Giovanni
Gentile (1875 – 1944), docente all'università di Palermo dal
1906 al 1913, fu autore di un saggio su Rosmini e Gioberti,
del 1898. Molteplici sono le sue opere: La filosofia di Marx,
del 1899; il Sommario di Pedagogia, del 1913; La riforma
della dilattica hegeliana, del 1913. L'approfondimento del
concetto di atto puro portano il Gentile alla stesura
di tutta una serie di opere di carattere teorico come la Teoria
generale dello spirito come atto puro, i Fondamenti della
filosofia del diritto, del 1916; il Sistema di logica come
teoria del conoscere, del 1917; i Discorsi di religione e la
Riforma dell'educazione del 1920. Infine, si hanno una serie di
opere a carattere storico, tra cui Le origini della filosofia
contemporanea in Italia, del 1917 – 1923 e gli Studi sul
rinascimento, del 1923. Con l'avvento del fascismo, il Gentile
diviene ministro della pubblica istruzione dal 1922 – 1924, e, in
tal modo, riesce ad attuare quella vasta riforma scolastica che da
lui prende il nome. Nel frattempo divengono sempre più acute le
divergenze con il Croce. Per tale motivo lascia la direzione della
Critica e fonda il Giornale critico della Filosofia
italiana. Nominato senatore nel 1922, lascia il governo dopo
l'uccisione di Matteotti. Divenne direttore dell'Istituto
dell'enciclopedia italiana (Treccani) e direttore della Normale
di Pisa. A questo periodo risalgono altre sue importanti opere, quali
la Filosofia dell'arte, l'Introduzione alla filosofia e
Genesi e struttura della società. Dopo la caduta del fascismo
e la riconferma della sua adesione al regime, venne ucciso da un
gruppo di partigiani a Firenze il 15 aprile del 1944.
Un
aspetto fondamentale della sua opera è la cosiddetta riforma della
dialettica hegeliana. Egli, infatti, polemizza con gli idealismi che
hanno preceduto la sua filosofia: a Platone rimprovera il fatto che
le sue idee hanno lasciato fuori la natura e quindi il divenire
sensibile; a Berkeley di avere lasciato fuori dall'idea di Dio il
carattere reale della percezione. Più vicino ad una corretta
interpretazione dell'idealismo è stato Fichte che ha mosso dall'io
puro, anche se da esso non ha saputo scaturire in maniera adeguata
il non – io. Anche Hegel non è riuscito a risolvere il problema.
Hegel, infatti, concepisce una logica che prende le mosse iniziali
da un essere assolutamente puro, vuoto e indeterminato e cerca di
ricavarne il divenire. L'impresa, però, non può riuscirgli perché
la sua è un'operazione arbitraria. Ed infatti, un essere
assolutamente vuoto ed indeterminato non ha in sé alcuna
contraddizione, neppure quella tra essere e non – essere, da cui
dovrebbe sorgere il divenire. Al contrario, la dialettica diviene
efficace se parte non da un essere assolutamente indeterminato, bensì
da un soggetto pensante. Soltanto con il soggetto pensante diviene
spiegabile il divenire, infatti pensare è attività, è causa sui, è
libertà: solo il pensiero diviene, mentre la cosa è e non diviene.
Dialettica, filosofia, pensiero, autocoscienza, autoposizione
(autoctisi) del soggetto, unità, realtà, concretezza sono,
pertanto, tutti termini connessi tra loro e strettamente
inscindibili. Ciò non vuol dire che la realtà è illusoria, infatti
bisogna tenere presente che il soggetto pensante non è un'entità
isolata o comunque contrapposta rispetto ad una realtà oggettiva,
altrettanto indipendente ed isolata, ma che entrambi i termini sono
correlati nell'unità e nell'attualità del pensiero, nell'atto puro.
L'illusione dell'oggetto e del molteplice nasce dal fatto che il
pensiero necessita di distinguersi nel suo interno, e, quindi, di
sviluppare una dialettica di concreto e astratto, pensante e pensato.
