giovedì 6 settembre 2012

Strutturalismo.


Con il termine strutturalismo si definisce una corrente di pensiero che si sviluppa a partire dal secondo dopoguerra e che ha diffusione in special modo in Francia nel campo della critica letteraria, dell'antropologia, dell'etnologia, della psicologia, della sociologia e del marxismo. Un contributo importante allo strutturalismo proviene dalla scuola dei formalisti russi, dalla scuola linguistica di Praga e dagli studi semiotici sviluppatesi negli Stati Uniti d'America. Di notevole importanza sono anche gli apporti della psicologia della forma e della sociologia ad opera di Durkheim.
Tutti questi contributi si sono finalizzati al superamento delle concezioni puramente associazionistiche e atomistiche della vita psichica e della realtà sociale.
Lo strutturalismo non si viene a configurare come una vera e propria scuola, bensì come un indirizzo di pensiero a cui contribuiscono varie personalità. Tutte queste concepiscono la realtà come delle totalità, ossia come delle strutture, all'interno delle quali le parti si costituiscono e acquisiscono significato e assumono un certo valore. Possiamo, a chiarimento di ciò, fare l'esempio con una scacchiera, dove un pezzo ha un certo valore perché rientra in quel determinato gioco con delle precise funzioni, e non per la sua qualità intrinseca di essere un pezzo di legno, di avorio, di metallo, di ceramica, ecc.
Ciò non significa che la struttura sia un qualcosa di statico, ma chiarisce soltanto il fatto che ogni sistema è costituito ed è regolato strutturalmente, ossia secondo delle regole di quella struttura specifica, che sono, al contempo, il criterio della sua permanenza e della sua variazione.
Ferdinand De Saussure (1857 – 1913), linguista svizzero, fu autore di un importante Corso linguistico generale, postuma, del 1916.
L'opera di De Saussure nasce dall'intento di portare la linguistica a livello di scienza tramite il metodo dello strutturalismo. Egli non rinnega la validità e gli importanti contributi apportati in campo linguistico dalle correnti romanticistiche e storicistiche. Ritiene, però, che esse si siano soffermati e basati sostanzialmente su un metodo comparativo, senza affrontare il problema di cosa effettivamente sia e costituisca il fatto linguistico. Per adempiere a tale fine bisogna effettuare una distinzione ben precisa tra ciò che nel linguaggio è stabile da ciò che è in evoluzione e da ciò che è individuale da ciò che è sociale. Bisogna, inoltre, chiarire che il linguaggio si differenzia tra lingua e parola. La lingua, infatti, è un qualcosa di sociale, dotata di una propria struttura che non dipende dall'uso del soggetto parlante, ossia dalla parola. Inoltre, la lingua esiste all'interno di una comunità come un insieme di segni che possono essere studiati in modo oggettivo.
In tal senso la lingua è una vera e propria “istituzione sociale”, analoga alla scrittura, all'alfabeto dei sordomuti, ai riti simbolici, ai segnali militari, e, in quanto tale, deve essere considerata all'interno di quella disciplina che prende il nome di semiologia, ossia come studio della vita dei segni nella vita sociale. Per quanto concerne il segno linguistico bisogna evitare una concezione della lingua che la riduca a semplice nomenclatura, ossia ad una semplice lista di termini corrispondenti ad altrettante cose. Ed infatti, il segno linguistico non connette una cosa ad un nome, ma, più precisamente, un concetto ad una immagine acustica. L'immagine acustica, a sua volta, non è il suo suono materiale, come realtà puramente fisica, ma la traccia psichica di questo suono. Il segno linguistico, quindi, è una entità psichica a due facce (concetto ed immagine linguistica) che non deve essere ridotto, come avviene spesso, all'immagine acustica. Per evitare qualsiasi tipo di confusione e di ambiguità in merito bisogna “conservare la parola segno per designare il totale, e di rimpiazzare concetto ed immagine acustica rispettivamente con significato e significante, poiché questi due ultimi termini hanno il vantaggio di rendere evidente l'opposizione che li separa tra di loro, sia dal totale di cui fanno parte”.
