È
necessario, giunti a questo punto, accennare le grandi argomentazioni
del primo cristianesimo. Ciò perché esso, per la diffusione che
ebbe, determinò
lo sviluppo di alcune tematiche che si innestarono nel substrato
culturale, andando così tanto a scalfire l'etica e i valori
precedenti, da sostituirli. Alla morale dei filosofi pagani, tutta
proiettata all'interno del proprio io per il raggiungimento di
un'armonia interiore, di una conciliazione di passioni secondo la
giusta misura, senza il prevalere di una sull'altra; si sostituisce
una morale diversa, proiettata all'esterno, dove non si cerca di
giungere alla saggezza – la virtù per eccellenza dei greci –
bensì alla salvezza.
Una
morale, quella cristiana, che non è più interiorizzata, ma che si
viene a connotare, sin dall'inizio, come missione salvifica, come
confronto con l'altro uomo. Una morale, quindi, che, al contrario di
quella greca, non ricerca la perfezione interiore, e cioè la
saggezza; bensì la grazia di Dio, il perdono dei propri peccati,
l'opera buona, vissuta non come valore in sé, ma come prova
dell'esistenza di Cristo, come fede nel suo sacrificio, come
abbandono in Dio.
Un’importanza
fondamentale nello sviluppo e
nella diffusione del Cristianesimo primitivo ha la predicazione di
Paolo
(nato a Tarso, in Cilicia verso il 10 d.C. e morto a Roma, verso il
67 d.C.). Fu “l'apostolo dei gentili” perché la sua missione si
concentrò tra i pagani greci e romani. Le sue argomentazioni li
conosciamo grazie alle numerose Epistole
che
ci ha lasciato.
In esse vi sono alcune tematiche che vengono ripetutamente
sottolineate, come, ad esempio, la centralità di Cristo nella storia
del mondo e dell’umanità.
Cristo
viene
posto come nuovo Adamo, fautore di una nuova alleanza tra Dio Padre e
gli uomini. E come con Adamo, primo uomo, è entrato nel mondo il
peccato, e con il peccato la morte, con Cristo il mondo è liberato
dal peccato. Da ciò il carattere centrale dell’incarnazione, morte
e resurrezione di Cristo. L’uomo unito al Cristo nella fede,
rafforzato nello spirito, riceve gratuitamente la vera giustizia ed è
reso capace di vivere secondo la volontà divina; le opere buone non
nascono da una formale applicazione formale della legge, ma dalla
sovrabbondanza dello spirito di Dio che vive in noi. Cristo, nuovo
Adamo che libera dal peccato del primo Adamo chiude tutta un’epoca
storica ed apre l’epoca della rinnovata umanità. Liberati dalla
schiavitù della legge tutti gli uomini sono chiamati ad essere figli
di Dio. Il messaggio di Cristo annulla ogni distinzione tra popolo
eletto e non eletto. Gli uomini, salvati da Cristo, per la fede in
Lui sono tutti figli di Dio, non più servi della legge, essi
costituiscono il “Corpo del Cristo”, la chiesa vivente. La legge
non è più il mezzo di salvezza, bensì la fede. Importante è il
prologo del Vangelo di Giovanni, ove si ha un grande inno al logos
(ragione, Parola, Verbum) identificato con il Cristo. In tale prologo
il Verbo è parola e pensiero di DIO, preesistente presso Dio
attraverso il quale tutto è stato creato. Cristo e Logos, luce e
verità, vita; contro di Lui stanno le tenebre, la menzogna, il regno
del male. La conoscenza coincide con il riconoscere il Logos, ciò dà
la possibilità di divenire figli di Dio. Solo i segnali di Cristo
conoscono la verità e la verità renderà liberi.
Gli
apologisti e i padri della chiesa nel II e III secolo.
Giustino:
ricco di esperienze che provengono da una cultura stoica, pitagorica
e platonica, intende mostrare che il cristianesimo è l’ultima
definitiva rivelazione del Logos di Dio. Per lui già coloro che
vissero “secondo ragione” (Eraclito e Socrate) sono cristiani.
Taziano
enuclea il fondamento del Plagio: i greci avrebbero conosciuto
l’insegnamento dei profeti ebrei, sicché la cultura greca
dipenderebbe dalla cultura e dalla religione ebraica, cioè dalla
rivelazione di Dio. Tutto ciò che vi è di buono nella cultura greca
appartiene ai cristiani, perché appartiene in realtà alla Sacra
Scrittura, da cui i Greci l’hanno furtivamente astratto.
