Willard
Van Orman Quine (1908 – 2000), filosofo statunitense, autore
del Manuale di logica, del 1950, de I due dogmi
dell'empirismo, del 1951; de Il problema del significato,
del 1953; della Parola e oggetto, del 1960; de I modi del
paradosso e altri saggi, del 1966; de La relatività
ontologica e altri saggi, del 1969; della Logica e grammatica,
del 1970; de Le radici della referenza, del 1974 e
dell'Autobiografia, del 1985.
L'opera
di Quine si è sviluppata sia dal confronto critico con il
neopositivismo e l'empirismo logico sia dalla ripresa di alcuni
motivi pragmatistici e naturalistici. La sua complessa costruzione,
oltre a polemizzare contro i due “dogmi” dell'empirismo del 1951,
si rivolge contro il neopositivismo e contro l'opera di Carnap.
I
due dogmi che Quine rifiuta sono:
- la tesi che vi siano delle proposizioni realmente analitiche;
- il riduzionismo, ossia la tesi che si possa andare a verificare qualsiasi proposizione che scaturisca da una esperienza immediata. Cosa questa che già aveva sostenuto l'empirismo moderno.
In
realtà il sapere è una totalità molto complessa ed organica. Una
totalità dove nessun elemento può essere compreso o valutato nel
suo isolamento.
A
tal riguardo Quine riprende la posizione dello storico della scienza
Pierre Duhem (1861 – 1916), il quale riteneva che in
fisica non è possibile sottoporre al controllo dell'esperienza una
singola ipotesi, ma soltanto tutto un insieme di ipotesi. In altre
parole, qualsiasi esperimento interessa tutto un insieme teorico. Ciò
evidenzia il fatto che in fisica non vi sono esperimenti “cruciali”.
La scienza fisica, pertanto, non può essere concepita come un
meccanismo che può essere smontato pezzo per pezzo. Deve, invece,
essere presa nella sua interezza e totalità, un po' come se fosse un
organismo di cui non si può fare funzionare una parte senza che le
altre, anche quelle più periferiche, ne siano coinvolte.
Per
Quine, quindi, gli enunciati teorici vanno sempre inseriti
all'interno di un contesto teorico molto più ampio. Contesto teorico
a cui sono correlati.
Per
tale motivo la sua filosofia viene definita olistica (dal
greco òlos = tutto, intero), dove per “tutto” si intende
una relazionalità delle parti. Parti sottoposte a continue
innovazioni e revisioni.
A
tal riguardo Quine osserva che una teoria o un'ipotesi deve essere
necessariamente compresa all'interno di un contesto ben preciso. Cosa
questa ampiamente riconosciuta e praticata in fisica. Ad esempio, la
teoria relazionale dello spazio implica che non si ha alcuna
posizione o velocità assoluta. Ciò chiarisce il fatto che
determinate leggi vanno sempre enunciate e verificate all'interno di
un quadro di riferimento ben determinato.
Per
quanto riguarda il rapporto tra il nostro sapere e l'esperienza,
Quine precisa che “la totalità della nostra cosiddetta
conoscenza o delle nostre credenze, dagli argomenti più casuali
della geografia e della storia alle leggi più profonde della fisica
atomica o perfino della matematica e logica pura, è una costruzione
dell'uomo che urta nell'esperienza solo marginalmente. O, per
cambiare l'immagine, l'intera scienza è come un campo di forza le
cui condizioni – limite sono le esperienze”.
Conseguentemente
un disaccordo con l'esperienza alla periferia rende necessario tutto
un riordinamento all'interno del campo.
Per
Quine, però, vi sono due principi cardinali dell'empirismo che
rimangono validi. Essi sono:
- qualsiasi evidenza che ci sia per la scienza proviene dall'evidenza sensoriale;
- il significato delle parole deve basarsi fondamentalmente sull'evidenza sensoriale.
In
tale contesto acquisisce un'importanza particolare la nozione di
“osservazione”. Nozione applicata non solo al problema
dell'esperienza e della scienza, ma utilizzata anche nella polemica
dell'analiticità, ossia nella presunta distinzione assoluta da altre
forme di pensiero. Quine per enunciati di osservazione intende quelli
più vicini ai recettori sensoriali. Tale vicinanza è determinata
dal fatto che gli enunciati di osservazione, quando impariamo un
linguaggio, sono più condizionati dalle stimolazioni sensoriali
concomitanti, piuttosto che da quella informazione collaterale già
immagazzinata.
Ovviamente,
la veridicità o meno di un enunciato non può essere data solo dalla
stimolazione presente, ma, al contrario, necessita anche
dell'informazione immagazzinata. Ed infatti, il linguaggio è il
frutto di una informazione già immagazzinata, senza la quale non
potremmo nemmeno dare verdetti su quegli enunciati basati
esclusivamente sull'osservazione. Questo modo di operare evita quel
nichilismo epistemologico che ha comportato l'abbandono della vecchia
concezione degli enunciati di osservazione. Cosa questa che ha
provocato un accentuato relativismo culturale.
Per
quanto riguarda la concezione filosofica, Quine, rifacendosi alla
concezione naturalistica di Dewey, sostiene che “la conoscenza,
la mente e il significato sono parte del medesimo mondo con cui hanno
a che fare e che devono esser studiati nel medesimo spirito empirico
che anima la scienza naturale. Non c'è posto per una filosofia
prima”.
Inoltre,
Quine riconosce che “ciascun uomo ha una certa eredità
scientifica oltre che una ininterrotta diga di stimoli sensoriali; e
le considerazioni che lo guidano a piegare la sua eredità
scientifica perché si adatti agli incessanti dettami dei sensi sono,
se razionali, di natura pragmatica”.
Il
linguaggio, a sua volta, è un'arte sociale che noi tutti acquisiamo
solo in base all'evidenza del comportamento degli altri in
circostanze pubblicamente riconoscibili. Da ciò sorge la sua
polemica contro quella forma di “semantica ingenua” che
prende le proprie mosse dal “mito del museo”, ossia dalla
convinzione che il linguaggio sia una somma di etichette
contrassegnati delle idee bell'e fatte e riposte nella mente, appunto
come i quadri esposti in un museo con apposite etichette. In realtà
il linguaggio è sempre la risposta ad uno stimolo. Una risposta,
però, intersoggettiva, ossia inserita all'interno di un sistema
comportamentistico sempre aperto e modificabile. Per tale motivo non
può esistere un linguaggio privato o un linguaggio che corrisponda
ad una forma di sapere puramente mentale. Infine, per Quine non è
possibile tradurre in maniera esatta un termine di una lingua in
un'altra, e, al limite, nemmeno nella lingua stessa.
Da
tutte queste considerazioni Quine giunge ad una “naturalizzazione
dell'epistemologia”. Si è avuto, infatti, un nuovo pensiero
che ha portato al rifiuto da parte del neopositivismo della
metafisica e la sostituzione della stessa epistemologia filosofica
con una sorta di “terapia”, intesa come residuo della
vocazione filosofica. Quine, però, non è d'accordo con questa
“bancarotta” dell'epistemologia, e afferma che ad essa spetta un
nuovo compito, e cioè quello dello studio del soggetto umano fisico
tramite la psicologia e la scienza naturale.
Nessun commento:
Posta un commento