giovedì 2 agosto 2012

Critica allo scientismo


Emile Boutrox (1845 – 1921) fu autore di un'importante tesi di laurea dal titolo La contingenza delle leggi di natura (1874). Tra le sue opere abbiamo L'idea della legge naturale nella scienza e nella filosofia contemporanea, del 1895; La natura e lo spirito, del 1905; La scienza e religione nella filosofia contemporanea, del 1908.
Oggetto della critica di Boutrox non è tanto la scienza, bensì lo scientismo, ossia la convinzione positivista secondo cui la realtà è un rigoroso concatenamento di fenomeni secondo leggi casuali escludenti ogni libertà e finalità. In altri termini, Boutrox rifiuta una spiegazione puramente meccanicistica della realtà. Le leggi scientifiche, inoltre, non rispecchiano una struttura matematica, e quindi necessaria, della realtà in sé, come pretendeva Cartesio; e non sono nemmeno una struttura a priori della natura umana, come affermava Kant. Detto ciò, cade ogni pretesa di fondare le leggi scientifiche in modo metafisico e trascendentale. Le leggi scientifiche, afferma Boutrox, sono il risultato dei nostri sforzi di volere adattare le cose alla nostra intelligenza mediante costruzioni simboliche. Questo processo simbolico si attua nel momento in cui tutto ciò che è qualitativo viene ridotto nella scienza, grazie all'uso della matematica, a rapporti quantitativi. Ovviamente, la riduzione del qualitativo al quantitativo non potrà mai avere termine, ed infatti, se così fosse, si avrebbe la completa scoperta di una identità e unità assoluta. Unità ed unità assoluta che in natura non esiste, dato che la realtà è sempre molteplice e varia.
Boutrox evidenzia anche il fatto che all'interno dell'epistemologia scientifica si ha una contraddizione di base, che diviene evidente se si analizza il concetto di causalità. Ed infatti, la ricerca di cause significa la ricerca di ciò che determina un fenomeno. Ora, se la scienza riuscisse davvero a ridurre il mondo a formule o equazioni, allora non avrebbe più senso parlare di effetti generati da delle cause. Ciò perché non si avrebbero più novità, e tutto sarebbe determinato, conosciuto, immutabile e sempre uguale. La necessità delle leggi scientifiche è sempre negativa, in quanto una legge esprime solo l'impossibilità che una cosa sia diversa da quella che è, ma non indica le condizioni positive, e cioè non si può dire perché quel dato fenomeno è così e deve essere così. Le diverse scienze indicano soltanto diversi livelli di realtà tra i quali non si può avere alcun passaggio necessario e in questo senso sono contingenti l'uno rispetto all'altro.
Le critiche avanzate da Boutroux allo scientismo non rimangono solo all'interno del campo epistemologico, ma si riallacciano ad una corrente di pensiero francese che prende il nome di spiritualismo e che trova origine da Pascal e attraverso Maine de Biran si prolunga sino alla filosofia dello spirito dei nostri giorni. La dimostrazione dei limiti della scienza per Boutroux corrisponde alla rivendicazione di quelle che Pascal chiama le ragioni del cuore e alla contrapposizione allo spirito scientifico, che Pascal chiama spirito di geometria. Ovvero si volge lo sguardo ad una forma diversa di sapere che Pascal chiama spirito di finezza, e che Biran chiama senso intimo. Tale senso intimo è ciò che fa attingere all'uomo la propria libertà, spontaneità ed individualità.
Il contingentismo spezza il quadro della credenza in una realtà meccanicistica e apre la strada al riconoscimento della libertà che non può essere dimostrata né confutata da alcuna forma di sapere scientifico. Per tale motivo la religione, come scienza profonda del significato della vita, costituisce un principio irriducibile a quello della scienza. Lo spirito scientifico, infatti, esige continuamente che ogni processo sia fondato su prove e verifiche, mentre lo spirito religioso considera essenziali un atteggiamento di fede e di amore per cogliere ciò che non è semplicemente un sistema di rapporti meccanici. Si tratta, quindi, di due esigenze irrinunciabili che occorre stimolare e promuovere senza però credere di potere realizzare in modo assoluto ed esauriente nella condizione umana.
Jules-Henri Poincarè (1854 – 1912), matematico e filosofo, scrisse La scienza e l'ipotesi, del 1902; Il valore della scienza, del 1905 e Scienza e moto del 1909. L'opera di Poincarè si inserisce nel filone della critica allo scientismo e si innesta con le scoperte delle filosofie non-euclidee, con la discussione sulla contingenza delle leggi della natura e sul vaglio della più o meno validità delle stesse proposizioni scientifiche.
