mercoledì 8 agosto 2012

Giovanni Gentile


Giovanni Gentile (1875 – 1944), docente all'università di Palermo dal 1906 al 1913, fu autore di un saggio su Rosmini e Gioberti, del 1898. Molteplici sono le sue opere: La filosofia di Marx, del 1899; il Sommario di Pedagogia, del 1913; La riforma della dilattica hegeliana, del 1913. L'approfondimento del concetto di atto puro portano il Gentile alla stesura di tutta una serie di opere di carattere teorico come la Teoria generale dello spirito come atto puro, i Fondamenti della filosofia del diritto, del 1916; il Sistema di logica come teoria del conoscere, del 1917; i Discorsi di religione e la Riforma dell'educazione del 1920. Infine, si hanno una serie di opere a carattere storico, tra cui Le origini della filosofia contemporanea in Italia, del 1917 – 1923 e gli Studi sul rinascimento, del 1923. Con l'avvento del fascismo, il Gentile diviene ministro della pubblica istruzione dal 1922 – 1924, e, in tal modo, riesce ad attuare quella vasta riforma scolastica che da lui prende il nome. Nel frattempo divengono sempre più acute le divergenze con il Croce. Per tale motivo lascia la direzione della Critica e fonda il Giornale critico della Filosofia italiana. Nominato senatore nel 1922, lascia il governo dopo l'uccisione di Matteotti. Divenne direttore dell'Istituto dell'enciclopedia italiana (Treccani) e direttore della Normale di Pisa. A questo periodo risalgono altre sue importanti opere, quali la Filosofia dell'arte, l'Introduzione alla filosofia e Genesi e struttura della società. Dopo la caduta del fascismo e la riconferma della sua adesione al regime, venne ucciso da un gruppo di partigiani a Firenze il 15 aprile del 1944.
Un aspetto fondamentale della sua opera è la cosiddetta riforma della dialettica hegeliana. Egli, infatti, polemizza con gli idealismi che hanno preceduto la sua filosofia: a Platone rimprovera il fatto che le sue idee hanno lasciato fuori la natura e quindi il divenire sensibile; a Berkeley di avere lasciato fuori dall'idea di Dio il carattere reale della percezione. Più vicino ad una corretta interpretazione dell'idealismo è stato Fichte che ha mosso dall'io puro, anche se da esso non ha saputo scaturire in maniera adeguata il non – io. Anche Hegel non è riuscito a risolvere il problema. Hegel, infatti, concepisce una logica che prende le mosse iniziali da un essere assolutamente puro, vuoto e indeterminato e cerca di ricavarne il divenire. L'impresa, però, non può riuscirgli perché la sua è un'operazione arbitraria. Ed infatti, un essere assolutamente vuoto ed indeterminato non ha in sé alcuna contraddizione, neppure quella tra essere e non – essere, da cui dovrebbe sorgere il divenire. Al contrario, la dialettica diviene efficace se parte non da un essere assolutamente indeterminato, bensì da un soggetto pensante. Soltanto con il soggetto pensante diviene spiegabile il divenire, infatti pensare è attività, è causa sui, è libertà: solo il pensiero diviene, mentre la cosa è e non diviene. Dialettica, filosofia, pensiero, autocoscienza, autoposizione (autoctisi) del soggetto, unità, realtà, concretezza sono, pertanto, tutti termini connessi tra loro e strettamente inscindibili. Ciò non vuol dire che la realtà è illusoria, infatti bisogna tenere presente che il soggetto pensante non è un'entità isolata o comunque contrapposta rispetto ad una realtà oggettiva, altrettanto indipendente ed isolata, ma che entrambi i termini sono correlati nell'unità e nell'attualità del pensiero, nell'atto puro. L'illusione dell'oggetto e del molteplice nasce dal fatto che il pensiero necessita di distinguersi nel suo interno, e, quindi, di sviluppare una dialettica di concreto e astratto, pensante e pensato. L'indipendenza assoluta dell'oggetto è pura illusione. Ed infatti, il pensato, l'oggetto, non ha nessuna realtà vera e propria al di fuori dell'atto unico ed eterno, il quale è intemporale e il quale permette che il molteplice vi sia. Lo spirito è essenzialmente storia. Ciò perché al suo interno