Con
il termine giusnaturalismo si definisce
quella corrente di pensiero che si sviluppa nel seicento –
settecento, e che afferma l’esistenza, prima e al di là della
nascita del diritto positivo,
di un diritto universalmente valido fondato sulla “natura”. Di
conseguenza si ha
un diritto naturale, universalmente valido, che fonda i principi di
giustizia; principi validi a prescindere da ogni altro rinvio a
strutture oggettive, metafisiche o teologiche.
Alle
origini di questo giusnaturalismo moderno si pone l’opera di Ugo
Grozio,
giurista e teologo olandese (1583 – 1645). Importante è
il suo De
iure belli ac pacis
(1625), in
special modo
la premessa di
essa,
i Prolegomeni.
Contro
la riduzione del diritto ad un complesso di norme arbitrarie e
relative, generate dalla ricerca dell’utile o dalla forza; Grozio
ritiene che il diritto positivo debba trovare il suo fondamento in
principi assolutamente validi; tali principi, derivanti dalla natura
razionale dell’uomo, costituiscono il diritto naturale: questo
infatti è per Grozio “una
norma della retta ragione la quale ci fa conoscere che una
determinata azione, secondo che sia o no conforme alla natura
razionale, è moralmente necessaria oppure immorale e che per
conseguenza tale azione è da Dio, autore della natura, prescritta
oppure vietata”.
Il diritto naturale ha la stessa validità dei principi matematici, e
anzi il diritto naturale rimane egualmente valido anche se si
avanzasse l’empia ipotesi della non esistenza di Dio. Principi
fondamentali del diritto naturale sono: “l’astenersi
dalle cose altrui, la restituzione dei beni altrui e del lucro da
essi derivato, l’obbligo di mantenere le promesse, il risarcimento
del danno arrecato per colpa propria, il potere essere soggetto a
pene tra uomini”. Un
diritto naturale quindi che si contraddistingue per la sua
universalità, che si prospetta essere libero da presupposti
teologici e che afferma il diritto alla proprietà e alla
responsabilità morale.
Posta
la razionalità quale fondamento del diritto, Pufendorf
(1632 – 1694) autore del De
iure
naturae
et
gentium
e del De
officio
hominis
et
civis
iuxta
legem
naturalem,
cerca
di costruire una scienza del diritto in maniera deduttiva, alla
stregua della scienza matematica: è
infatti impossibile giungere ad una legge degli uomini sulla base di
uno studio induttivo(e quindi comparativo e storico) dei diversi
diritti positivi.
Il diritto naturale è autonomo dalla religione, in quanto esso
determina la regola delle azioni e dei rapporti non in quanto
cristiani, ma in quanto uomini. Bisogna distinguere inoltre il
diritto dalla morale, il primo riguarda la coazione tra uomini, la
seconda la coscienza personale.
Christian
Thomasius
(1655 – 1728) scrisse il Fundamenta
iuris naturae et gentium.
Egli distingue ancora di più la morale dal diritto. Al diritto
interessa la giustizia, cioè le norme che regolano la coazione. Alla
morale interessa la coscienza di ciascun individuo. Ciò porta
entrambi a scrivere che lo stato deve occuparsi di fare rispettare la
legge e
l’ordinamento giuridico, esercitando il suo potere coercitivo. Lo
stato è un’associazione prettamente giuridico–politica e neutra
per quanto riguarda le religioni e la coscienza individuale. Quindi
si prospetta la tolleranza religiosa. La corrente giusnaturalista
portò ad una migliore definizione dei concetti di stato
di natura
e di contratto
sociale.
Lo stato
di natura
è lo stato in cui gli uomini vivono esercitando i loro diritti
naturali secondo la legge naturale; dallo stato di natura si esce
mediante la stipulazione di un patto o contratto
sociale
in cui gli uomini si uniscono in società e si danno delle leggi.
Quindi contemporaneamente o successivamente istituiscono un potere
politico o stato.
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