Nel
corso della seconda metà dell'ottocento si era sviluppata una
concezione negativa della religione, considerata ormai come un
aspetto della civiltà sorpassata, destinato a scomparire perché
privo di qualsiasi tipo di oggettività e legittimazione effettiva.
Con
lo sviluppo della sinistra hegeliana e del neopositivismo si giunse a
pensare che la religione dovesse essere riportata a delle componenti
storiche e sociali mediante un'analisi antropologica che spiegasse
l'avvento del numinoso come una proiezione dell'uomo in una realtà
ultraterrene.
È
da dire, però, che nel corso dell'ottocento e del novecento si
sviluppò una generale reazione allo scientismo da parte di alcuni
autori, quali Boutroux, Bergson, James e Blondel (per citare solo i
più noti), che rivendicarono la funzione della religione.
Uno
degli autori che cercò di fondare la specificità del fenomeno
religioso è Rudolf Otto (1869 – 1937), autore del saggio Il
sacro, del 1917. Otto ha cercato di riportare la religione ad un
vero e proprio “a priori” irriducibile a qualsiasi fattore
storico, psicologico o razionale.
Rudolf
Otto non nega che il “sacro” nel corso dei secoli si sia
caricato di elementi rituali, etici, storici e rituali, ma, ritiene,
al contempo, che le sue radici vanno collegate ad una esperienza del
numinoso irrazionale. Esperienza che è possibile descrivere soltanto
mediante le sue manifestazioni, e cioè il tremendo, il misterioso e
il maestoso.
La
fenomenologia spesso è stata la metodologia applicata alla
risoluzione del problema religioso. A tal riguardo, Max Scheler
afferma ne L'eterno dell'uomo, del 1921, che bisogna dare una
descrizione delle manifestazioni immediate e concrete, intuitivamente
date e afferrabili, nella vita dell'uomo e nella sua coscienza del
fenomeno religioso senza ricercare alcuna definizione o prova del
noumeno.
Su
questa via si sviluppa tutta una fenomenologia della religione che
vuole accantonare qualsiasi considerazione di tipo genetico o causale
del fenomeno religioso.
Karl
Barth (1886 – 1968), autore di un commento a La lettera ai
Romani, del 1919; di un Fides quaerens intellectum, del
1931; di una Dogmatica ecclesiale, de La teologia
protestante nel secolo XIX, del 1947.
Karl
Barth è il maggiore esponente di quella corrente di pensiero che
prende il nome di teologia dialettica. La teologia dialettica
nega che il Cristianesimo sia un fatto puramente storico e umano e
polemizza contro coloro che cercano di salvaguardarlo e rinnovarlo
affermando il valore morale e culturale di esso. Il termine
dialettica non è da interpretare in senso hegeliano come superamento
di due opposti in una sintesi, ma, al contrario, come
radicalizzazione della distanza incommensurabile che separa l'uomo da
Dio, considerato come il “totalmente altro”. Distanza che
non può essere in alcun modo superata partendo dall'uomo.
In
tal senso la teologia dialettica viene chiamata anche “teologia
della crisi”. Ed infatti, punta unicamente sulla fede e sulla
rivelazione, ed afferma che l'uomo può trovare la propria salvezza
solo mediante una crisi totale che ne sottolinea la completa nullità
e peccaminosità di fronte a Dio.
Rudolf
Bultmann (1884 – 1976), teologo tedesco, autore di Credere e
comprendere, del Nuovo Testamento e mitologia. Il problema
della demitizzazione nel messaggio neotestamentario, del 1941 e
di Storia e escatologia, del 1957.
Rudolf
Bultmann è fondatore di quella corrente di pensiero che prende il
nome di demitizzazione, e che affonda le proprie origini
nell'analitica dell'esistenza sviluppata da Heidegger in
Essere e tempo. La demitizzazione intende interpretare e
rinnovare il Cristianesimo in base al suo significato essenziale. Il
messaggio cristiano deve essere depurato da tutto ciò che è
mitologico, ossia frutto di entità soprannaturali e sovrumani e deve
essere avvicinato alla scienza. Bisogna, quindi, depurare la Bibbia
da tutto ciò che oggi appare inaccettabile all'uomo moderno (come la
sua cosmogonia superata, la divisione dell'universo in cielo, terra
ed inferno) per aprire la strada alla sola interpretazione
esistenziale . Risposta esistenziale che non deve cercare nella
Bibbia una risposta sulla costituzione e sulla immagine del mondo,
bensì una serie di risposte ai problemi dell'esistenza.