La linguistica si esprime nella forma della sincronia e della diacronia. La prima studia i segni secondo l'asse della simultaneità, la seconda secondo l'asse della successione, ciò significa che i segni vengono studiati o nella loro evoluzione o prescindendo da essa.
L'evoluzione interessa sempre un sistema ben preciso retto da regole logiche e psicologiche. Conseguentemente il sistema linguistico muta sempre nel suo complesso, anche se tale mutamento può iniziare da una delle sue parti piuttosto che da un'altra.
La lingua, infatti, non è l'espressione di un pensiero già formato in sé, ma piuttosto il risultato di differenze concettuali e foniche che si stabiliscono e che si definiscono all'interno di quel sistema che è la lingua stessa.
Inoltre, un segno non ha importanza per quello che rappresenta in sé, ma piuttosto per quello che lo differenzia da tutti gli altri, alla stessa maniera di un pezzo di scacchi che assume una funzione ben precisa non mai in maniera isolata, ma solo all'interno di quel gioco, in rapporto alla funzione degli altri pezzi.
Un segno, quindi, acquisisce senso soltanto all'interno di un contesto sociale, ossia nell'uso e nel consenso generale. Uso e consenso che vanno al di là del singolo individuo, che, a sua volta, giunge a tale senso solo dopo un faticoso esercizio di apprendimento.
In tale prospettiva la linguistica può istituirsi come scienza. Ed infatti, essa riconosce l'arbitrarietà e la socialità della lingua come un sistema costituito e regolato da strutture formali autonome e costanti.
Claude Levi – Strauss (1908 – 2009) fu un etnologo francese. Tra le sue opere abbiamo: Le strutture elementari della parentela, del 1949; Tristi tropici, del 1955; Antropologia strutturale, del 1958; Il pensiero selvaggio, del 1962; Il crudo e il cotto, del 1964; Dal miele alle ceneri, del 1966; L'origine delle buone maniere a tavola, del 1968; L'uomo nudo, del 1971; Antropologia strutturale due, del 1973; Lo sguardo da lontano, del 1983; Parole date. Le lezioni al College de France e all'Ecole pratique de hautes etudes, del 1951 – 1982, pubblicate nel 1984 e, infine, La vasaia gelosa. Il pensiero mitico delle due Americhe, del 1985.
Per Levi – Strauss le condizioni che hanno permesso alla linguistica di istituirsi come scienza, ossia il considerare la lingua come una struttura che ha carattere di sistema, dove una qualsiasi modificazione al suo interno comporta la modificazione di un qualcos'altro, lascia aperta il passaggio dalle scienze esatte alle scienze umane, permettendo cosi' di garantire scientificità all'antropologia e all'etnologia.
La vita delle comunità arcaiche e primitive può essere, infatti, studiata in chiave comunicazionistica. Ciò perché la comunicazione non deve avvenire necessariamente mediante l'uso di segni linguistici, ma può attuarsi anche tramite scambi simbolici, come avviene nei rapporti di parentela.
Da tale punto di vista diviene possibile andare a costruire dei modelli rigorosamente logici che spiegano i costumi matrimoniali e i conseguenti rapporti di parentela (marito – moglie, fratello – sorella, padre – figlio, zio materno – figlio della sorella, ecc.) e, più in generale, consentono di prevedere le conseguenze delle modifiche dei termini nei modelli stessi.
In questa maniera l'antropologia e l'etnologia diventano una sorta di psicologia più complessa che permette di portare alla luce i modelli fondamentali in cui si organizzano in maniera inconsapevole le società. Modelli che non sono ovviamente infiniti e che conservano una certa costanza e similarità sia nei popoli detti civili, che in quelli detti primitivi.
Jacques Lacan (1901 – 1981), fu psicoanalista e filosofo francese, autore degli Scritti, del 1966 e a partire dal 1973 dei Seminari.
L'opera di Lacan è finalizzata allo sviluppo delle opere di Freud mediante le conquiste della linguistica strutturale. L'applicazione del metodo strutturale alla psicoanalisi di tipo freudiana è indirizzata all'istituzione di quest'ultima a disciplina scientifica.
In maniera più esatta, si tratta di mettere in evidenza che la psicoanalisi si basa su una concezione dell'inconscio come linguaggio. Conseguentemente le opere di Freud possono essere considerate dei testi di linguistica ante litteram.
