Aurelio
Agostino nasce in
Africa, a Tagaste, nella Numidia, il 13 Novembre del 354 d.C. Nel
385, dopo una profonda crisi interiore che lo induce a lasciare il
Manicheismo, decide di abbracciare il Cristianesimo. Nel 387, a
Milano, dal vescovo Ambrogio, riceve il battesimo. Nel 396 diviene
Vescovo di Ippona. Muore nel 430, quando i Vandali Genserico cingono
d’assedio Ippona. Tra le opere di maggiore rilievo abbiamo: Contra
Academicos (386); De Beata Vita (386), De Ordine (386), I Soliloqui
(387), De Immortalitate Animi (386), Contra Manichaeos (388-390), De
Libero Arbitrio (388-395), De Magistero (389), De vera religione
(389-391), De Duabus animabus contra manichaeos (391-392), opere di
esegesi biblica (393-396), De Doctrina Christiana, Contro i manichei
(397-400), Le Confession (400), Contro i Donatisti (400-402), De
Trinitate, De Civitate Dei (415-426).
Per Agostino l’anima, che è una realtà spirituale, è prima di
tutto coscienza di sé. L’anima si libera dal dubbio appena medita
sul suo stesso dubitare. Il dubbio infatti nel momento in cui si
afferma manifesta una prima verità, e cioè la certezza dello stesso
dubitare: chi, infatti, sa di dubitare è certo di questo suo
dubitare. Ancora, chi dubita ha la consapevolezza di esistere, se
infatti non esistesse, non potrebbe ingannarsi. Inoltre, chi vive
dubita e pensa. Vi è dunque un complesso di verità che nascendo dal
dubbio si pongono oltre il dubbio stesso. Ed infatti, l'esistenza del
dubbio dà la certezza della propria esistenza, della propria anima,
la cui realtà è provata dal dubitare stesso. Il problema della
verità non si esaurisce però qui. Per Agostino il conoscere non
può realizzarsi nella sua totalità nel sensibile, né in un
conoscere intellettuale che nasce da esso, infatti i sensi sono
mutevoli e provvisori, e allo stesso modo la mente dell’uomo è
mutevole e limitata. La verità invece è immutabile, eterna ed
infinita. Ciò vuol dire che la verità non può provenire dai sensi,
e neppure può essere prodotta dalla mente dell’uomo. La verità e,
invece, già presente nell’uomo. Agostino spiega questa presenza
della verità dell’uomo con la dottrina dell’illuminazione. È il
verbo, vero maestro interiore, che, come si legge nel IV vangelo
“illumina
ogni
uomo che viene in questo mondo”.
L’uomo è capace di verità in quanto in lui risplende la luce
divina nella parte superiore della ragione (ratio superior). Il
conoscere si delinea quale un’ascesa a Dio, passando attraverso
l’esperienza del proprio pensiero fino a trascenderlo “non
uscire fuori di te, ritorna in te stesso, nell’interno dell’uomo
abita la verità; ma se troverai mutevole la tua natura, trascendi
anche te stesso e tendi là dove si accende il lume della ragione (De
Vera Religione)”.
Dio, dunque, illumina l’anima umana e la rende capace di cogliere
la verità, l’anima trova in sé le regole
eterne,
riposte come in uno scrigno, nella memoria. Quest’ultima non è
empirica, bensì innata, anteriore ad ogni conoscenza. Le regole
eterne sono i principi
universali
che permettono il fondamento dei giudizi. Si ripetono in lui, con
lieve modifiche di adattamento alla nuova religione cristiana che
egli abbraccia, alcune tematiche fondamentali della filosofia
gnoseologica ed ontologica platonica. La filosofia, per Agostino, non
è qualcosa di essenzialmente diverso dalla religione: tanto la
filosofia che la religione sono ricerca e godimento della verità,
cioè di Dio stesso, e, pertanto, Agostino potrà dire che il
cristianesimo è la vera filosofia. Fede e intendere si collegano
strettamente: “intendi
per credere, credi per intendere”.
Il conoscere, la vera sapienza, è un itinerario della mente verso
Dio; cercare altro, disperdersi in conoscenze legate al mondo
sensibile è inutile e dannosa curiosità. La curiosità ci spinge
verso il molteplice, il limitato, il transitorio; la sapienza ci
riconduce a Dio, all’unità. In quanto Dio è l’Essere – la
verità a fondamento di tutto e che tutto trascende, necessità prima
da cui ogni cosa scaturisce, nulla si può dire di Dio – di Lui si
può affermare soltanto, come si legge nell’Esodo,
che “egli
è colui che è”.
