lunedì 20 agosto 2012

Ludwig Wittgenstein


Ludwig Wittgenstein (1889 – 1951) fu autore del Tractatus logico – philosophicus, del 1922, delle Ricerche filosofiche, del 1953 e delle Osservazioni sui fondamenti della matematica, del 1956.
Ludwig Wittgenstein si inserisce nella diatriba sui problemi della logica e del linguaggio che si sviluppa all'inizio del novecento. La sua opera critica fortemente la possibilità stessa della filosofia, del suo compito e del suo linguaggio. La prima fase del pensiero di Wittgenstein si indirizza alla fondazione della matematica e della logica senza alcun ricorso ad istanze metafisiche, in special modo a quella metafisica che aveva trovato origine in Platone e che aveva raggiunto il suo apice con Hegel. Bisogna anche tenere presente che il pensiero di Wittgenstein si sviluppa all'interno del contesto inglese, che aveva maturato una filosofia fortemente ancorata all'esperienza e ai suoi dati.
In questa atmosfera assume un'importanza rilevante la "critica" del linguaggio, che deve assumersi il dovere e la necessita di sviluppare un linguaggio logicamente perfetto per mostrare se i problemi filosofici abbiano un senso o meno. Ciò può esser effettuato mostrando i limiti dell'espressione del pensiero. Cosa questa che può avvenire solo all'interno del linguaggio.
Per fare ciò bisogna constatare che il mondo è costituito da "fatti atomici", cioè oggetti semplici, così come il linguaggio consta di proposizioni elementari costituiti da nomi. Queste proposizioni, ovviamente, sono vere o false a seconda che si accordino o meno ai fatti a cui si riferiscono. Conseguentemente le "proposizioni molecolari", ossia quelle complesse, sono vere nella misura in cui sono veri i fatti atomici, ossia le proposizioni elementari che la costituiscono. La scienza naturale, pertanto, è la totalità delle proposizioni vere.
Ora, costruire le proposizioni significa compiere delle operazioni ben precise sui nomi, i quali vengono combinati tra di loro mediante delle precise regole logiche. Per tale motivo, le proposizioni hanno delle proprietà logiche. Il compito della logica, quindi, è quello di spiegare, di enunciare tali proprietà. La logica, tuttavia, non incrementa o rafforza in alcun modo il nostro pensiero, e, pertanto, non incrementa la filosofia rispetto alle altre scienze. Ciò perché le proposizioni logiche, pur dotate di senso, mancano di significato, ossia non dicono nulla nel senso che la verità affermata non può essere confutata o affermata dall'esperienza. Le proposizioni logiche, infatti, vanno giudicate solo in base alla loro forma, ovvero in base a quelle regole formali che devono essere rispettate nel costruire una affermazione, un giudizio, o quant'altro. La logica, occupandosi soltanto della corretta applicazione delle proprie regole formali, esprime espressioni tautologiche, ossia un tipo di proposizione che risulta vera qualunque cosa accada: ad esempio "nevica oppure non nevica". Conseguentemente, l'analisi del linguaggio porta a riconoscere come dotate di significato solo le proposizioni appartenenti alle scienze naturali. La filosofia tradizionale, quindi, non può costituirsi come dottrina perché le sue proposizioni sono tautologiche, in quanto prive di significato perché non riferibili a fatti, e sono anche prive di senso (pseudoconcetti), in quanto non sono nemmeno delle verità logiche. Le proposizioni della metafisica, pertanto, sono errori del linguaggio, e, in quanto tali, non si possono enunciare.
La filosofia, pertanto, deve costituirsi come quell'attività finalizzata alla chiarificazione delle proposizioni per dimostrare l'inconsistenza dei problemi filosofici.
A tal proposito Wittgenstein afferma che: "un'opera filosofica consiste essenzialmente di elucidazioni. Risultato della filosofia non è un insieme di proposizioni filosofiche, ma il chiarirsi di proposizioni. La filosofia deve rendere i pensieri, che altrimenti sarebbero nebulosi e confusi, chiari e nettamente delimitati".
