Emile
Boutrox (1845 – 1921) fu autore di un'importante tesi di laurea
dal titolo La contingenza delle leggi di natura (1874). Tra le
sue opere abbiamo L'idea della legge naturale nella scienza e
nella filosofia contemporanea, del 1895; La natura e lo
spirito, del 1905; La scienza e religione nella filosofia
contemporanea, del 1908.
Oggetto
della critica di Boutrox non è tanto la scienza, bensì lo
scientismo, ossia la convinzione positivista secondo cui la
realtà è un rigoroso concatenamento di fenomeni secondo leggi
casuali escludenti ogni libertà e finalità. In altri termini,
Boutrox rifiuta una spiegazione puramente meccanicistica della
realtà. Le leggi scientifiche, inoltre, non rispecchiano una
struttura matematica, e quindi necessaria, della realtà in sé, come
pretendeva Cartesio; e non sono nemmeno una struttura a priori della
natura umana, come affermava Kant. Detto ciò, cade ogni pretesa di
fondare le leggi scientifiche in modo metafisico e trascendentale.
Le leggi scientifiche, afferma Boutrox, sono il risultato dei nostri
sforzi di volere adattare le cose alla nostra intelligenza mediante
costruzioni simboliche. Questo processo simbolico si attua nel
momento in cui tutto ciò che è qualitativo viene ridotto nella
scienza, grazie all'uso della matematica, a rapporti quantitativi.
Ovviamente, la riduzione del qualitativo al quantitativo non potrà
mai avere termine, ed infatti, se così fosse, si avrebbe la completa
scoperta di una identità e unità assoluta. Unità ed unità
assoluta che in natura non esiste, dato che la realtà è sempre
molteplice e varia.
Boutrox
evidenzia anche il fatto che all'interno dell'epistemologia
scientifica si ha una contraddizione di base, che diviene evidente se
si analizza il concetto di causalità. Ed infatti, la ricerca
di cause significa la ricerca di ciò che determina un fenomeno. Ora,
se la scienza riuscisse davvero a ridurre il mondo a formule o
equazioni, allora non avrebbe più senso parlare di effetti generati
da delle cause. Ciò perché non si avrebbero più novità, e tutto
sarebbe determinato, conosciuto, immutabile e sempre uguale. La
necessità delle leggi scientifiche è sempre negativa, in quanto una
legge esprime solo l'impossibilità che una cosa sia diversa da
quella che è, ma non indica le condizioni positive, e cioè non si
può dire perché quel dato fenomeno è così e deve essere così. Le
diverse scienze indicano soltanto diversi livelli di realtà tra i
quali non si può avere alcun passaggio necessario e in questo senso
sono contingenti l'uno rispetto all'altro.
Le
critiche avanzate da Boutroux allo scientismo non rimangono solo
all'interno del campo epistemologico, ma si riallacciano ad una
corrente di pensiero francese che prende il nome di spiritualismo
e che trova origine da Pascal e attraverso Maine de Biran
si prolunga sino alla filosofia dello spirito dei nostri giorni. La
dimostrazione dei limiti della scienza per Boutroux corrisponde alla
rivendicazione di quelle che Pascal chiama le ragioni del cuore
e alla contrapposizione allo spirito scientifico, che Pascal chiama
spirito di geometria. Ovvero si volge lo sguardo ad una forma
diversa di sapere che Pascal chiama spirito di finezza, e che
Biran chiama senso intimo. Tale senso intimo è ciò che fa
attingere all'uomo la propria libertà, spontaneità ed
individualità.
Il
contingentismo spezza il quadro della credenza in una realtà
meccanicistica e apre la strada al riconoscimento della libertà che
non può essere dimostrata né confutata da alcuna forma di sapere
scientifico. Per tale motivo la religione, come scienza profonda del
significato della vita, costituisce un principio irriducibile a
quello della scienza. Lo spirito scientifico, infatti, esige
continuamente che ogni processo sia fondato su prove e verifiche,
mentre lo spirito religioso considera essenziali un atteggiamento di
fede e di amore per cogliere ciò che non è semplicemente un sistema
di rapporti meccanici. Si tratta, quindi, di due esigenze
irrinunciabili che occorre stimolare e promuovere senza però credere
di potere realizzare in modo assoluto ed esauriente nella condizione
umana.
Jules-Henri
Poincarè (1854 – 1912), matematico e filosofo, scrisse La
scienza e l'ipotesi, del 1902; Il valore della scienza,
del 1905 e Scienza e moto del 1909. L'opera di Poincarè si
inserisce nel filone della critica allo scientismo e si innesta con
le scoperte delle filosofie non-euclidee, con la discussione sulla
contingenza delle leggi della natura e sul vaglio della più o meno
validità delle stesse proposizioni scientifiche.
