Durante il corso dell'ottocento la matematica si era
andata progressivamente avvicinando alla logica, tanto che Russel
giunse ad affermare che lo logica si poteva considerare la gioventù
della matematica e, viceversa, la matematica la maturità della
logica.
La convergenza tra matematica e logica si andò ad
accentuare con l'opera di Boole, il quale approfondì gli
studi di logica simbolica mediante il dibattito sui “fondamenti”
dell'aritmetica e sui principi e le epistemologie logiche che
permettessero di andarli a stabilire.
Da questo dibattito nacquero una serie di soluzioni che
si identificano fondamentalmente in tre indirizzi, e cioè il
logicismo, l'intuizionismo e il formalismo.
Il logicismo vede come suoi massimi esponenti Gottlob
Frege e Bertrand Russel, i quali cercano di offrire
una fondazione rigorosamente logica dell'aritmetica. Ciò in polemica
contro coloro che avevano sviluppato delle concezioni filosofiche
affermanti la possibilità di giungere a tale fondazione mediante vie
psicologiche ed empiristiche, o per vie sintetico – trascendentali
di tipo kantiano.
Per il logicismo i numeri non sono né entità fisiche
né il risultato o il frutto di un'attività intuitiva sintetica a
priori, e non possono nemmeno derivare da una qualsiasi esperienza.
Ed infatti, non posso avere alcuna esperienza del numero zero o del
numero uno. Al contempo, però, i numeri non possono neanche
considerarsi come delle proprietà predicabili delle cose. Ed
infatti, se affermo che le foglie di un albero sono “verdi”,
posso anche sostenere che ogni singola foglia è verde. Se, però,
dico che un albero ha cento foglie, non posso mai dire che la singola
foglia è “cento”. Cosa invece che posso sostenere con il
“verde”.
Per risolvere il problema bisogna ricorrere ad uno
studio analitico dell'aritmetica. Alla base di tale studio si deve
ricercare l'“estensione” logica dei concetti, ossia ciò a
cui corrisponde quel concetto, o, meglio ancora, l'ambito a cui si
riferisce quel dato concetto.
Operando in tale maniera possiamo giungere ad una
definizione puramente logica della successione dei numeri, per cui il
numero “zero” corrisponde al concetto coprente l'ambito
di estensione del “disuguale da se stesso”, ossia al
concetto sotto cui non cade nessun altro concetto. Il numero “uno”,
invece, corrisponde al concetto la cui estensione è “uguale a
zero”, ossia un concetto che non è come quello di zero,
disuguale da se stesso, ma che ha una “estensione”, ovvero
è uguale a zero e soltanto a zero.
Frege, pertanto, afferma che è possibile giungere alla
definizione dei numeri senza alcun bisogno di basarsi sulla pura
intuizione, ma ricorrendo soltanto al puro ragionamento. Alla base di
queste teorizzazioni si hanno delle argomentazioni complesse che
cercano di stabilire una connessione biunivoca tra oggetti che cadono
sotto due concetti (F e G). Corrispondenza che ci permette di dire
che il concetto F è “ugualmente numeroso” al concetto G.
Ciò significa che il numero naturale che spetta al concetto F non è
altro che l'estensione del concetto “ugualmente numeroso ad F”.
Conseguentemente, affermare che “n è un numero naturale”,
non significa altro che dire che “esiste un concetto tale che n
risulta il numero spettante ad esso”. In altre parole “il
numero naturale spettante a F è uguale a quello spettante a G ogni
qualvolta esiste una relazione che fa corrispondere in modo biunivoco
gli oggetti che cadono sotto il concetto F a quelli che cadono sotto
il concetto G”.
Questo tipo di impostazione venne ben presto sottoposta
a notevoli critiche. Quella più efficace fu avanzata da Bertrand
Russel, che notava il carattere autoriflessivo delle classi.
Carattere autoriflessivo che metteva in questione la validità del
procedimento puramente analitico, il principio del terzo escluso e il
concetto di “estensione” logica.
Il logicismo è stato interpretato spesso come una nuova
forma di ontologismo e di platonismo. Ciò perché per Frege i
concetti della matematica hanno una propria oggettività che si
impone alla ragione. Oggettività che non è il frutto di una
costruzione o di una convenzione soggettiva, anche se si distingue da
ogni tipo di realtà sensibile percepita. Per intenderci, i concetti
della matematica sono un po' come l'asse terrestre o l'equatore, che
pur non essendo dati sensibili, sono nozioni oggettive.
Una fondazione della matematica che prescinde dal terzo
escluso è data dall'olandese Luitzen Egbert Jan Brouwer (1881
– 1966), autore della Filosofia della matematica, del 1964 e
docente presso l'università di Amsterdam. Egli, esponente
dell'intuizionismo, afferma che “la matematica è più un
fare, che una dottrina”. L'intuizionismo di Brouwer, però, si
discosta dalla filosofia kantiana, che fondava la matematica sulle
forme a priori di tempo e di spazio, e respinge anche la apriorità
dello spazio. Priorità che era stata messa palesemente in crisi con
la scoperta delle geometrie non – euclidee. Viene, però, mantenuta
la funzione primaria della forma del tempo. Ed infatti, solo
l'intuizione del tempo può spiegare il ritmo fondamentale
dell'intelligenza umana, che riunisce le parti qualitativamente
differenti mediante il tempo stesso. Fuoriuscendo da questo ritmo si
spiega il fenomeno della matematica, che si basa fondamentalmente
sull'intuizione della pura e semplice duo – unità.
Dalla semplice duo – unità, infatti, ne deriva, a sua
volta, un'altra, e da questa un'altra ancora secondo un processo che
procede all'infinito conseguente al pensare la duo – unita seguente
da quella subito precedente.
Da questo modo di operare, da tale intuizione si ha la
connessione di ciò che è discreto e di ciò che è separato, ossia
l'intuizione di ciò che è connesso e di ciò che è separato, del
continuo e del discreto. Da tale intuizione si ha il concetto del
“continuo lineare”, ossia di quel nesso che non viene
pensato come collezione di unità, e che, conseguentemente, rende
possibile la fondazione dell'aritmetica e della geometria.
Un terzo tipo di matematica e di risoluzione ai problemi
ad essi connessi è il formalismo, di cui il maggiore
esponente è David Hilbert (1862 – 1943), autore di
Fondamenti della geometria, del 1899; di Elementi
fondamentali di logica teorica, 1928; Fondamenti della
matematica, del 1934 – 1939 e dei Saggi, del 1932 –
1935.
Il formalismo parte dal presupposto della validità del
principio del terzo escluso e respinge qualsiasi metodologica
genetica affermante il principio che si giunge ai numeri più
complessi ricavandoli dai più semplici. Il formalismo, infatti,
cerca di fondare la matematica in maniera assiomatica, ossia muovendo
da proposizioni complete prive di conseguenze contraddittorie.
Il formalismo polemizza con il logicismo perché non ha
inteso che i concetti della matematica non sono interni alla logica,
la quale deve limitarsi soltanto ad avere un aspetto formale, ossia
ad esprimere la “tecnica del nostro pensiero”.
Il formalismo viene criticato dal matematico
cecoslovacco Kurt Godel (1906 – 1978), autore del celebre
saggio Sulle proposizioni formalmente indicibili,
del 1931. Godel ha messo in discussione la possibilità di dimostrare
la non – contraddittorietà di un sistema logico – matematico
servendosi soltanto di elementi interni a quel sistema e ha sostenuto
che all'interno di ogni sistema aritmetico vi sono sempre
proposizioni “indicibili” in base ai suoi criteri ed
elementi interni.
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