L'indipendenza assoluta dell'oggetto è pura illusione. Ed infatti,
il pensato, l'oggetto, non ha nessuna realtà vera e propria al di
fuori dell'atto unico ed eterno, il quale è intemporale e il quale
permette che il molteplice vi sia. Lo spirito è essenzialmente
storia. Ciò perché al suo interno si ha sempre il divenire, e tale
suo divenire dà vita al molteplice, il quale si realizza e si attua
sempre all'interno dell'autocoscienza. Pertanto, la vera storia non è
quella che si spiega nel tempo, bensì quella che si raccoglie
nell'eterno atto del pensare. La natura, inoltre, si spiega
all'interno dell'atto vivo ed eterno dello spirito, e rappresenta un
momento dell'attuarsi dello spirito. In altri termini, per il Gentile
è illusorio irrigidire il contrasto tra spirito e natura, pensante e
pensato, come termini assoluti ed originariamente contrapposti. È,
comunque, necessario distinguerli e ciò spiega la genesi della
logica tradizionale con il suo principio di identità. Lo spirito,
infatti, non potrebbe bruciare senza combustibile, ossia senza
l'oggetto e il molteplice. Il molteplice o astratto è, quindi, una
sorta di pensiero cristallizzato. Questa concezione filosofica ha dei
precisi risvolti pedagogici, ed infatti il vero processo educativo si
identifica con l'unità tra educante ed educato, dove l'educante
risolve nella propria individualità le individualità dei discenti.
Vero insegnamento si ha non quando la nozione viene trasmessa in
maniera meccanica, bensì quando la nozione viene trattata in maniera
tale che servi da stimolo, occasione, spunto per riattivare il
processo spirituale che in quel materiale sopravvive in maniera
inerte e cristallizzata.
L'affermazione
dell'unità della vita spirituale nell'atto non impedisce al Gentile
di studiare le diverse forme della vita spirituale. Forme che, al
contrario di ciò che affermava il Croce, si risolvono tutte
nell'unità suprema dello filosofia.
L'arte,
per Gentile, è simile al sogno. Ed infatti, è il frutto della
libera creazione del soggetto che non ha e che non vuole avere alcuna
relazione con l'oggetto, come invece fa l'uomo pratico. A sua volta,
la materia dell'arte vive solo nell'animo del poeta, il quale usa la
materia per rappresentare ciò che vive solo nel suo animo, nel suo
sentimento. L'arte, pertanto, è soggettività immediata dell'io .
Per Gentile anche la filosofia è forma, e l'arte se ne distingue
perché è forma immediata della soggettività dello spirito. L'opera
d'arte, che nasce dall'autocoscienza, dalla coscienza di sé, è
talmente chiusa nella sua individualità atomistica da non permettere
una storia dell'arte. Ed infatti, essa non ci permette di comprendere
e di penetrare realmente l'opera d'arte, la quale può essere
compresa solo se impariamo a sognare come il poeta, ovvero traendoci
dalla storia e spezzando tutti i legami col molteplice. La religione
è, invece, l'opposto dell'arte. Ed infatti, la religione rompe il
rapporto con il soggetto così tanto che l'oggetto diviene
inconoscibile e termine di un rapporto solo mistico. Inoltre, come
aveva già chiarito il Parmenide, un essere assoluto ne esclude un
altro. Per tale ragione tutti i politeismi si sono evoluti in
monoteismi. La scienza appare simile alla filosofia in quanto
anch'essa è conoscenza, ma se ne distingue perché si fonda sul
presupposto naturalistico, ossia tende ad una forma di conoscenza
dove l'oggetto viene inteso come oggetto in sé.
La
rottura con la concezione affermante la contrapposizione tra soggetto
ed oggetto serve al Gentile per affermare l'unità tra teoria e
pratica, tra pensiero e vita. L'unica differenza tra teoria e prassi
è che la prima indica l'atto vivo e concreto dello spirito in
astratto, mentre il secondo in concreto. La morale greca si
concludeva con il suicidio perché non aveva compreso che l'uomo non
è solo spettatore, ma, anche e soprattutto, creatore. Cosa questa
che è stata messa in evidenza dal Cristianesimo, in cui la volontà
diviene colonna portante della morale. In maniera specifica, l'uomo
si configura come volontà col fine di elevarsi a Dio. IN TALE
PROSPETTIVA, LO SPIRITO NON È PIÙ INTELLETTO, MA VOLONTÀ; E IL
MONDO NON È PIÙ CIÒ CHE SI CONOSCE, MA CIÒ CHE SI FA. In tal modo
lo spirito diviene libertà ed attività morale.
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