Poincarè
respinge l'istanza che la matematica e la geometria siano, per il
fatto di essere scienze coerenti ed universali, delle strutture
razionali assolute e presupposte della realtà. Rifiuta, al contempo,
anche la pretesa di fondare la matematica e la geometria sulla
semplice esperienza. Le definizioni matematiche e geometriche sono
piuttosto delle convenzioni, e tali convenzioni danno alle
proprie scienze il carattere di rigore e coerenza. Tali convinzioni
sono il risultato della libera attività del nostro spirito, che può
affermare questi decreti, che si impongono alla nostra scienza, la
quale senza di essi sarebbe impossibile; ma che non si impongono in
nessuna maniera alla natura. Bisogna, afferma Poincarè, tenere
presente il fatto che la scoperta delle geometrie non-euclidee ha
messo inequivocabilmente in luce il fatto che la geometria è una
libera costruzione della nostra mente. Ed infatti, sono state
possibili la costruzione di geometrie diverse, a seconda di quale
assioma venisse accettato, che mediante certe regole possono essere
ricondotte alla euclidea. Gli assiomi della geometria, pertanto, non
sono fatti sperimentali e non sono giudizi sintetici a priori, bensì
convenzioni che vengono via via adottate a seconda della loro
comodità. È da dire che Poincarè polemizza contro coloro che danno
un'interpretazione nominalistica o pragmatica del
carattere convenzionale dei concetti scientifici. In particolare
critica Le Roy (1870 – 1954), seguace di Bergson e vicino
alle correnti pragmatiche.
Poincarè
rimprovera Le Roy nel saggio Il valore della volontà. Qui
afferma che è errato interpretare i fatti scientifici e le leggi
scientifiche come esclusivamente frutto dell'opera dello scienziato.
Ciò, infatti, porta ad affermare che la scienza non può dirci nulla
circa la verità, ma ci può servire solo come regola per l'azione.
Questo sarebbe il nominalismo di Le Roy che, a parere di
Poincarè, prende caratteristiche anti – intellettualistiche,
poiché questo atteggiamento corrisponde alla convinzione che
l'intelligenza e il discorso siano destinati inevitabilmente a
deformare ciò che studiano, ciò di cui si interessano, in quanto lo
irrigidiscono in schemi e concetti. Poincarè chiarisce il fatto che
dire che la scienza opera mediante certe costruzioni non significa
considerarla come arbitraria o come un gioco, ciò perché in un
gioco è sempre possibile adottare regole diverse, mentre nella
scienza ciò è impossibile. Ed infatti, per ottenere l'idrogeno devo
fare agire un acido sullo zinco, formula questa che riesce; mentre se
dico che per ottenere l'idrogeno devo fare agire l'acqua sull'oro,
formula ugualmente una regola, che però non giunge all'effetto
desiderato. Il punto essenziale è quello di tenere sempre presente
che una regola non riesce mai per caso e lo scienziato non crea il
fatto o il fenomeno, ma solo il linguaggio con cui descrive il fatto
e le sue relazioni con altri fatti. Il fatto scientifico, pertanto,
non è altro che il fatto della natura tradotto in un linguaggio
comodo (e solo in tal senso il linguaggio è convenzionale). Ma le
leggi della natura enunciano comunque delle relazioni che hanno una
innegabile oggettività. Oggettività che non preclude il
miglioramento e il perfezionamento delle leggi scientifiche.
Werner
Heisenberg (1901 – 1976), matematico e filosofo, scrisse i
Principi fisici della teoria dei quanti, del 1930; i Mutamenti
nelle basi della scienza, del 1935; La fisica nucleare,
del 1943; la Natura e fisica moderna, del 1955 e la Fisica
e filosofia del 1959. L'opera di Heinsenberg ha una notevole
importanza in ambito scientifico e filosofico. Ciò perché la sua
scoperta del principio di indeterminazione (1927) ha messo in
crisi i fondamenti e la possibilità stessa della conoscenza della
natura e dell'uso della sua categoria fondamentale, ossia la
causalità. Il principio di indeterminazione è strettamente
connesso con gli studi quantistici e riguarda un aspetto ben preciso
della fisica, e cioè la difficoltà di stabilire la posizione di un
elettrone e insieme la sua velocità determinata. Infatti, secondo i
suoi studi risulta che tanto più esattamente si cerca di misurare la
posizione di un elettrone nello spazio, tanto meno preciso risulta il
calcolo della misurazione. Infatti, per misurare la posizione di un
elettrone bisogna proiettare su di esso un fascio di luce, che ne
cambia velocità e posizione. Ora, se si cerca di misurarlo con
maggiore esattezza, il fascio di luce sarà maggiore, e
conseguentemente anche l'urto, mentre diviene progressivamente meno
precisa la misurazione. Heisenberg, pertanto, non avanza un problema
tecnico, bensì un problema insito alla scienza stessa, o, meglio
ancora, ad ogni processo di misurazione, in quanto l'osservatore
porterà sempre una perturbazione sul sistema osservato, cambiandone
i risultati. Detto ciò, appare chiaro che non posso avere con
esattezza la posizione di un elettrone nello spazio, ma solo delle
statistiche che mi danno delle probabilità. Altro aspetto messo in
evidenzia da Heinsenberg è quello della singolare duplicità,
per cui non si ha omogeneità tra osservatore ed osservato; infatti
l'osservatore studia i fatti secondo la concezione classica della
fisica di spazio e tempo; mentre gli eventi a cui noi facciamo
riferimento sono espressi mediante la fisica quantistica, e cioè in
base ad una concezione ondulatoria della materia. Diviene, a questo
punto, confutabile la concezione dell'esistenza di un sistema di
leggi naturali deterministiche. Ciò perché è messo in discussione
il concetto stesso di causa – effetto. Questo concetto conserva la
sua validità solo dove è possibile conoscere in tutti i suoi
aspetti un fenomeno. Ciò però avviene se riusciamo ad isolare
completamente un sistema. Cosa questa alquanto difficile.
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