Nel
clima della polemica al positivismo si inserisce la rivalutazione,
tra l'ottocento ed il novecento, del problema storico. In maniera
generale, vengono rivalutate tutte quante le scienze dello
spirito, ossia tutto ciò che può esser considerato
specificatamente umano, sociale, individuale, e, in quanto tale, non
riconducibile ai processi e ai fenomeni della natura. Viene, quindi,
operata una precisa dicotomia e distinzione tra le scienze della
natura e le scienze dello spirito. Esse vengono
considerate del tutto eterogenee in quanto a metodologia e contenuto.
A tal riguardo, pertanto, bisogna evitare di considerare i fatti
psichici come semplice risultato di quelli fisiologici, e, in maniera
generale, non si possono studiare i fatti storici con la stessa
metodologia con cui vengono vagliati i fatti naturali.
In
questo filone si inserisce l'opera di Wilhelm Dilthey
(1833 – 1911), filosofo e storico tedesco, autore dell'Introduzione
alle scienze dello spirito, del 1833 e del saggio La
costruzione del mondo storico, del 1910. Importante è la sua
affermazione di volere elaborare una critica della ragion storica
analoga a quella kantiana, ma rivolta non alla fisica e alla
metafisica, bensì alla storia. Una storia che non deve essere intesa
in maniera hegeliana, come manifestazione dello spirito assoluto,
bensì come fatto irripetibile ed individuale di ciascun popolo.
Fatto che deve esser colto nella sua semplicità mediante un
atteggiamento intuitivo e simpatetico. La metodologia delle scienze
dello spirito è del tutto diversa da quelle della natura; ed infatti
le scienze esatte operano per definizioni e regole generali, mentre
le scienze dello spirito devono comprendere gli avvenimenti nella
loro concretezza storica ed individuale. Diviene, pertanto,
fondamentale, per una giusta comprensione della storia, l'apporto di
due discipline: la psicologia, che permette di potere capire l'uomo,
e l'ermeneutica che, studiando il linguaggio di un popolo di un certo
tempo, permette di ricostruirne il senso.
Notevole
è anche l'opera di Wilhelm Windelband (1848 – 1915),
storico e filosofo tedesco, autore di una Storia della filosofia
moderna, dei Preludi, di un Manuale di storia della
filosofia e di una Introduzione alla filosofia. La sua
opera è finalizzata alla fondazione della legittimità delle scienze
dello spirito. Legittimità che non gli sembra ancora raggiunta dal
punto di vista metodologico. Ciò perché, anche se le scienze dello
spirito si sono distinte da quelle della natura, non riescono ancora
a compiere il proprio compito nella maniera adeguata; ed infatti la
distinzione tra le due scienze è stata operata solo per una
differenza di studio dell'oggetto, ossia da una parte la storia e
dall'altra la natura. Windelband, invece, opera una distinzione tra
scienze nomotetiche e scienze idiografiche, ovvero a
seconda che cerchino di spiegare la realtà mediante leggi generali o
che cerchino di coglierla nelle sue forme storicamente determinanti.
Per Windelban anche la psicologia è da ricondurre a scienza della
natura, ossia a leggi e concetti generali. Mentre per la storia
diviene fondamentale il riconoscimento dei valori, ossia di criteri
universalmente validi a cui va commisurato l'agire storico.
Altro
contributo allo storicismo viene dato da Georg
Simmel
(1858 – 1918), sociologo e filosofo tedesco, autore
dell'Introduzione
alla scienza morale,
dei Problemi
della filosofia
della storia,
della Filosofia
del denaro,
Shopenhauer e
Nietzsche, della
Sociologia,
dei Problemi
fondamentali della filosofia,
de Il conflitto
della cultura moderna
e dell'Intuizione
della vita.
Nell'opera
di Simmel è fondamentale il confronto con la filosofia kantiana,
soprattutto con il concetto
di a priori,
concetto sul quale bisogna imprimere un carattere intrinsecamente
dinamico e storico. Per Simmel è fondamentale nella conoscenza della
storia i presupposti categoriali, ossia gli a priori, che non devono
essere considerati come presupposti astratti ed immutabili, ma come
derivanti da un processo adattivo ed evolutivo. Questo processo di
adattamento e di evoluzione rimane sempre aperto; senza che ciò,
però, vada a comportare una sorta di relativismo e di frantumazione
dell'oggettività del sapere storico. Ed infatti, bisogna partire dal
fatto che noi siamo e non possiamo non essere. Questa constatazione
ci permette di giungere ad un sapere unitario, anche se sempre
estendibile, ampliato e comunque mai definitivo. Per Simmel i
processi storici sono costituiti da tutta una serie di caratteri tra
loro legati da un rapporto relazionale. Lo storico deve sapersi
districare all'interno di questi caratteri atomici e frammentari;
all'interno, cioè, dei singoli fatti, con un processo simile a
quello che nelle scienze
è stato consentito dal microscopio. Per Simmel la sociologia è una
sorta di microscopia psicologica delle azioni e reazioni tra atomi
sociali. Per quanto riguarda il mondo moderno, egli pone l'attenzione
sul fatto che esso è caratterizzato da dinamicità e fluidità.
