Il
pragmatismo è una corrente nata in America verso il 1870 e diffusasi
in Europa all'inizio del novecento. Suo fondatore è Charles
Sanders Peirce (1839 – 1914), filosofo laureato in
chimica, il cui pensiero fu poco conosciuto in vita, per essere
ripreso e rivalutato dopo la morte. Tra le sue opere abbiamo il
saggio dal titolo Come rendere chiare le nostre idee, del
1878; lo scritto Che cos'è il pragmatismo e Questioni del
pragmatismo, entrambi pubblicati nel 1905.
Il
pragmatismo riprende la famosa distinzione kantiana tra pratico
(ossia ciò che concerne la morale e la libertà) e pragmatico (ossia
il nesso razionale tra fini e mezzi). Pragmatico, pertanto, definisce
una nuova concezione della verità e della scienza.
La
filosofia di Peirce prende spunto dalla teoria evoluzionista
darwiniana. Ciò lo porta a interpretare la vita come un complesso di
abitudini che tendono a conservarsi e consolidarsi. Abitudini che,
attraverso l'adattamento, superano la crisi a cui via via vanno
incontro. Il pragmatismo, quindi, non intende essere un pensiero
inteso come semplice e pura contemplazione, ma si configura sin da
subito come una filosofia finalizzata alla risoluzione di un
problema, di una crisi, intervenuta in un'abitudine. La crisi di
un'abitudine viene superata grazie all'uso di idee, ossia di progetti
capaci di promuovere delle abitudini più efficaci.
Peirce,
quindi, respinge la dottrina cartesiana affermante che le idee sono
chiare e distinte, e ritiene che la chiarezza, la distinzione delle
idee non possono essere le premesse del pensiero, bensì i risultati
conclusivi. Le idee, infatti, non possono essere colte mediante
l'introspezione e l'intuizione, ma considerando quali abitudini e
quali conseguenze producono. Questa concezione comporta il radicale
rovesciamento del concetto di verità e soprattutto del suo
riferimento temporale. Ed infatti, la verifica e la prova
dell'efficacia di una idea non può essere trovata nella semplice
conformità o meno a qualche fatto antecedente, ma nella verifica
dell'esito, ossia nel tempo, ovvero negli sviluppi futuri
dell'operazione guidata da quell'idea o da quell'ipotesi. Solo il
tempo, infatti, permette di valutare la nostra idea in termini di
successo o di insuccesso. Questa concezione di Peirce venne ben
presto accusata di predicare una filosofia del successo, una
filosofia che subordina il pensiero all'utilità pratica, una
filosofia che esalta l'azione per l'azione. Peirce, però, chiarisce
che la sua filosofia è proprio l'opposto, in quanto essa non
perseguita l'azione per l'azione, ma la razionalità dell'azione.
Razionalità dell'azione che può essere validata solo rendendosi
conto delle abitudini che ha generato; e se tali abitudini permettono
il conseguimento dei fini prestabiliti o se contrastano con essi.
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