Tertulliano
difende il Cristianesimo sostenendo che la sapienza cristiana non ha
nulla in comune con la sapienza greca. Da ciò consegue che la fede
in Dio, il miracolo del Cristo Salvatore, figlio di vergine, non è
conoscenza traducibile mediante le categorie della filosofia, e non è
spiegabile in termini razionali. Il cristiano, infatti, non è tale
per conoscenza umana, bensì per fede. Clemente
Alessandrino afferma
che il Logos, il Verbo di Dio, non si è rivelato solo agli ebrei
attraverso la parola dei profeti, ma si è rivelato, anche,
attraverso la filosofia, in quanto il logos divino si manifesta anche
attraverso la ragione umana che di quel logos partecipa.
Plotino
nasce
a Licopoli, in Egitto, nel 205 d.C. Porfirio
di Tiro, autore
di una biografia di Plotino,
è
la maggiore fonte di questo filosofo. Plotino muore in Campania nella
villa di un amico nel 270 d.C. I suoi scritti furono ordinati da
Porfirio e pubblicati tra il 300-305 d.C. Porfirio raccolse i 54
scritti di Plotino per argomenti, non rispettando, quindi, l’ordine
cronologico. Li raggruppò in sei trattati composti ciascuno da nove
libri. Da ciò il libro delle Enneadi.
Al
centro
delle argomentazioni di Plotino è il pensiero di Platone, la cui
rielaborazione ha raggiunto risultati di notevole originalità e di
grande portata storica. Non si può prescindere da Plotino se si
vogliono capire le varie forme di quella che sarà detta “teologia
negativa”, che notevole successo avrà in tutto il pensiero
filosofico – cristiano del medioevo.
Per
Plotino fondamentale è la risoluzione del problema
unità-molteplicità. Ora,
la prima esperienza è la molteplicità, ma essa è impensabile
senza l’unità. Lo stesso due, infatti, è impensabile senza l’uno.
Plotino afferma che i molti sono pensabili perché si ha l'unità,
senza l’Uno, infatti, non è possibile pensare la molteplicità, la
quale risulterebbe indefinibile e inesistente. L’Uno, dunque, è
antecedente a tutto ed è la prima ipostasi (fondamento) del tutto.
In realtà non si ha un primo e dopo cronologico, ma semplicemente
senza l’Uno non possono esservi i molti e senza questi non vi può
essere l’Uno. Il processo dall’Uno ai molti e dai molti all’Uno
è un solo processo. L’Uno in quanto principio di tutte le cose
deve essere diverso dai molti. Esso sarà, quindi, sussistente in sé,
fuori di ogni composizione, assoluta unità. Proprio perché assoluta
unità Egli trascende, val di là di ogni determinazione. Per tale
motivo non si può dire e pensare nulla di positivo (perché pensare
e parlare di qualcosa significa definirla, ma la definizione comporta
la determinazione di ciò di cui si sta trattando, perché è sempre
in riferimento a qualcos'altro). Quindi, l’Uno è inconoscibile e
ineffabile. In ciò vi è l’origine di quella che si dirà teologia
negativa,
ovvero discorso su Dio fatto solo per via di negazioni, dicendo che
egli non è nessuna delle cose determinate e finite conosciute
dall’intelletto. Parlando di Dio, afferma Plotino, possiamo dire
solo che è Bene e possiamo “aiutarci” con delle immagini; tra
queste la più famosa è quella della luce. Dalla prima ipostasi
(l’Uno) procede la seconda ipostasi e cioè l’intelletto:
pensiero che pensando genera in sé le idee. In tal modo la seconda
ipostasi risolve in sé il platonico mondo delle idee, ed è,
pertanto, principio di molteplicità. Dall’intelletto proviene la
terza ipostasi, l’anima del mondo; questa ha come la funzione di
essere mediatrice tra l'intelligibile e il sensibile. È attraverso
l’anima che i principi intelligibili, le idee presenti nella
seconda ipostasi diventano principi ordinatori dell’universo
sensibile. È l’anima infatti a dare ordine al cosmo. Essa occupa
un posto intermedio, perché da un verso è congiunto all’intelletto,
e dall'altro al mondo corporeo. Ora, poiché, l’anima è superiore
per dignità al corpo che governa, si dovrà dire che il corpo, il
cosmo tutto è nell’anima, non l’anima nel corpo. Quindi la
corporeità è limitazione dell’anima: il corpo è il limite
dell’anima, la decadenza dell’anima. L’uomo deve pertanto
ritornare e “convertirsi” a Dio.
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