Wittgenstein giunge a delle conclusioni che negano la natura stessa della filosofia. Chiare sono le sue parole a tal riguardo: "il vero metodo della filosofia consisterebbe propriamente nel non dire nulla, se non quello che si può dire, ossia le proposizioni della scienza naturale - e quindi qualcosa che non ha nulla a che fare con la filosofia - e poi sempre, quando qualcuno volesse dire qualcosa di metafisico, mostrargli che nelle sue proposizioni non ha dato alcun significato a certi segni".
L'opera di Wittgenstein si conclude con l'affermazione che anche le sue proposizioni sono soltanto chiarificatrici. Ciò deve apparire chiaro a coloro che hanno capito il suo pensiero e che, pertanto, devono superare tali proposizioni per innalzarsi al di sopra di esse. In altre parole, il lettore "deve superarle: allora ha la giusta visone del mondo. Di ciò di cui non si può parlare, si deve tacere".
In seguito Wittgenstein muta le affermazioni dette sopra. Si ha un cosiddetto "secondo Wittgenstein". Ed infatti, egli cambia prospettiva e rinuncia al presupposto che il linguaggio debba necessariamente esser spiegato, giudicato e costruito in base ad un rigido parallelismo con i "fatti atomici". Anche perché i "fatti atomici" sono sempre decontestualizzati, cioè colti in maniera artificiale e non nel loro reale svolgersi nella natura. Pertanto, cade la possibilità di costruire un linguaggio logicamente perfetto, e bisogna riconoscere i carattere intrinsecamente pluralistico di esso. In altre parole, il linguaggio è formato da una pluralità di linguaggi tra loro irriducibili, anche se legati da una maggiore o minore affinità o "aria di famiglia". Il linguaggio pertanto si configura in maniera dinamica, come una serie di "giochi linguistici", tra loro in parte simili e in parte diversi proprio come sono i giochi nel senso usuale de termine (i giochi di carte, i giochi di pallone, i giochi di scacchi, ecc.).
Da ciò deriva il fatto che la filosofia non ha alcuna funzione fondante, e non ha nemmeno un metodo, bensì una molteplicità di metodi. La filosofia, quindi, si configura come una sorta di terapia, di cura, a tutti quei problemi che si sono creati per un uso maldestro del linguaggio. Infatti, afferma Wittgenstein nelle Ricerche filosofiche, "noi stabiliamo delle regole, ossia una tecnica per un certo gioco e poi, quando seguiamo le regole, le cose non vanno come supponevamo. Rimaniamo, cioè, per così dire, irretiti nelle nostre stesse regole. Ed è proprio questo irretirci nelle nostre stesse regole che vogliamo capire...Diciamo, appunto, per esempio, quando affiora una contraddizione: <<non è questo che intendevo>>. Lo stato civile della contraddizione, ovvero quale posto essa occupi nel mondo civile: questo è il problema filosofico. La filosofia si limita a mettere tutto a nudo; essa non spiega e non conclude nulla".
L'adozione del concetto di "gioco linguistico" chiarisce che il linguaggio è convenzionale, e un certo tipo di linguaggio, di gioco linguistico è applicabile ad un campo del sapere e non ad un altro. Stando bene attenti a non confondere un campo con un altro, ed utilizzare un gioco linguistico, o parte di esso, al posto di un altro gioco linguistico, perché ciò provocherebbe usi maldestri del linguaggio e conseguenti problemi di significato.
Inoltre, come dice Wittgenstein, sempre nelle Ricerche filosofiche, " la nostra lingua si può considerare come una vecchia città: un labirinto di vicoli e piazzette, di case vecchie e nuove, di edifici parzialmente ricostruiti in tempi diversi; e tutto questo circondato da una quantità di nuovi sobborghi, con strade dritte e regolari nonché case tutte uguali".
Questa concezione del linguaggio permette di cogliere meglio il legame tra il linguaggio e la vita, e il perché si scelga di usare un tipo di linguaggio, un tipo di gioco linguistico, piuttosto che un altro. Questa concezione di linguaggio, oltre a spiegare il perché si adotti un linguaggio e non un altro, non si inquadra più soltanto in una serie di regole formali di coerenza, ma riporta alle forme di vita da cui deriva e a cui corrisponde. 

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