il transitorio; la sapienza ci riconduce a Dio, all’unità. In quanto Dio è l’Essere – la verità a fondamento di tutto e che tutto trascende, necessità prima da cui ogni cosa scaturisce, nulla si può dire di Dio – di Lui si può affermare soltanto, come si legge nell’Esodo, che “egli è colui che è”. Solo Dio è fondamento, non ha limite, non ha divenire, è immobile, eterno, unica verità. Giunti a Dio si può spiegare la fede nella Trinità attraverso un’analogia umana. Infatti, l’essenza dell’anima è una e trina, in quanto è memoria, intelligenza, volontà. Quindi non tre menti, ma una mente; non tre sostante, ma una sostanza. Dio crea ex nihilo, e dal nulla crea il mondo, la cui nota caratteristica è di essere nel tempo; mentre Dio e la sua operazione sono fuori da ogni misura temporale. Tutte le cose sono in quanto vi è Dio, che con un atto gratuite le ha create. Gli esseri creati da Dio non sono perfetti, ma mostrano una mancanza di essere; quindi, se come esseri sono bene (partecipazione all’essere di Dio) come limitati sono imperfezione, male: male è dunque il limite, il non essere. Gli esseri molteplici hanno un’esistenza temporale, anzi il tempo è coesteso al mondo creato. Il tempo si svolge secondo una successione di momenti, i quali non hanno una connessione necessaria. Solo nell’anima, nell’unità della coscienza, il tempo viene ricondotto ad unità: è dall’anima che il tempo viene sentito come durata, continuità, che unisce passato e futuro (Confessioni). Dio è l’Essere, l’unico essere; ciò che proviene da Dio, e tutto proviene da Dio, non può che essere bene; ma, appunto in quanto ogni creatura ha avuto essere e non è l’essere, ogni è creatura è rispetto all’Essere mancanza di essere, e perciò assunta singolarmente è imperfetta, limitata, e nel limite è la radice del male. Il male è, per Agostino, qualcosa di profondamente radicato nell’uomo dopo il peccato di Adamo che ha travolto tutti in un’unica condanna (massa damnationis). Pelagio insisteva sulla necessità di una vita di rigore, mediante la quale tutti gli uomini possano giungere alla beatitudine. La grazia è per tutti, se si compiono azioni virtuose. Anche dopo Adamo (il peccato di Adamo per Pelagio non assume un tono universale, per cui non diviene il peccato originario di ciascun uomo) l’uomo è rimasto quale Dio lo volle: libero. Dio è Dio di Giustizia: la colpa di Adamo non può ricadere sui figli. Tutti gli uomini, pertanto, possono scegliere la propria sorte e tutti gli uomini sono capaci di raggiungere con le proprie forze la vita eterna. Nelle sue conseguenze, la tesi di Pelagio conduceva ad una riduzione del Cristianesimo entro i termini della morale stoica. Agostino controbatte dicendo che Dio crea ex nihilo, pertanto tra Dio e la realtà da lui creata non vi è alcun rapporto di necessità, Dio infatti crea quel che vuole con assoluta libertà. Se nessun rapporto necessario può legare Dio all’uomo, non si può neppure affermare che Dio dà all’uomo la grazia in rapporto alle azioni che questi compie: se infatti Dio dovesse dare la grazia in rapporto alle azioni che questi compie, vorrebbe dire che Dio è in qualche maniera obbligato a dare la sua grazia e ciò sarebbe un limitare la sua libertà. Il De Civitate Dei, composto da 22 libri, venne scritto tra il 413 e il 426 d.C. Questo scritto interpreta, sotto il segno divino, i termini delle vicende storiche, secondo la quale, per volere di Dio, si scandisce il processo delle vicende umane. La storia degli uomini nel tempo è retta da una continua tensione tra la città di Dio, la città del popolo di Dio, e la città terrena, del popolo dei malvagi. Le due città rispecchiano le tensioni di forze opposte che vivono nei singoli uomini: l’amor di sé e l’amor di Dio. La storia delle due città inizia già con la creazione degli angeli; qui la ribellione di alcuni dà inizio alla città del male contrapposto al bene. Nella storia dell’uomo le due città iniziano con Caino (città terrena) e Abele (città celeste). Quindi Agostino segna la storia delle due città scandita secondo sei epoche, rispondenti ai sei giorni della creazione: la prima età si espande da Adamo a Noè, la seconda giunge sino ad Abramo, la terza sino a Daniele, la quarta fino all’esilio del popolo ebraico in Babilonia, la quinta sino all’incarnazione, la sesta sino al ritorno del Cristo e alla fine dei tempi. La comunità cristiana è in qualche modo la prefigurazione in vista di quella che sarà la città di Dio nei cieli.

Nessun commento:

Posta un commento