John
Dewey (1859 – 1952) è un filosofo americano di iniziale
formazione hegeliana. Ben presto si avvicina al pragmatismo e si
interessa di problemi di psicologia e di epistemologia. Tra le sue
opera abbiamo: Il mio credo pedagogico, del 1897; Scuola e
società, del 1899, Studi di teoria logica, del 1903;
Etica, del 1908; Democrazia ed educazione, del 1916; I
saggi di logica sperimentale, del 1916; Natura umana e
comportamento, del 1922; Esperienza e natura, del 1925; La
ricerca della certezza, del 1925; Arte come esperienza,
del 1928 e Logica, del 1938, che è la sua opera più
importante e più matura.
Il
pragmatismo di Dewey entra in polemica con l'idealismo, il
positivismo e certe istanze e concezioni dell'empirismo, del realismo
e del logicismo.
Ognuno
di queste correnti filosofiche ha, infatti, il difetto di separare
certi aspetti della realtà (fisico, psicofisico, spirituale), che,
invece, sono sostanzialmente unitari e che si distinguono soltanto in
livelli per una crescente complessità. Ciascuno di questi livelli
ha origine dal precedente, anche se non è riducibile ad esso né
alle sue leggi. Pertanto, il livello fisico, psicofisico e spirituale
rientrano in un divenire che ha carattere temporale ed interazionale.
Ed infatti, ogni evento naturale nasce all'interno di un rapporto
intrinseco con altri eventi, i quali, a loro volta, sono sempre
minacciati dalla possibilità di distruzione.
La
realtà per Dewey è aperta ed articolata, priva di un ordine
materiale e spirituale assoluto. In tale contesto di privazione di
ordini prestabiliti e sempre certi nasce l'intelligenza, la quale si
è affermata per riordinare quelle situazioni che sono diventate
precarie ed instabili. Ciò al fine di trasformarle in situazioni
nuove e diverse dotate di caratteristiche più favorevoli all'essere
vivente.
Il
pragmatismo di Dewey si viene, pertanto, a configurare come uno
strumentalismo, ossia come una concezione dell'intelligenza
che, avente al contempo un carattere logico e psicologico, teorico e
pratico, utilizza le forme più alte e raffinate di comportamento,
ossia la coscienza e l'intelligenza, per assicurare all'uomo la
realizzazione dei suoi desideri, per difenderlo dalle minacce del
mondo circostante e per consentirgli uno sviluppo organico e
pianificato della sua vita. Il termine strumentalismo non deve essere
inteso come una concezione meramente utilitaristica
dell'intelligenza, bensì come una rigorosa teoria del sorgere e del
costituirsi della scienza come un sistema di procedimenti controllati
di ricerca. Il comportamento dell'uomo si realizza e si basa su delle
costruzioni simboliche e operative dell'intelligenza che trasformano
un evento naturale in oggetto, ossia in una funzione
evidenziale su cui l'uomo può basare il proprio
comportamento. Per rendere il tutto più chiaro, basta pensare alla
luce rossa di un semaforo. La luce rossa del semaforo cambia come
evento, in base alle circostanze ambientali, atmosferiche,
ecc., ma come funzione evidenziale permane e sta ad indicare
sempre la medesima cosa, e cioè l'arresto delle macchine. Pertanto,
la luce rossa come funzione evidenziale è oggettiva per il suo
valore simbolico.
I
simboli, quindi, hanno una funzione operativa nel comportamento umano
e risolvono il secolare problema dell'esistenza o meno degli
universali o delle essenze, ossia il dubbio che essi siano tali a
prescindere dalla ricerca, e cioè se abbiano un'esistenza propria.
Ed infatti, la loro sistemazione è sempre funzionale, ossia
finalizzata all'efficacia e alla risoluzione di situazioni
problematiche.
Ciò
non può fare dimenticare che le scienze si sono costituite
sistematizzando certi simboli che, nati per risolvere problemi
immediati e diretti, sono stati organizzati in maniera omogenea sino
a costituire scienze che non hanno più la finalità di risolvere
problemi di vita quotidiana, ma che, invece, sviluppano postulati ed
assiomi per verificare i propri teoremi. Ad esempio, le prime figure
geometriche sono nate per la risoluzione di problemi immediati, come
la misura di un terreno. In seguito, però, tali figure geometriche
sono diventate esse stesse motivo di studio. Ciò ha fatto nascere
discipline quali la geometria, che procede per assiomi e postulati
per convalidare o confutare i propri teoremi. Questo modo di
procedere può far pensare che la scienza subordini l'azione al
pensiero. In realtà, il pensiero non è superiore all'azione e
viceversa. Ma il primato dell'uno e dell'altro è legato alla
risoluzione del problema o della situazione critica del momento,
ossia è solo al momento che si può decidere se sia più importante
l'azione diretta o quella differita mediante i simboli.