Dinamicità e fluidità che vengono interpretate come il risultato
della fluidità e della dinamicità del nostro mondo interno. Anzi,
in maniera più approfondita, afferma che è il corrispettivo del
nostro mondo interiore. Simbolo della dinamicità del mondo moderno è
il denaro, considerato l'espressione portante della velocità dei
rapporti di scambio della vita moderna. Di notevole importanza è la
concezione di Simmel circa il carattere necrotizzante del modo di
vita delle città moderne. Il carattere necrotizzante scatena una
contrapposizione sempre più accentuata
tra una incessante pressione alla massificazione e la reazione volta
a prenderne le distanze. Una reazione da cui consegue la reciproca
indifferenza nei rapporti umani delle metropoli e nella moda. La moda
da un lato porta alla omogeneizzazione, e dall'altro a volersi
distinguere.
La voglia di distinguersi porta da un lato ad affermare il carattere
dominante della moda
nel presente, e dall'altro a capire che per la sua stessa natura e
definizione tramonterà rapidamente. Complesso è, invece, il
concetto di vita
e della sua intuizione. Secondo Simmel la vita non deve essere intesa
come un qualcosa di contrapposto ad altro, ma come autotrascendenza,
ossia come un qualcosa che vuole più vita, ma anche più che vita, e
che si esplica in tutto il processo storico – sociale. Un processo
che si viene a configurare in maniera dialettica, ovvero come rottura
delle semplici leggi teleologiche della vita, per portare
all'invenzione di forme,
quali arte, religione e scienza che non obbediscono a leggi
deterministiche, ma che trovano apertura in una infinita possibilità
di ordinamenti. Questo aspetto, però, porta alla tragedia della
cultura, in quanto ciò che si genera come rottura con gli schemi,
diviene esso stesso schema che va a perpetuarsi al di là della sua
realizzazione; per esempio un'istituzione economica rimane in vita
anche se non è più utile. A tale staticismo si pone fine con le
rivoluzioni.
Lo
storicismo, quindi, gradualmente ed incessantemente cerca di
raggiungere una propria legittimità e validità, anche se alla fine
sembra approdare ad un sostanziale relativismo dei valori, in quanto
questi vengono considerati dei semplici risultati di determinati
processi storici.
A
tale conclusione giunge lo storico Oswald Spengler
(1880 – 1936), autore del saggio Il tramonto dall'occidente,
del 1918 – 1922. In questo scritto il problema del crollo e della
decadenza dell'occidente viene studiato più sotto un aspetto
biologico che storicistico. Ed infatti, Spengler afferma che ogni
civiltà rappresenta un ciclo unico, irreversibile ed irripetibile,
che si sviluppa e scompare senza che ne risulti un senso per l'uomo e
per il suo destino. In altri termini, per Spengler l'umanità, allo
stesso modo delle farfalle o delle orchidee, non ha un fine, un'idea
o un piano. L'umanità, infatti, è un concetto puramente zoologico e
una parola priva di senso. In tal senso, Splengler dava ragione al
Nietzsche quando affermava il rovesciamento dei valori. Ciò perché
ogni civiltà in declino non fa altro che rovesciare tutti i propri
processi in un processo che non permette più di potere riconoscere
una morale umana universale. In altre parole, ogni civiltà ha in sé
il proprio valore di giudizio la cui validità inizia e finisce con
essa.
Alle
suddette conclusioni relativistiche si contrappone Ernst
Troeltsch (1865 – 1923), autore dei Problemi fondamentali
dell'etica, L'assolutezza del cristianesimo e la storia delle
religioni, Il significato del protestantesimo per la
formazione del mondo moderno, Le dottrine sociali delle chiese
e dei gruppi cristiani, Lo storicismo e i suoi problemi e
Lo storicismo e il suo superamento. Muovendo dal Cristianesimo
e dalla storia delle religioni, egli afferma che non si deve cadere
nella scepsi del relativismo, anche se i valori si danno nella storia
sempre in maniera mobile. Ciò perché, anche se i valori permettono
un intreccio sempre dinamico e futile, non possono considerarsi come
semplici prodotti storici. In tal caso, infatti, non avrebbe senso
parlare di valori, ma si dovrebbe semmai parlare di fatti.
Contro
il relativismo storico polemizza anche Friedrich Meineche
(1862 – 1954), autore di Cosmopolitismo e Stato
nazionale, L'idea di ragion di stato nella storia moderna,
Le origini dello storicismo, Senso storico e significato
della storia, Aforismi e schizzi sulla storia e la
Catastrofe tedesca. Allo storicismo egli riconosce il merito
di essersi voluto costituire come scienza e di aver ben chiarito
l'oggetto d'indagine, ma, al contempo, polemizza contro coloro che
hanno fatto cadere le scienze dello spirito in uno sterile
relativismo. In polemica con il relativismo sviluppa una concezione
avente tre tipi diversi di atteggiamento verso la storia, di cui due
sono opposti, ma complementari. Un primo atteggiamento è quello di
coloro che si rifugiano romanticamente nel passato; un secondo è
quello di coloro che esaltano il futuro come progresso; e un terzo
(quello corretto) è quello di coloro che riescono a cogliere
l'eterno nel fatto, ovvero di coloro che scoprono un qualcosa che si
innalza al di là di ogni epoca e di ogni formazione culturale.
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