Poincarè respinge l'istanza che la matematica e la geometria siano, per il fatto di essere scienze coerenti ed universali, delle strutture razionali assolute e presupposte della realtà. Rifiuta, al contempo, anche la pretesa di fondare la matematica e la geometria sulla semplice esperienza. Le definizioni matematiche e geometriche sono piuttosto delle convenzioni, e tali convenzioni danno alle proprie scienze il carattere di rigore e coerenza. Tali convinzioni sono il risultato della libera attività del nostro spirito, che può affermare questi decreti, che si impongono alla nostra scienza, la quale senza di essi sarebbe impossibile; ma che non si impongono in nessuna maniera alla natura. Bisogna, afferma Poincarè, tenere presente il fatto che la scoperta delle geometrie non-euclidee ha messo inequivocabilmente in luce il fatto che la geometria è una libera costruzione della nostra mente. Ed infatti, sono state possibili la costruzione di geometrie diverse, a seconda di quale assioma venisse accettato, che mediante certe regole possono essere ricondotte alla euclidea. Gli assiomi della geometria, pertanto, non sono fatti sperimentali e non sono giudizi sintetici a priori, bensì convenzioni che vengono via via adottate a seconda della loro comodità. È da dire che Poincarè polemizza contro coloro che danno un'interpretazione nominalistica o pragmatica del carattere convenzionale dei concetti scientifici. In particolare critica Le Roy (1870 – 1954), seguace di Bergson e vicino alle correnti pragmatiche.
Poincarè rimprovera Le Roy nel saggio Il valore della volontà. Qui afferma che è errato interpretare i fatti scientifici e le leggi scientifiche come esclusivamente frutto dell'opera dello scienziato. Ciò, infatti, porta ad affermare che la scienza non può dirci nulla circa la verità, ma ci può servire solo come regola per l'azione. Questo sarebbe il nominalismo di Le Roy che, a parere di Poincarè, prende caratteristiche anti – intellettualistiche, poiché questo atteggiamento corrisponde alla convinzione che l'intelligenza e il discorso siano destinati inevitabilmente a deformare ciò che studiano, ciò di cui si interessano, in quanto lo irrigidiscono in schemi e concetti. Poincarè chiarisce il fatto che dire che la scienza opera mediante certe costruzioni non significa considerarla come arbitraria o come un gioco, ciò perché in un gioco è sempre possibile adottare regole diverse, mentre nella scienza ciò è impossibile. Ed infatti, per ottenere l'idrogeno devo fare agire un acido sullo zinco, formula questa che riesce; mentre se dico che per ottenere l'idrogeno devo fare agire l'acqua sull'oro, formula ugualmente una regola, che però non giunge all'effetto desiderato. Il punto essenziale è quello di tenere sempre presente che una regola non riesce mai per caso e lo scienziato non crea il fatto o il fenomeno, ma solo il linguaggio con cui descrive il fatto e le sue relazioni con altri fatti. Il fatto scientifico, pertanto, non è altro che il fatto della natura tradotto in un linguaggio comodo (e solo in tal senso il linguaggio è convenzionale). Ma le leggi della natura enunciano comunque delle relazioni che hanno una innegabile oggettività. Oggettività che non preclude il miglioramento e il perfezionamento delle leggi scientifiche.
Werner Heisenberg (1901 – 1976), matematico e filosofo, scrisse i Principi fisici della teoria dei quanti, del 1930; i Mutamenti nelle basi della scienza, del 1935; La fisica nucleare, del 1943; la Natura e fisica moderna, del 1955 e la Fisica e filosofia del 1959. L'opera di Heinsenberg ha una notevole importanza in ambito scientifico e filosofico. Ciò perché la sua scoperta del principio di indeterminazione (1927) ha messo in crisi i fondamenti e la possibilità stessa della conoscenza della natura e dell'uso della sua categoria fondamentale, ossia la causalità. Il principio di indeterminazione è strettamente connesso con gli studi quantistici e riguarda un aspetto ben preciso della fisica, e cioè la difficoltà di stabilire la posizione di un elettrone e insieme la sua velocità determinata. Infatti, secondo i suoi studi risulta che tanto più esattamente si cerca di misurare la posizione di un elettrone nello spazio, tanto meno preciso risulta il calcolo della misurazione. Infatti, per misurare la posizione di un elettrone bisogna proiettare su di esso un fascio di luce, che ne cambia velocità e posizione. Ora, se si cerca di misurarlo con maggiore esattezza, il fascio di luce sarà maggiore, e conseguentemente anche l'urto, mentre diviene progressivamente meno precisa la misurazione. Heisenberg, pertanto, non avanza un problema tecnico, bensì un problema insito alla scienza stessa, o, meglio ancora, ad ogni processo di misurazione, in quanto l'osservatore porterà sempre una perturbazione sul sistema osservato, cambiandone i risultati. Detto ciò, appare chiaro che non posso avere con esattezza la posizione di un elettrone nello spazio, ma solo delle statistiche che mi danno delle probabilità. Altro aspetto messo in evidenzia da Heinsenberg è quello della singolare duplicità, per cui non si ha omogeneità tra osservatore ed osservato; infatti l'osservatore studia i fatti secondo la concezione classica della fisica di spazio e tempo; mentre gli eventi a cui noi facciamo riferimento sono espressi mediante la fisica quantistica, e cioè in base ad una concezione ondulatoria della materia. Diviene, a questo punto, confutabile la concezione dell'esistenza di un sistema di leggi naturali deterministiche. Ciò perché è messo in discussione il concetto stesso di causa – effetto. Questo concetto conserva la sua validità solo dove è possibile conoscere in tutti i suoi aspetti un fenomeno. Ciò però avviene se riusciamo ad isolare completamente un sistema. Cosa questa alquanto difficile.  

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