si ha sempre il divenire, e tale suo divenire dà vita al molteplice, il quale si realizza e si attua sempre all'interno dell'autocoscienza. Pertanto, la vera storia non è quella che si spiega nel tempo, bensì quella che si raccoglie nell'eterno atto del pensare. La natura, inoltre, si spiega all'interno dell'atto vivo ed eterno dello spirito, e rappresenta un momento dell'attuarsi dello spirito. In altri termini, per il Gentile è illusorio irrigidire il contrasto tra spirito e natura, pensante e pensato, come termini assoluti ed originariamente contrapposti. È, comunque, necessario distinguerli e ciò spiega la genesi della logica tradizionale con il suo principio di identità. Lo spirito, infatti, non potrebbe bruciare senza combustibile, ossia senza l'oggetto e il molteplice. Il molteplice o astratto è, quindi, una sorta di pensiero cristallizzato. Questa concezione filosofica ha dei precisi risvolti pedagogici, ed infatti il vero processo educativo si identifica con l'unità tra educante ed educato, dove l'educante risolve nella propria individualità le individualità dei discenti. Vero insegnamento si ha non quando la nozione viene trasmessa in maniera meccanica, bensì quando la nozione viene trattata in maniera tale che servi da stimolo, occasione, spunto per riattivare il processo spirituale che in quel materiale sopravvive in maniera inerte e cristallizzata.
L'affermazione dell'unità della vita spirituale nell'atto non impedisce al Gentile di studiare le diverse forme della vita spirituale. Forme che, al contrario di ciò che affermava il Croce, si risolvono tutte nell'unità suprema dello filosofia.
L'arte, per Gentile, è simile al sogno. Ed infatti, è il frutto della libera creazione del soggetto che non ha e che non vuole avere alcuna relazione con l'oggetto, come invece fa l'uomo pratico. A sua volta, la materia dell'arte vive solo nell'animo del poeta, il quale usa la materia per rappresentare ciò che vive solo nel suo animo, nel suo sentimento. L'arte, pertanto, è soggettività immediata dell'io . Per Gentile anche la filosofia è forma, e l'arte se ne distingue perché è forma immediata della soggettività dello spirito. L'opera d'arte, che nasce dall'autocoscienza, dalla coscienza di sé, è talmente chiusa nella sua individualità atomistica da non permettere una storia dell'arte. Ed infatti, essa non ci permette di comprendere e di penetrare realmente l'opera d'arte, la quale può essere compresa solo se impariamo a sognare come il poeta, ovvero traendoci dalla storia e spezzando tutti i legami col molteplice. La religione è, invece, l'opposto dell'arte. Ed infatti, la religione rompe il rapporto con il soggetto così tanto che l'oggetto diviene inconoscibile e termine di un rapporto solo mistico. Inoltre, come aveva già chiarito il Parmenide, un essere assoluto ne esclude un altro. Per tale ragione tutti i politeismi si sono evoluti in monoteismi. La scienza appare simile alla filosofia in quanto anch'essa è conoscenza, ma se ne distingue perché si fonda sul presupposto naturalistico, ossia tende ad una forma di conoscenza dove l'oggetto viene inteso come oggetto in sé.
La rottura con la concezione affermante la contrapposizione tra soggetto ed oggetto serve al Gentile per affermare l'unità tra teoria e pratica, tra pensiero e vita. L'unica differenza tra teoria e prassi è che la prima indica l'atto vivo e concreto dello spirito in astratto, mentre il secondo in concreto. La morale greca si concludeva con il suicidio perché non aveva compreso che l'uomo non è solo spettatore, ma, anche e soprattutto, creatore. Cosa questa che è stata messa in evidenza dal Cristianesimo, in cui la volontà diviene colonna portante della morale. In maniera specifica, l'uomo si configura come volontà col fine di elevarsi a Dio. IN TALE PROSPETTIVA, LO SPIRITO NON È PIÙ INTELLETTO, MA VOLONTÀ; E IL MONDO NON È PIÙ CIÒ CHE SI CONOSCE, MA CIÒ CHE SI FA. In tal modo lo spirito diviene libertà ed attività morale. 

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