Conseguentemente,
la Sacra Scrittura non deve essere letta mediante una prospettiva
oggettiva o neutrale, ma mediante una “precompressione
dell'esistenza”, ossia al fine di rispondere ad una serie di
interrogativi che coinvolgono intrinsecamente l'uomo circa il suo
destino e la sua responsabilità. Ciò perché l'esistenza è sempre
un qualcosa di storico, e, in quanto tale, è una presa di
responsabile rispetto a qualcosa che ancora non è, ma che acquisirà
significato nel futuro.
Solo
in tal modo si può intendere il messaggio “escatologico”
del Cristianesimo. Ed infatti esso parla di un evento storico, ossia
la venuta di Cristo, che pone la fine del mondo e, al contempo, della
sua storia. L'ascoltatore, pertanto, è posto innanzi alla decisione
se voglia fare parte del vecchio o del nuovo mondo, se voglia
rimanere il vecchio uomo o se voglia diventare un uomo nuovo.
Storicità dell'esistenza e storicità della rivelazione si
incontrano nell'esistenza escatologica del credente, che vive
nel mondo presente, ma al tempo stesso appartiene al mondo che verrà.
Su questo mondo che verrà deve prendere una decisione significativa
per quella salvezza annunciata da Cristo.
Dietrich
Bonhoeffer (1906 – 1945), teologo tedesco, i cui scritti
principali sono: Sequela, del 1937; La vita comune, del
1939; Etica, del 1949; Resistenza e resa, del 1951;
L'ora della tentazione, del 1953 e L'essenza della Chiesa,
del 1971.
Dietrich
Bonhoeffer riprende la distinzione di Barth tra fede e religione al
fine di giungere ad un “cristianesimo senza religione”.
Egli si interroga su cosa possa essere oggi il cristianesimo. La
risposta a tale quesito non può più venire da una concezione di Dio
come tappabuchi della nostra conoscenza o dal credere in un Dio che
soccorra ai bisogni dell'uomo o alle sue insufficienze. Concezioni di
tal genere di Dio sono state ampiamente superate in un mondo
“diventato adulto”, in un mondo che si è abituato a
vivere senza “l'ipotesi di Dio”. Una interpretazione di
tal genere della Deità porterebbe a quella concezione nietzschiana
del risentimento, ossia al senso di debolezza e di
frustrazione dell'uomo. Quindi, Bonhoeffer critica e polemizza contro
tutte quelle argomentazioni apologetiche che si fondano sulla
psicoanalisi e sull'esistenzialismo e che, pertanto, pensano di
riportare l'uomo a Dio focalizzando l'attenzione sulle sue debolezze,
sulla sua miseria e sugli aspetti più malsani della sua interiorità.
Il messaggio di cristo e un inno alla gioia di vivere, all'amore
verso il prossimo. Un messaggio che esalta i valori della vita. Ciò
non significa che si ignora la sofferenza, anzi si pone l'accento su
un Dio che soffre accanto ed insieme all'uomo e come l'uomo.
Jacques
Maritain (1882 – 1975), filosofo francese, studente e discepolo
di Bergson, fu autore di Arte e scolastica, del 1920; dei Tre
riformatori: Lutero, Cartesio, Rousseau, del 1925; di Distinguere
per unire: i gradi del sapere; del 1932; di Sulla filosofia
cristiana, del 1932; di Umanesimo integrale, del 1936; di
Cristianesimo e democrazia, del 1943; de L'uomo e lo stato,
del 1951; de La filosofia morale. Esame storico e critico dei
grandi sistemi, del 1960 e de Il contadino della Garonna,
del 1966.