Solo in questa maniera possono essere superate le varie concezioni limitative e superficiali del concetto di inconscio, che è stato interpretato come un ostacolo alla realtà, come una delle tante stratificazioni dei diversi piani del soggetto o, ancora peggio, come una sorta di conflitto tra la sfera istintiva e le forze psichiche.
Questo nuovo punto di vista porta ad interpretare l'inconscio per quello che realmente è, ossia un discorso intersoggettivo e sociale. Per potere avviare una reale scienza del soggetto bisogna, però, svincolarsi da quelle dottrine che affermano l'autonomia del soggetto. Ed infatti, si deve tenere sempre presente che nel formarsi della coscienza del fanciullo incide in maniera decisiva l'insieme dei simboli in cui si è costituito il discorso umano nella storia e nella società. Da questa prospettiva divengono perfettamente spiegabili in maniera adeguatamente simbolica e sociale anche tutti quei problemi squisitamente psicoanalitici, a partire dal complesso di Edipo, che rappresenta il dramma dell'uomo nel suo sforzo di diventare soggetto, di entrare nell'ordine sociale. Soggetto che può divenire sociale solo se si inserisce in un ordine simbolico già ben strutturato, ossia in un regno della cultura che è andato a soppiantare quello della natura e dove il padre rappresenta la legge della società con tutti i suoi divieti.
La rilettura operata da Lacan dell'opera di Freud diviene più chiara se si tengono conto dei motivi hegeliani della Fenomenologia dello spirito, ossia della dialettica dell'appetito e del rapporto coscienza – autocoscienza – riconoscimento, da lui utilizzati.
In altri termini, il discorso intersoggettivo, entro il quale la coscienza si costituisce, è animato dalla forza dell'appetito, ossia dal desiderio di essere riconosciuto dall'altro.
Tale desiderio è realizzabile solo tramite il linguaggio, e cioè mediante il mondo dei simboli, che comporta l'umanizzazione o la disumanizzazione del soggetto, che attraverso i simboli cerca di realizzarsi o che si allontana necessariamente da se stesso.
L'uomo, quindi, scopre l'importanza dell'altro per la formazione della propria coscienza. Tutto quanto abbiamo detto, pertanto, si sintetizza nella concezione che l'uomo sia una struttura, una rete di simboli, che vuole essere riconosciuto nel suo rapporto con l'altro. Tra psicoanalisi e linguistica si viene ad instaurare una inevitabile collaborazione metodologica. Ciò perché entrambi studiano il simbolo come sintomo.
Michel Foucault (1926 – 1984) fu autore della Storia della follia nell'età classica, del 1963; de Le parole e le cose, del 1966; della Nascita della clinica, del 1969; de L'ordine del discorso, del 1970; de L'archeologia del sapere, del 1976; de L'uso dei piaceri, del 1984 e de La cura di sé, del medesimo anno.
Foucalt giunge ad una critica radicale delle scienze umane e del loro oggetto. Inoltre, la sua opera è intrisa di una serie di analisi suggestive riguardo alla storia della medicina e della scienza, della filosofia e del pensiero economico, dell'arte e della letteratura.
La sua opera, però, non ha un intento meramente storico circa l'origine delle scienze e delle idee. Per Foucault, infatti, si tratta di effettuare una “archeologia del sapere”.
L'archeologia del sapere è un tipo di studio di stampo strutturalistico sia dei sistemi di simultaneità sia di mutazioni necessarie che hanno determinato profonde variazioni culturali all'interno di un certo campo epistemologico e di una certa concezione del sapere. Una ricerca, quindi, che intende studiare le diverse condizioni, o, ancora meglio, dell'a priori storico che ha portato il sapere a configurarsi via via in modo diverso sia dal punto di vista metodologico quanto nel suo concretizzarsi nelle varie e diverse forme di conoscenza empirica.