Solo Dio è fondamento, non ha limite, non ha divenire, è immobile,
eterno, unica verità. Giunti a Dio si può spiegare la fede nella
Trinità attraverso un’analogia umana. Infatti, l’essenza
dell’anima è una e trina, in quanto è memoria, intelligenza,
volontà. Quindi non tre menti, ma una mente; non tre sostante, ma
una sostanza. Dio
crea ex nihilo,
e dal nulla crea il mondo, la cui nota caratteristica è di essere
nel tempo; mentre Dio e la sua operazione sono fuori da ogni misura
temporale. Tutte le cose sono in quanto vi è Dio, che con un atto
gratuite le ha create. Gli esseri creati da Dio non sono perfetti, ma
mostrano una mancanza di essere; quindi, se come esseri sono bene
(partecipazione all’essere di Dio) come limitati sono imperfezione,
male: male è dunque il limite, il non essere. Gli esseri molteplici
hanno un’esistenza temporale, anzi il tempo è coesteso al mondo
creato. Il tempo si svolge secondo una successione di momenti, i
quali non hanno una connessione necessaria. Solo nell’anima,
nell’unità della coscienza, il tempo viene ricondotto ad unità: è
dall’anima che il tempo viene sentito come durata, continuità, che
unisce passato e futuro (Confessioni).
Dio è l’Essere, l’unico essere; ciò che proviene da Dio, e
tutto proviene da Dio, non può che essere bene; ma, appunto in
quanto ogni creatura ha avuto essere e non è l’essere, ogni è
creatura è rispetto all’Essere mancanza di essere, e perciò
assunta singolarmente è imperfetta, limitata, e nel limite è la
radice del male. Il male è, per Agostino, qualcosa di profondamente
radicato nell’uomo dopo il peccato di Adamo che ha travolto tutti
in un’unica condanna (massa damnationis). Pelagio insisteva sulla
necessità di una vita di rigore, mediante la quale tutti gli uomini
possano giungere alla beatitudine. La grazia è per tutti, se si
compiono azioni virtuose. Anche dopo Adamo (il peccato di Adamo per
Pelagio non assume un tono universale, per cui non diviene il peccato
originario di ciascun uomo) l’uomo è rimasto quale Dio lo volle:
libero. Dio è Dio di Giustizia: la colpa di Adamo non può ricadere
sui figli. Tutti gli uomini, pertanto, possono scegliere la propria
sorte e tutti gli uomini sono capaci di raggiungere con le proprie
forze la vita eterna. Nelle sue conseguenze, la tesi di Pelagio
conduceva ad una riduzione del Cristianesimo entro i termini della
morale stoica. Agostino controbatte dicendo che Dio crea ex nihilo,
pertanto tra Dio e la realtà da lui creata non vi è alcun rapporto
di necessità, Dio infatti crea quel che vuole con assoluta libertà.
Se nessun rapporto necessario può legare Dio all’uomo, non si può
neppure affermare che Dio dà all’uomo la grazia in rapporto alle
azioni che questi compie: se infatti Dio dovesse dare la grazia in
rapporto alle azioni che questi compie, vorrebbe dire che Dio è in
qualche maniera obbligato a dare la sua grazia e ciò sarebbe un
limitare la sua libertà. Il De Civitate Dei, composto da 22 libri,
venne scritto tra il 413 e il 426 d.C. Questo scritto interpreta,
sotto il segno divino, i termini delle vicende storiche, secondo la
quale, per volere di Dio, si scandisce il processo delle vicende
umane. La storia degli uomini nel tempo è retta da una continua
tensione tra la città di Dio, la città del popolo di Dio, e la
città terrena, del popolo dei malvagi. Le due città rispecchiano le
tensioni di forze opposte che vivono nei singoli uomini: l’amor di
sé e l’amor di Dio. La storia delle due città inizia già con la
creazione degli angeli; qui la ribellione di alcuni dà inizio alla
città del male contrapposto al bene. Nella storia dell’uomo le due
città iniziano con Caino (città terrena) e Abele (città celeste).
Quindi Agostino segna la storia delle due città scandita secondo sei
epoche, rispondenti ai sei giorni della creazione: la prima età si
espande da Adamo a Noè, la seconda giunge sino ad Abramo, la terza
sino a Daniele, la quarta fino all’esilio del popolo ebraico in
Babilonia, la quinta sino all’incarnazione, la sesta sino al
ritorno del Cristo e alla fine dei tempi. La comunità cristiana è
in qualche modo la prefigurazione in vista di quella che sarà la
città di Dio nei cieli.
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