Il
problema degli universali assume un valore centrale nel XII secolo.
Tale
problema si era venuto a porre con la lettura di un passo
dell'Isagoghe
di Porfirio,
molto diffuso nel medioevo. Esso recitava: Per
quanto riguarda i generi e le specie, non affronterò qui la
questione se siano entità esistenti in sé, o siano semplici
concezioni presenti nella mente; ammesso che siano entità esistenti
in sé, se siano corporee o incorporee, e se siano separate dalle
cose sensibili o siano posti nelle cose sensibili e esistenti con
queste.
Fondamentale
diviene
il problema posto da Porfirio, e cioè se gli universali (generi e
specie) esistano per sé, separati, o se invece esistano solo nella
mente, come costruzioni mentali. Per Boezio gli universali sono
oggetto del pensiero e la specie non è altro che la somiglianza
sostanziale di più esseri. Nell’XI e XII secolo la prevalente
posizione era il concepire l’universale come una realtà in sé, a
cui le cose partecipano. A tale posizione si oppone Roscellino
(1050-1120). Egli fu l’iniziatore di una posizione che verrà detta
sententia
vocum,
e cioè una posizione nominalistica, fortemente polemica verso il
realismo: per Roscellino solo gli individui sono reali, mentre i
generi e le specie-universali-sono voci, parole composte di lettere,
formulazioni verbali (flatus
voci):
l’universale esiste solo in voce e non in re (contro il realismo).
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