La
cultura araba ebbe grande influenza sulla filosofia ebraica,
soprattutto per le sue accentuazioni platoniche. La Filosofia ebraica
nasce soprattutto in riferimento alla tradizione biblica
testamentaria e alla legge giudaica. Importante
nello sviluppo del pensiero filosofico giudeo è Isaac
ben Shelomoh Israeli (850-932)
autore di un
Libro sulle definizioni
e di un Libro
sugli elementi,
nonché di uno scritto Sullo
spirito e l’anima.
Egli sviluppa un sistema in che riprende le tematiche emanazioniste
sviluppate in seno al neoplatonismo. Per cui, Dio crea materia e
forma, da queste deriva l’intelletto e le anime (vegetativa,
animale, razionale) e tutto il mondo celeste e sublunare. L’anima
umana è posta tra tempo ed eternità, ed è guidata dall’intelletto
universale, al quale tende come ritorno perché suo luogo di
perfezione. Tuttavia, solo alcuni uomini riescono a risalire
all’intelletto e a divenire, in tal modo, intermediari fra Dio e
gli uomini. Essi, quindi, sono i soli in grado di svelare il senso
vero delle Sacre Scritture.
Avicebron
(1021/22-1054/58) scrisse un’opera, in lingua araba, che nella sua
traduzione latina prende il titolo di Fons
vitae.
Fondamentale in questo lavoro è la concezione che tutti gli esseri
sono di composizione ilemorfica, ad eccezione di Dio. Pertanto, tutte
le sostanze sono composte di materia e forma, e ciò vale anche per
le sostanze materiali e per quelle spirituali (che sono formate da
una materia spirituale e da una forma). Questa composizione
ilemorfica definisce la sostanziale differenza tra Dio e le creature,
infatti solo Dio è del tutto privo di materia e assolutamente
semplice. Gli esseri individuali procedono per ulteriori discese
nella molteplicità; quanto più gli esseri si allontanano dalla
materia universale, tanto più si caratterizzano in una molteplicità
di determinazioni. Nella gerarchia della discesa, dopo la materia e
la forma universale, si pone l’intelletto (anch’esso composto di
materia e forma), da cui deriva, per emanazione, l’anima razionale,
la vegetativa e la sensitiva ( che si individuano nei singoli
uomini). Tutto questo processo termina nell’ultima emanazione che è
la natura. All’origine del tutto si ha Dio, che crea con un atto
di libera volontà. L’anima razionale dell’uomo può, quindi,
risalire alla volontà di Dio contemplando le creature e ritrovando
in esse lo stimolo per fare emergere dentro di sé le forme di cui
ciascuna anima è dotata. L’anima razionale infatti possiede la
conoscenza delle forme, ma essa è appannata dal rapporto col corpo:
attraverso l’osservazione del mondo sensibile, cioè attraverso le
forme sensibili, l’anima può ritrovare in sé le forme
intelligibili.
Mosè
Maimonide (Cordone,
1138-1204) tenta di interpretare ed utilizzare la filosofia
aristotelica in seno alla tradizione religiosa ebraica e all'esegesi
biblica. La sua opera più importante è la
Guida dei perplessi,
nel quale cerca di togliere i dubbi a coloro che non trovano una
reale conciliazione tra verità di fede e verità filosofiche.
Maimonide distingue vari livelli di conoscenza: il popolo, legato al
mondo della sensibilità, pratica i precetti ma non li indaga, perché
non ha gli strumenti conoscitivi adatti per farlo. Non può, quindi,
giungere a comprendere le verità profonde della rivelazione divina;
per costoro Bibbia e Legge sono una guida sicura all’esistenza
terrena. Il fine della religione è, pertanto, essenzialmente
pratico, e i suoi insegnamenti debbono essere adottati in forza della
tradizione. La filosofia, invece, costituisce lo strumento
ermeneutico che permette ai pochi che ne sono capaci di cogliere il
senso riposto della legge e di raggiungere, per quanto possibile, le
più alte verità metafisiche. Tutti, dotti e ignoranti, si debbono
attenere alla legge; ma mentre il popolo dei fedeli dovrà seguirne i
dettami senza capirne il senso, i filosofi ne scoprono i misteri
riposti. Solo i filosofi possono capire la profonda unità di
filosofia e religione, le quali non presentano due diverse verità,
bensì due strade diverse che coincidono nelle finalità, e cioè nel
cogliere la verità. Il compito del filosofo, per Maimonide, è
pertanto, quello di commentare la Bibbia e la Legge, ma il suo
insegnamento è riservato ai pochi. Vi è tuttavia un nucleo di
verità che debbono essere accettate anche dal popolo in nome
dell’autorità della tradizione: tutti
i fedeli debbono sapere che Dio esiste, che è uno, che non è corpo
ed è eterno; solo Dio deve essere servito e lodato; la profezia è
di origine divina, Mosè è il più grande dei profeti e la sua legge
è di origine divina. Pertanto, è valida in eterno e non ammette
modifiche; Dio conosce i bisogni dell’uomo, punisce e premia; Dio
invierà il Messia per la restaurazione e l’indipendenza del regno
di Israele; Dio resusciterà i morti.
Nella
Guida
dei perplessi
Maimonide, dopo aver esposto le regole per una corretta
interpretazione della Bibbia e del Talmud, tratta di Dio, dei suoi
attributi, della profezia e della provvidenza.
La
struttura
aristotelica della sua filosofia si manifesta nelle prove che egli
adduce per dimostrare l’esistenza di Dio. Ed infatti, egli afferma
che deve
esistere un primo motore non mosso; il passaggio dalla potenza
all’atto presuppone la presenza di un principio sempre in atto,
causa di quel passaggio.
Le cose create, in quanto possono essere e non essere, sono
contingenti, ed in esse l’esistenza è una determinazione esterna
all’essenza; nella prima causa invece ( libera da ogni
potenzialità) l’esistenza è identica all’essenza, essa, quindi,
è causa necessaria. Di Dio però non si può dire nulla
positivamente, Dio esclude ogni predicato, è al di sopra di ogni
categoria. Di Dio si può solo dire – tautologicamente – che è
Dio, di lui si può parlare solo tacendo e pregando. Il Dio di
Maimonide è il Dio creatore della Bibbia. La creazione, dottrina
centrale, lascia non risolto il problema dell’origine temporale o
eterna del mondo, l’una e l’altra non possono essere infatti
oggetto di dimostrazione. Per Maimonide è comunque essenziale
affermare la radicale dipendenza del mondo da Dio. Legato alla
dottrina peripatetica araba è la dottrina della conoscenza che
presuppone un intelletto in potenza, parte dell’anima, e al di
sopra dell’uomo un intelletto agente, ultima delle sostanze
separate, che imprime nella materia le forme e nell’intelletto gli
intelligibili. L’intelletto agente, nella conoscenza teoretica,
agisce sull’intelletto; nella conoscenza per sogni e visioni agisce
sulla immaginativa. L’unione con l’intelletto agente avviene per
discontinue illuminazioni ed è comune sia alla profezia che alla
filosofia. La filosofia è tuttavia superiore perché libera dal
limite dell’immaginativa ed è capace quindi di attingere ed
esprimere verità senza il ricorso ad immagini sensibili. Maimonide,
infine, indica diversi modi di interpretare l’immortalità e la
vita futura. L'immortalità è, infatti, una dottrina che il volgo ha
assunto per forza della tradizione; i filosofi, invece, sanno che
l’immortalità non è per tutti, perché pochi riescono a giungere
alla la perfezione delle virtù intellettuali, e quindi, solo questi
si uniscono con l’intelletto agente.
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