Edmund
Husserl
(1859 – 1938) si laurea nel 1883 in matematica con una tesi sul
calcolo delle variazioni. L'interesse per la filosofia e per la
logica nasce in lui con la conoscenza di Franz
Brentano.
La sua prima opera, Filosofia
dell'aritmetica,
del 1891, risente fortemente l'influenza del Brentano, in quanto in
essa viene sia criticata la credenza di fondare la matematica
esclusivamente in maniera logica, sia affermata la necessità di
tenere in considerazione i processi logici di astrazione. In seguito
Husserl si allontana dal psicologismo di Brentano, e già nel 1900
pubblica il primo volume delle Ricerche
logiche, in
cui afferma l'impossibilità di ridurre le leggi logiche a quelle
psichiche. Nel 1901, divenuto docente all'università di Gottinga,
pubblica il secondo volume delle Ricerche
logiche.
Nel
1911 pubblica il saggio Filosofia come
scienza rigorosa
e nel 1913 le Idee per una
fenomenologia pura e una filosofia fenomenologica.
Nel 1928 Martin Heidegger
pubblica La fenomenologia della
coscienza interna del tempo,
ossia le lezioni tenute da Husserl all'università di Friburgo.
Nel
1929 si hanno i due saggi Logica
formale e logica trascendentale
e Meditazioni
cartesiane.
Con
l'avvento del nazismo Husserl, essendo ebreo, viene radiato
dall'insegnamento. In questi anni lavora al saggio La
crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale,
che, rimasta interrotta per la morte sopravvenuta a Friburgo il 27
aprile del 1938, viene pubblicata postuma nel 1954. Molti altri
suoi scritti vennero pubblicati postumi. Tra di essi i più
importanti sono la Crisi, esperienza e
giudizio,
del 1939; la seconda e terza parte delle Idee,
del 1952 e la Filosofia prima,
del 1956 – 1959.
La
fenomenologia
è, a parere di Husserl, una scienza del tutto innovativa che intende
dare un rigoroso carattere di scientificità alla filosofia. Soltanto
dando carattere scientifico alla filosofia, infatti, si potrà
confutare l'opinione, ormai largamente diffusa,
che la filosofia sia il frutto di un atteggiamento sentimentale o di
prese di posizioni personali.
Dare carattere di rigore scientifico alla filosofia significa per
Husserl far sì che la filosofia possa dare una fondazione veramente
adeguata alle scienze, sia a quelle della natura che dello spirito.
Per dare il carattere di rigore scientifico alla
filosofia bisogna seguire un cammino del tutto inverso rispetto a
quello dei positivisti, che hanno pensato di fondare la scientificità
della filosofia rifacendosi e ancorandosi al metodo e ai risultati
delle scienze positive.
La filosofia, invece, deve procedere in maniera del
tutto diversa, ovvero deve comprendere come si è costituito quel
mondo naturale ed oggettivo a cui tutte le scienze fanno riferimento.
Per fare ciò deve analizzare e sviscerare a fondo la vita della
coscienza fino a scoprire il piano precategoriale, ossia quel piano
da cui si sono originate e da cui sono scaturite tutti i procedimenti
del pensiero e del giudizio, operanti mediante le categorie.
Per tale motivo, la filosofia si definisce in maniera
del tutto diversa alla psicologia. Ed infatti, mentre quest'ultima è
studio di dati di fatto inseriti in un contesto spazio – temporale;
la filosofia, invece, è la scienza delle essenze, ossia
scienza dei fenomeni depurati dai loro rapporti con il mondo esterno,
con il contesto spazio – temporale. Pertanto, la fenomenologia
si definisce come scienza dei fenomeni ridotti al loro carattere di
essenze. In tal senso, la fenomenologia si occupa dello studio
delle diverse regioni delle essenze, ossia dei loro diversi
raggruppamenti in scienze diverse.
Per Husserl il nostro modo di pensare non è un atto
originario, ma è il risultato di un processo storico che ha
costituito tutti quei parametri di interpretazione e comprensione del
mondo che oggi ci sembrano ovvi e scontati. Noi, infatti,
presupponiamo che la realtà sia lì dove l'abbiamo sempre vista, di
fronte a noi e a portata di mano. Questo modo di pensare è definito
da Husserl atteggiamento naturale. Ed è proprio tale
atteggiamento che Husserl mette in discussione mediante il metodo
fenomenologico, che consiste nel sospendere il giudizio su tutto ciò
che ci può apparire ovvio e scontato. La fenomenologia insegna ad
attuare l'epoché, ossia a mettere in discussione l'esistenza
di tutto ciò che ci sembra evidente ed indiscutibile, ivi compresa
l'esistenza di oggetti esterni e la dicotomia tra soggetto ed
oggetto. In poche parole, di mettere in discussione il cosiddetto
atteggiamento naturale.