Seguendo questo metodo di studio Foucault ravvisa due grandi discontinuità nell'episteme della cultura occidentale. La prima è quella inaugurata nell'età classica della scienza moderna, ossia nel XVII secolo, ed è tutta incentrata sul concetto di rappresentazione e sulla concezione della scienza come sistema di rappresentazioni regolate da relazioni reciproche. L'altra ha avuto come presago Kant, che ha posto le domande “che cosa posso sapere, che cosa devo fare, che cosa posso sperare?”. A questi tre quesiti ne va aggiunto un altro, e cioè “che cosa è l'uomo?”. Questo quesito inizia ad essere posto agli inizi del XIX secolo e segna l'avvento del sonno antropologico. Caratteristica di quest'epoca, la nostra epoca, o, meglio ancora, dell'epoca che oggi volge al tramonto, è il diffondersi di un profondo senso di storicità che investe ogni campo del sapere e che ha tolto al linguaggio rappresentativo il posto privilegiato che aveva riservato nell'epoca precedente. Ciò ha posto per la prima volta al centro del sapere l'uomo e con ciò ha promosso lo sviluppo delle scienze umane. L'uomo è, pertanto, per Foucault una invenzione estremamente recente, una sorta di “lacerazione nell'ordine delle cose, una semplice piega nel nostro sapere che sparirà non appena questo non avrà trovato una nuova forma”.
La controprova di ciò è data dal carattere fortemente ambiguo delle scienze umane, che si trovano sospese tra l'empirico e il trascendentale, tra la scienza esatta (che pretende di fondare) e la filosofia (che pretende di sostituire e occuparne il campo).
Ciò avviene perché le scienze umane sono rimaste ancora legate ad una concezione della scienza come sistema di rappresentazioni, pur essendo ormai scomparsa la fiducia riservata nell'età precedente al valore scientifico assoluto del linguaggio rappresentativo.
Dalla condanna delle scienze umane si salvano però la psicoanalisi, l'etnologia e la linguistica. Psicoanalisi ed etnologia, infatti, operano in maniera del tutto opposta alla scienze umane. Ed infatti, mirano a ciò che sta al di là della rappresentazione. La psicoanalisi si rivolge all'inconscio, che interpreta come momento inaccessibile alla conoscenza teorica e ne fa emergere quelle che sono le figure fondamentali ( la Morte, il Desiderio e la Legge). L'etnologia, invece, interrompe il discorso cronologico della continuità storica per individuare le correlazioni sincroniche, le invarianti di struttura delle diverse culture.
La psicoanalisi e l'etnologia, quindi, si salvano dal naufragio delle scienze umane e fanno emergere i limiti di queste ultime. Ciò perché la psicoanalisi e l'etnologia lavorano alla dissoluzione dell'uomo, e corrispondono alla morte dell'uomo, già intravista da Nietzsche con la morte di Dio, e operano in un contesto linguistico divenuto teoria generale del discorso.
Si ha un rapporto diretto tra scomparsa dell'uomo e ritorno del linguaggio, poiché l'uomo costituisce l'a priori storico della cultura degli ultimi due secoli, ma la sua, altro non è, che l'inserimento tra due modi di essere del linguaggio, quando il linguaggio, dopo essersi dissolto nella rappresentazione, ha creduto di potersene liberare frammentandosi. Una figura quella dell'uomo che è destinata ad essere cancellata se andrà accentuandosi quella rinascita del linguaggio di cui è testimonianza e promessa la linguistica come una forma del tutto nuovo di decifrare le cose.
Jacques Derrida (1930 – 2004) fu filosofo francese. Numerosissime sono le sue opere. Tra di esse le più importanti sono: Della grammatologia, del 1967; La scrittura e la differenza, del 1967; La voce e il fenomeno. Introduzione al problema del segno nella fenomenologia di Husserl, del 1967; Margini della Filosofia, del 1972; Posizioni, del 1972; La disseminazione, del 1972; La verità in pittura, del 1978; La cartolina postale. Da Socrate a Freud, del 1980; Dello spirito. Heidegger e la questione, del 1987 e Spettri di Marx del 1993.
Il confronto con lo strutturalismo porta Derrida a ritenere che la grammatologia, ossia la scienza della scrittura, sia lo strumento per affrontare le difficoltà in cui si è impigliata da secoli la filosofia.
