Nell'Atene
del V secolo si sviluppa un movimento di filosofi che smette di
interrogarsi sull'essere e sulla natura, per porre l'attenzione
sull'uomo. Questi intellettuali presero il nome di sofisti.
Essi
affermarono la relatività di ogni conoscenza e l'impossibilità di
rispondere a domande che vanno oltre le reali possibilità umane. Per
tale motivo non godettero di buona fama, tanto che Platone polemizza
contro di loro in vari dialoghi. L'avversione verso questi studiosi
ha fatto sì che le loro opere andassero perdute, e che si siano
conservate solo pochi frammenti.
I
contemporanei li accusavano anche di essere mercenari, gente disposta
a vendere il proprio sapere a chiunque fosse disposto a pagarli.
In
realtà i sofisti furono un gruppo di intellettuali, di studiosi
intenti ad eliminare superstizioni e tradizioni retrive.
Essi
partivano dal postulato di base che delle cose che vanno al di là
della realtà umana è inutile parlare, perché non si hanno elementi
per provarle o confutarle. Perciò non ha senso discutere
dell'esistenza o meno delle divinità, della totalità dell'universo
o di altro. Bisogna conseguentemente studiare solo ciò che siamo in
grado di conoscere.
I
più importanti sofisti furono Protagora
di Abdera, vissuto tra il 485/486, e Gorgia
da Lentini, vissuto tra il 485/480 a.C.
Ambedue
accantonano il vecchio problema dell'archè e dell'essere e,
spostando l'attenzione sull'uomo e sui loro rapporti, studiano la
virtù politica e la possibile comunicazione mediante la parola (da
ciò derivano le indagini a carattere logico – linguistico).
Famosa
è la frase di Protagora: di
tutte le cose misura è l’uomo; di quelle che sono per come sono,
di quelle che non sono, per come non sono.
Quindi col pensiero l’uomo non può cogliere né gli dei, né
l’essere. Qualsiasi dimostrazione in tal senso non trova luogo e
tutto si riduce ad una mera costruzione della mente. La natura si
presenta a noi come fatto di esperienza, ed è l’uomo (la verità)
a dire ciò che è vero e ciò che è falso. Proprio per ciò la tesi
A
può essere vera quanto la tesi B,
pur essendo entrambe contraddittorie. Nascono da ciò le antilogie
(contraddizioni), che portate alle estreme conseguenze porteranno
all’eristica, cioè in quella degenerazione della sofistica
consistente nella confutazione di qualsiasi tesi, vera o falsa che
sia, con argomenti volti ad avere comunque la meglio nella
discussione, a prescindere dalla verità o falsità delle tesi
sostenute.
Pertanto,
per Protagora vero
è ciò che convince e persuade.
Ragionare è discorrere e persuadere, a tale fine possono essere
utilizzate due tecniche: la brachilogia (breve domande e risposte) e
la macrologia (lungo discorso oratorio).
Gorgia
afferma di non preoccuparsi dell’essere o del non – essere, porre
l’uno o l’altro è la stessa cosa, essi, infatti, sono
inconoscibili e non incidono affatto sul mondo umano.
Nel
DE
non – ente o della natura
vi sono tre capisaldi: nulla è; se qualcosa è, è umanamente
inafferrabile; se pure è afferrabile è certo incomunicabile e non
spiegabile agli altri.
Nell’Elogio
di Elena viene
rilevata la grande importanza della parola, che, con piccolissimo e
invisibilissimo corpo, riesce a compiere divinissime cose.
Prodico
di Ceo,
nato tra il 470-460 a.C., concentra i suoi studi sull'origine delle
parole (etimologia) e sulle differenze di significato tra parole
simili (sinonimica).
Ippia,
Antifonte e Trasimaco
insegnarono in un momento delicato della storia greca, e si
affermarono come critici del diritto. Erano, infatti, dell'opinione
che la giustizia non risiede unicamente nella cieca ubbidienza alle
leggi civili.
Per
questi tre studiosi la legge è solo una convenzione, e spesso essa
mortifica il più debole, mentre per natura gli uomini sono tutti
eguali.
Le
leggi civili dovrebbero essere solo un ausilio per seguire meglio le
esigenze primarie dell'uomo, che sono la nascita e la morte. Ma dato
che esse vengono fatte dai potenti non salvaguardano i più poveri.
Inoltre, ammettendo pure che siano effettivamente opportune e giuste
quando nascono, hanno il difetto di rimanere in vigore anche quando
sono diventate obsolete ed assurde.
Quando
le leggi divengono tiranniche, il filosofo deve invitare a non
osservarle e a seguire, piuttosto, le leggi della natura. Infine, la
sfiducia nelle leggi civili culmina nell'asserzione di Trasimaco che
la giustizia dell'uomo non è altro che l'utilità
del più forte.
Questo
forte pessimismo provocò il distacco da questo gruppo di sofisti di
Socrate, il quale, invece, credeva nella reale possibilità dell'uomo
di realizzare una vita giusta all'interno di una società.
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