L'epoché non è, però, una precauzione metodologica
per ricercare un sapere oggettivo che si fondi soltanto
sull'esperienza. L'epoché di Husserl, la messa in discussione
dell'esistenza degli oggetti esterni, è qualcos'altro. È molto di
più: è la messa in discussione non di questa o quella teoria, bensì
della pretesa naturalistica affermante che l'esperienza potrebbe
fondare un'autentica oggettività.
La fenomenologia insegna, pertanto, a rompere, mediante
l'epoché, quell'atteggiamento naturale da cui sono nate le varie
scienze per risalire alla funzione originaria della coscienza da cui
anche l'atteggiamento naturale è derivato. La fenomenologia di
Husserl è strettamente legata ad un certo tipo di concezione della
coscienza e del rapporto in cui essa è con i suoi contenuti.
L'esperienza, dice il nostro filosofo, si riferisce sempre a dei dati
di fatto, i quali, però, se presi in maniera singola, si pongono
innanzi a noi in modo del tutto casuale. Ed infatti, un suono che
ascolto, potrebbe essere qui, ma anche in un altro luogo e in un
altro momento. Ma al di là di quando e di dove percepisco il suono,
esso conserva sempre la sua essenza di suono. Quando, infatti,
ascoltiamo un suono, non solo abbiamo coscienza di quel dato suono,
ma anche di ciò che ne fa un suono, di ciò per cui quel suono è
suono. In altri termini, abbiamo coscienza della sua essenza.
Conseguentemente, non ho solo l'intuizione empirica dell'oggetto
individuale (in questo caso un suono), ma ho anche l'intuizione della
sua essenza, ossia l'intuizione eidetica (dal greco èidos
= essenza).
Per Husserl, quindi le essenze non sono astrazioni della
mente o costruzioni della coscienza, ma oggetti veri e propri di una
intuizione diversa da quella sensibile, anche se sempre collegata ad
essa. Per tale ragione, molti studiosi hanno parlato di platonismo di
Husserl. Questi, a sua volta, risponde alle critiche che gli vengono
avanzate dicendo che soltanto per puro pregiudizio non si vuole
accettare che la nostra coscienza non potrebbe operare se non
utilizzasse le essenze.
La fenomenologia di Husserl diviene comprensibile solo
se si tiene presente la sua concezione intenzionale della coscienza.
Concezione che riprende da Brentano, anche se non in maniera
integrale, e che sottolinea il fatto che la coscienza è sempre
un'attività intenzionale, ossia un'attività indirizzata a qualcosa.
Tale attività intenzionale può essere rivolta a termini tra loro
diversissimi, come un ricordo, un desiderio, un giudizio conoscitivo,
un apprezzamento estetico, un giudizio negativo, ecc. Quindi,
l'intenzionalità della coscienza non è un rapporto estrinseco tra
due termini tra loro separati, ossia soggetto ed oggetto; bensì una
correlazione tra la coscienza e ciò che le si manifesta. In tal
senso la fenomenologia di Husserl può giustamente esser considerata
come uno sviluppo dell'a priori kantiano. Ciò, però, a
condizione di non limitare l'a priori costitutivo dell'esperienza
alla forma di tempo e spazio, categorie ed idee, ma di considerare
come intenzionale l'intera attività e vita della coscienza.
Applicando il concetto di epoché giungiamo a mettere in
dubbio non solo i contenuti della coscienza, ma anche il suo stesso
atteggiamento naturale. Da questa posizione di dubbio metodico,
simile per certi versi a quello cartesiano, giungiamo alla scoperta
di un qualcosa, di un residuo, che si sottrae alla messa in
discussione. Giungiamo, infatti, ad una evidenza, ossia
all'universalità della funzione della coscienza come costituzione
del mondo. Per Husserl l'autocoscienza, la conoscenza di sé, è
strettamente connessa con la conoscenza dell'altro; ed è una
conoscenza sempre incarnata, ossia connessa con la consapevolezza
della propria corporeità. Una conoscenza, quindi, che non si
configura come astratta, ma vissuta in maniera concreta nel rapporto
con gli altri e che non può prescindere dal riferimento al mondo
della vita.