L'opera di De Saussure viene interpretata in una duplice maniera da Derrida, che da un lato gli riconosce il merito di avere operato un nesso inscindibile tra significante e significato, ma, al contempo, critica il limite della distinzione tra signans e signatum. Ed infatti, tale distinzione fa pensare al signatum come ad un concetto dotato in se stesso di un proprio significato nella sua semplice presenza al pensiero.
Inaccettabile anche il privilegiare l'elemento fonetico del linguaggio rispetto alla scrittura. Privilegio questo connesso e conseguente ad una lunga tradizione del pensiero occidentale e al suo carattere logocentrico che annovera studiosi quali Platone, Aristotele, Rousseau, Hegel, Husserl. Tale privilegio dell'elemento fonetico del linguaggio rispetto alla scrittura porta a considerare quest'ultima come un qualcosa che sopravvive alla parola e che in qualche maniera la occulta e sclerotizza. Tutto ciò ha portato ad una elusione della scrittura dal campo della linguistica. Il nesso tra scrittura e linguaggio fonetico è qualcosa di molto settoriale e vi sono, inoltre, forme di scrittura diverse da quella fonetica. Questa impostazione, però, porta ad un problema ben più radicale e in un certo senso ontologico. Ed infatti, tale opposizione comporta l'opposizione tra un interno e un esterno e la convinzione che l'interno sia la verità come un dato, secondo uno schema analogo a quello che per Heidegger è stata nella storia della metafisica la riduzione dell'Essere all'ente nella sua presenzialità.
Questa prospettiva deve essere del tutto rovesciata. Ciò nel senso di ammettere come originaria una sorta di archistruttura che mantiene dello strutturalismo la concezione del linguaggio come gioco di differenze, ma esclude che queste differenze siano, per così dire, piovute dal cielo.
Proprio liberando la struttura da qualsiasi rigidità e considerando la struttura soggetta ad un continuo processo di trasformazione è possibile dare riconoscimento e sviluppo alle esigenze più legittime dello strutturalismo stesso.
Per comprendere meglio questa posizione bisogna riprendere il riferimento polemico alla concezione della verità come presenza enunciata da Heidegger.
Per un certo verso Derrida accetta le istanze heideggeriane circa la metafisica e la riduzione della verità alla rappresentazione dell'ente come presenza. Per altro verso, però, radicalizza tale critica per rivolgerla contro Heidegger stesso.
Con la nozione di differenza ontologica e del suo oblio in Heidegger, a parere di Derrida, rimane aperto uno spiraglio alla possibilità di un rapporto con l'Essere come un qualcosa di sussistente in sé al di là dell'ente, e, soprattutto, la concezione dell'opera d'arte come accadere della verità in una certa misura legittima ancora la concezione della verità come presenza. Da ciò anche la differenza della decostruzione di Derrida dalla distruzione di Heidegger della metafisica, a cui viene contrapposta. Il termine difference non può esser tradotto adeguatamente nella nostra lingua, forse, però, il concetto di differimento ne rende più aspetti.
Mentre la difference indicherebbe solo la differenza tra due termini, il termine difference è scelto per sottolineare che si tratta di qualcosa di processuale e temporalizzante, dove ogni termine acquisisce senso e sussiste solo in quanto tende a rinviare al da là di se stesso.
In tal senso nemmeno differimento rende bene l'idea, perché anche se contiene in sé il concetto di una dislocazione temporale, può essere interpretata come un atto più o meno arbitrario compiuto da un soggetto estrinseco e presupposto.
In realtà la difference qualifica intrinsecamente la scrittura poiché essa altro non è che un mondo di tracce, ciascuna delle quali a sua volta rinvia ad altre tracce, e non, come in una teologia negativa, ad un sottofondo inattingibile e ineffabile. La posizione di Derrida è qualificabile come testualismo (egli stesso ha detto “niente fuori del testo”), poiché non condivide l'illusione di un linguaggio nuovo o di un linguaggio perfetto, ma opera nella convinzione che l'intero ambito del linguaggio nel suo continuo differire o rinviare sia fonte inesauribile del processo decostruttivo.
Quindi, né metafisica e neppure superamento di essa, ma, piuttosto, grammatologia, e cioè una pratica che mette in luce e decodifica le componenti logocentriche sempre presenti nel linguaggio.

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