Per una rifondazione della metafisica: critica della ragion postmoderna
Presentazione di Diego Fusaro
Che cos'è il sonno?
Il sonno è simile alla morte.
Dunque è meglio
vegliare, ed operare in modo
da restar vivi dopo
la morte, piuttosto che dormire,
facendosi in vita
simili ai morti. Come una giornata
ben spesa dà lieto
dormire, così una vita bene usata
dà lieto morire.
(Leonardo da Vinci,
Scritti
Letterari,
Rizzoli, Milano 1974)
Prefazione
di Vincenzo Musso
Il
lettore di questo saggio “anomalo” si imbatterà, ad un certo
punto, in un dialogo, strutturato proprio come negli scritti
filosofici dell'antichità classica. Con la differenza, però, che i
due dialoganti non saranno dei simposiasti, bensì, più modernamente
e – forse – più prosasticamente, soltanto due amici che prendono
amabilmente un caffè espresso insieme e, nel contempo, in
un'atmosfera un po' improbabile, discutono della necessità, per
l'uomo d'oggi, di un recupero della metafisica. È Andrea, il
filosofo tra i due, che avverte questa esigenza, mentre Vincenzo si
mostra scettico non tanto e non solo su di essa, ma proprio sulle
possibilità di ascolto che un siffatto messaggio oggi potrebbe
riscontrare. Vincenzo nel dialogo rimane, al modo di certi scritti
platonici o aristotelici, una figura piuttosto sfumata, pressoché
esclusivamente finalizzata a permettere all'interlocutore la
manifestazione di tutte le sue idee e i suoi ragionamenti, ma la sua
opposizione pragmatica e opportunistica alla battaglia
donchisciottesca di Andrea risulta dall'autore del saggio
adeguatamente tratteggiata.
É
trasparente che Andrea sia l'autore stesso. Vincenzo sono io. E io
realmente ho manifestato forti perplessità sulla possibile
collocazione nel mercato di un'opera del genere, e perplessità
ancora più forti sull'utilità – come dire? – spirituale
di essa. È veramente necessario per l'umanità il recupero alla e
della metafisica? Veramente essa costituisce un risveglio dell'essere
umano alla sua più intima natura? E quali sarebbero le modalità e
gli strumenti con cui egli attuerebbe questa sua natura e ne
fruirebbe?
Ecco,
qui si profila una delle novità di questo breve ma intenso testo.
L'essere umano ha forse il bisogno di ridefinire le modalità con cui
egli si palesa come “metafisico”, ma non quello di individuare
gli strumenti per palesarsi tale. Ciò perché egli per se stesso è
“metafisico”: se non fosse metafisico, non potrebbe configurarsi
nemmeno come uomo o donna, ma sarebbe connotato da una condizione
fisica, psichica e psicologica di ferinità. Nel momento in cui
perviene alla consapevolezza di possedere una relativa affinità (se
non identità) fisio-biologica col mondo animale e nel contempo una
diversa forma psico-fisica rispetto allo stesso, a quel punto e non
un attimo prima, egli si colloca in una dimensione che è oltre la
natura, che è metafisica.
La chiave di volta nella propria esistenza, quella che ci consacra
esseri metafisici, è l'esperienza della morte altrui, che ci
restituisce l'altro come individuo di cui saggiamo drammaticamente e
tragicamente la mancanza, e che ci permette di autoidentificare noi
stessi come individui. Va da sé che una tale prospettiva costituisce
in sé un inno alla fratellanza universale.
L'individuo
dunque nasce insieme al sorgere della consapevolezza di sé, la quale
scaturisce dal rispecchiamento del singolo nel pietrificarsi del
volto di chi muore, e si traduce in coscienza.
Quando la coscienza viene addormentata svanisce insieme la
consapevolezza di sé, e con essa quella dell'altro che mi sta vicino
o che è da me lontano. Questa perdita di consapevolezza riporta
l'essere umano ad uno stadio di ferinità, perché lo priva
dell'unico metro di valutazione che possedeva: la conoscenza della
morte. Egli non mantiene più così la padronanza della propria
vita, che diventa soltanto un esserci senza protagonismo. Su questo,
l'Andrea-autore non è esente da una disillusione, delicata e
drammatica, che a tratti assurge alla dimensione di rabbia, la quale
è temperata da una forte tensione morale che non la fa tracimare mai
in ira: è nient'altro che il decadimento delle illusioni coltivate
dagli animi che vorrebbero essere nobili, che vorrebbero volare alto.
Essi, tuttavia, ineluttabilmente conoscono l'attrito greve e
sanguinoso di una realtà – sociale, economica, culturale – che
ha voluto rifiutare la poesia, la metafisica, per ricercare un bello
che acquisisce senso quasi esclusivamente (o forse del tutto) nel
possesso. Questo viene considerato, in modo volgare e ferino, la
concretazione più genuina del potere.
Il
messaggio dell'autore, a questo punto, sembrerebbe essere che solo la
metafisica ci può salvare. Realmente però egli si lascia sedurre
dal desiderio di lanciare un proclama che nulla ha di profetico, ma
solo di malinconico, di deja
vu
e, pertanto, trattandosi di pensiero esistenzialista, di deficitario
e di stolto? No.
È
vero che il filosofo-autore traspone a personaggio della sua opera
colui che nella vita è il suo più grande amico, e lo elegge a
oppositore delle sue tesi. Ma l'operazione che egli conduce è
analoga a quella che Petrarca effettuò nel Secretum.
Ivi il poeta poneva a dialogare due soggetti, Francesco e Agostino.
Tuttavia, pur facendo riferimento Francesco a Petrarca stesso e
Agostino al santo omonimo, i due personaggi altro non erano che due
parti, tra loro anche contraddittorie, costituenti l'unità della
persona del poeta. Nel nostro caso, Andrea è l'autore e Vincenzo il
suo amico. Entrambi, però, in verità, nella trasposizione si
traducono in due immagini simmetriche e opposte di Andrea: l'Andrea
che intuisce e l'Andrea che frena, l'Andrea che sviluppa un'ipotesi e
pone una tesi e l'Andrea che falsifica i risultati raggiunti e oppone
un'antitesi. In questo processo di dialettica interna al soggetto
pensante stesso e di polarizzazione delle parti dell'io
intellettuale, peraltro credo poco o nient'affatto consapevole, c'è
spazio anche per l'autoridimensionamento, quindi per una nota
sottilmente ironica: si tratta dell'Andrea che si prende sul serio al
punto da esaltarsi e farsi possedere dal démone, e dell'Andrea che
rintuzza, sminuisce, indica con apparente flagranza le debolezze.
Alla
fine, però, prevale l'Andrea della lucida visionarietà, quello che
indica l'orizzonte e che vi si vuole dirigere a vele spiegate, nella
precisa volontà di raggiungere il
senso,
che è la padronanza del proprio tempo e del proprio spazio, il
protagonismo nella propria vita, il coraggio e – in modo forse un
po' ingenuo – la distanza netta dal compromesso.
Potete richiederlo a
http://www.ilprato.com/
http://www.centotalleri.eu.org/cusimano.html
http://www.lafeltrinelli.it/libri-scienze-umane-cusimano-andrea/c-1101/1246271/1/
Potete richiederlo a
http://www.ilprato.com/
http://www.centotalleri.eu.org/cusimano.html
http://www.lafeltrinelli.it/libri-scienze-umane-cusimano-andrea/c-1101/1246271/1/
Nessun commento:
Posta un commento