Husserl, quindi, identifica il termine fenomenologia con
tutto un sistema filosofico. Lambert usò per primo il termine
fenomenologia nel suo Nuovo Organo per indicare lo studio delle
apparenze. Il termine venne utilizzato in seguito da Hegel nella sua
Fenomenologia dello spirito. Qui il termine fenomenologia stava ad
indicare le tappe evolutive della coscienza umana, dallo stadio della
sensibilità a quello del sapere assoluto.
Husserl, però, a differenza di Lambert, ritiene che nei
fenomeni si possa cogliere delle essenze, e, a differenza di Hegel,
ritiene che i fenomeni non vadano descritti secondo una parabola
evolutiva che dia una significazione universale ad essi. Per Husserl
la fenomenologia si manifesta come un ritorno a ciò che è posto in
maniera immediata alla coscienza, ossia la forma o essenza dei
fenomeni.
Husserl, alla stessa maniera di Hegel, Nietzsche e, in
seguito, Heidegger, ritiene che, per una giusta interpretazione e
spiegazione dello sviluppo storico della civiltà europea, bisogna
rifarsi al mondo greco, e, nello specifico, alla figura dello
scienziato – filosofo, ossia dell'inventore di una forma di sapere
avente compiti infiniti.
Husserl,
ovviamente,
non nega che anche in altre culture vi siano avute scoperte e
invenzioni analoghe a quelle che hanno costituito le scienze in
Grecia, solo che ritiene che solo in Grecia si sia costituito un
sapere staccato da quello pratico. Un sapere, quindi, che, in quanto
avente soltanto una finalità conoscitiva e teoretica, rimane
staccato dagli interessi pratici e mitico – religiosi, e si apre a
tutti coloro che lo condividono. In Grecia,
pertanto, il sapere teoretico si rende del tutto autonomo, ed è
stato perseguito non per i vantaggi immediati che poteva offrire
(basta pensare alla geometria), ma con lo scopo di acquisire
un sapere
fine a se stesso. Un sapere contemplativo dalle infinite possibilità.
La
ricerca
di un sapere teoretico ha comportato la nascita di un metodo di
ricerca e di spiegazione che ha permesso di stabilire una sorta di
solidarietà tra coloro che vi si dedicavano, al di là dei diversi
luoghi di origine o delle diverse tradizioni storico – culturali.
Si è formata,
pertanto, una unità culturale ed epistemologica che, soprattutto nel
novecento, è entrata in crisi, così come è entrata in crisi la
fiducia nella ragione delle scienze naturali ed esatte.
La crisi del razionalismo europeo non deve
comportare un abbandono in toto della razionalità. Deve,
semmai, far suscitare l'interrogativo su quale tipo di razionalità è
entrata in crisi. Husserl, a tal proposito, non ha dubbi. Per lui è
entrata in crisi quel metodo razionalistico che interpreta la realtà
mediante un atteggiamento naturalistico ed oggettivistico.
Atteggiamento fondato sulla convinzione ingenua che l'universo
risponda esattamente con quanto la scienza considera oggettivo.
Questo metodo fa dimenticare, però, che la soggettività da cui
deriva la scienza non può essere conosciuta da nessuna scienza
oggettiva, naturalistica.
Diviene ovvio, pertanto, che anche le scienze dello
spirito sono in errore quando utilizzano le proprie energie per
ricercare un metodo che le faccia riconoscere come scienze oggettive,
alla stessa maniera delle scienze naturalistiche. Ed infatti, lo
spirito deve studiare se stesso, deve autoconoscersi per
comprendersi, per meglio interpretarsi. Ciò perché lo spirito,
comprendendosi, comprende anche il mondo come termine di riferimento
di un'operazione spirituale. Operazione questa che nessuna scienza è
stata capace di fare.
La crisi europea, quindi, non deriva da un fallimento
della ragione, bensì da una riduzione razionalistica della
razionalità a naturalismo ed oggettivismo. Tale crisi, se non
opportunamente superata, può sancire il “tramonto dell'Europa”.
Cosa questa che può essere evitata mediante la fenomenologia, ossia
lo studio delle forme originarie della razionalità. Solo così si
può avere una “rinascita dell'Europa”.
Nessun commento:
Posta un commento