Lo
strumentalismo di
Dewey ha delle implicazioni in campo morale ed educazionistico. Ed
infatti, il nostro filosofo esclude che ci siano fini o valori rigidi
e precostituiti a cui l'uomo deve conformarsi. Fini e mezzi sono tra
loro legati, nel senso che possono definirsi solo in situazioni
problematiche concrete, ossia
in una situazione da risolvere. La morale, quindi, non si definisce
come semplice intuizione, ma implica impegno per modificare una
situazione , per migliorarla e renderla meno minacciosa. Al contempo,
però, la morale non può nemmeno essere ridotta solo alla
risoluzione di problemi esterni proposti dalla realtà e dalla
natura, perché
significherebbe rinunciare alla capacità propria dell'uomo, che è
quella di riordinare il mondo in maniera intelligente e originale.
Alla concezione della morale si lega quella dell'arte.
Per Dewey ogni esperienza o
situazione presenta un aspetto estetico, in quanto ciò che
costituisce quella esperienza o quella situazione è
la sua qualità che la interessa in toto senza identificarsi in
maniera particolare in nessuno dei suoi aspetti.
L'aspetto
qualitativo dell'esperienza permette di metterla in armonia in
maniera tale da modificarla in senso migliorativo. Nell'arte, invece,
l'aspetto qualitativo diviene fine a se stesso e vine fruito in
quanto tale. Per esempio, anche nella camminata più sgraziata si ha
una certa coordinazione ed armonia di movimenti, che, però,
divengono fini a se stessi nella danza. La tendenza ad armonizzare
l'esperienza libera l'esperienza dagli aspetti puramente meccanici, e
fa sì che non si vengano a formare delle semplici abitudini. Ed
infatti, c'è esperienza solo quando l'intelligenza opera al fine di
rinnovare i suoi mezzi e i suoi fini. La tendenza ad armonizzare
l'esperienza ha un'implicazione fortemente morale perché
comporta un continuo
potenziamento dell'esperienza che viene controllata in maniera
intelligente ed armonica dall'uomo.
Questo controllo è alla base del cammino illimitato di progresso
dell'umanità. Tale progresso, però, non ha nessuna garanzia storica
o metastorica, in quanto è affidato solo alle forze e
all'intelligenza dell'uomo.
Dewey
si interessò notevolmente di educazione, tanto da esser stato uno
dei fondatori e delle personalità più importanti della cosiddetta
scuola attiva. Ora,
l'intelligenza per Dewey ha un carattere fortemente strumentale. Per
tale motivo, l'uomo, come già detto, non ha scopi, valori o fini
assoluti. Conseguentemente anche l'educazione non deve avvenire per
schemi rigidi o ridursi alla semplice trasmissione di nozioni, ma
deve perseguire il libero sviluppo del fanciullo che, inserito in un
ambiente naturale, deve mettere attivamente alla prova la propria
intelligenza per risolvere i
problemi posti dalla realtà. Inoltre, la soggettività emerge
dall'esperienza e dall'interazione con gli altri uomini. Quindi,
l'educazione si deve instaurare in un clima socialmente
realistico, dove sia possibile realizzare la collaborazione tra gli
individui. Collaborazione che è indispensabile nella promozione di
una società democratica.
La
democrazia, pertanto, non si riduce all'adozione di questo o quello
ordinamento, ma ad un rapporto molto più profondo, dove la garanzia
della libertà dell'individuo
deve coincidere con la pianificazione intelligente della società.
Ed infatti, il controllo autoritario, negatore della libertà
dell'individuo, porta alla sclerotizzazione
della società e dei suoi ordinamenti; e, al contrario, un
individualismo assoluto non consente nemmeno la realizzazione delle
sue possibilità, perché l'individuo non trova
consistenza al di fuori dell'interazione con gli altri.
Quindi,
il metodo di Dewey nega i preconcetti e le rigide regole
precostituite per professare un nuovo modo di operare
dell'intelligenza che, nella scienza e nell'educazione, nella morale
e nella politica, deve operare come continua autorettifica e
armonizzazione dei fini e mezzi per superare un momento di crisi.
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