Maritain
polemizza contro gli esiti ateistici e laicizzanti del pensiero
moderno. In particolar modo critica i tre capostipiti della riforma
del pensiero moderno, ossia Lutero (in campo religioso), Cartesio (in
campo filosofico) e Rousseau (in campo etico – morale).
Questi
tre autore, infatti, al di là del pensiero filosofico sviluppato,
hanno contribuito alla formazione di una mentalità “immanentistica”.
Ciò perché hanno incentrato tutto sull'individuo, sulla sua
volontà, sulle sue intuizioni e sui suoi sentimenti. Questo nuovo
modo di pensare ha comportato l'annichilimento di ogni effettivo
legame con la realtà esterna, naturale, storica ed ecclesiale. Tutte
realtà queste con cui l'uomo deve confrontarsi per realizzarsi come
“persona”.
In
questa polemica contro il pensiero moderno, da lui definita non più
filosofia, ma “ideosofia”, ossia idealismo di matrice
cartesiana, Maritain afferma che allo stato attuale vi sono soltanto
due vere e proprie dottrine filosofiche. Esse sono:
- il realismo marxista;
- il realismo cristiano.
Il
realismo marxista, però, si prospetta come una prospettiva
materialistica ed ateistica. Una prospettiva limitata e limitante. Il
realismo cristiano, invece, offre veramente un rimedio ai mali
provocati dall'umanesimo moderno, la cui pecca principale è stata
quella di essersi configurato come antropocentrismo e non, invece,
come vero umanesimo, o, in maniera più precisa, utilizzando le
parole stesse di Maritain, come “umanesimo integrale”.
Tale
umanesimo può realizzarsi mediante una ripresa della filosofia
tomista, ossia prendendo in considerazione i diversi piani di
diversità e di unità. Piani che si integrano reciprocamente in un
graduale processo di salvezza, dove l'umano e il divino non possono
escludersi o prevaricare l'uno sull'altro, bensì cooperano in
maniera fertile per la costruzione di una nuova “cristianità”.
Il
mondo moderno e la sua cultura, quindi, vivono una profonda crisi
data dall'ateismo e da una concezione di pensiero laicizzante che
pensa di potere fare a meno di Dio. Di fronte a tale crisi si possono
applicare solo due posizioni. Esse sono:
- la posizione barthiana, che, però, è sostanzialmente “arcaicistica” e predicante di un ritorno al calvinismo originario secondo un umanesimo primordiale affermante il totale annullamento dell'uomo innanzi a Dio;
- la posizione “integralista” e “progressista” del cristianesimo di stampo tomista, che afferma e sancisce una crescita contemporanea della Chiesa e del mondo.
In
tal senso, chiarificatrici sono le parole di Maritain:
“il
compito che si impone al cristiano è di salvare le
verità “umanistiche” sfigurate da quattro secoli di umanesimo
antropocentrico, nel momento stesso nel quale la cultura umanistica
si corrompe, e nel quale queste verità pericolano
insieme agli errori che le viziavano e le opprimevano
(da Umanesimo integrale)”:
La
ripresa del pensiero tomista non comporta una chiusura nel passato.
Al contrario, rispetto ai problemi politici e sociali il tomismo
offre un'applicazione del messaggio evangelico capace di realizzare
nuove forme di cristianità nel mondo. Cristianità del tutto diverse
da quella di stampo medievale, i cui codici, credi, morale,
tradizione e cultura sono definitivamente tramontate. Nel medioevo,
infatti, il temporale sottostava ad una concezione sacrale cristiana.
Nella società moderna, invece, si può affermare una concezione
profana cristiana del temporale, nel quale il cristiano è
chiamato a realizzare il “bene comune”.
Da
ciò l'affermazione di un “personalismo comunitario”
in cui trova posto la democrazia e la solidarietà, in
contrapposizione di un “liberalismo” di tipo borghese
interessato solo alla possibilità di sviluppo dell'economia
capitalistica. Da ciò anche il rifiuto verso ogni forma di
totalitarismo conservatore e reattivo e di comunismo polemico verso
l'assolutismo del profitto.
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