Ludwig
Wittgenstein (1889 – 1951) fu
autore del Tractatus logico – philosophicus,
del 1922, delle Ricerche filosofiche,
del
1953 e delle Osservazioni sui fondamenti della matematica,
del 1956.
Ludwig
Wittgenstein si inserisce nella diatriba sui problemi della logica e
del linguaggio che si sviluppa all'inizio del novecento. La sua opera
critica fortemente la possibilità stessa della filosofia, del
suo compito e del suo linguaggio.
La prima fase del pensiero di
Wittgenstein
si indirizza alla fondazione della matematica e della logica senza
alcun ricorso ad istanze metafisiche, in special modo a quella
metafisica che aveva trovato origine in Platone e che aveva raggiunto
il suo apice con Hegel. Bisogna anche tenere presente che il
pensiero di Wittgenstein si sviluppa all'interno del contesto
inglese, che aveva maturato una filosofia fortemente ancorata
all'esperienza e ai suoi dati.
In
questa atmosfera assume un'importanza rilevante la "critica"
del linguaggio, che deve assumersi il dovere e la necessita di
sviluppare un linguaggio logicamente perfetto per mostrare se i
problemi filosofici abbiano un senso o meno. Ciò può esser
effettuato mostrando i limiti dell'espressione del pensiero. Cosa
questa che può avvenire solo all'interno del linguaggio.
Per
fare ciò bisogna constatare che il mondo è costituito da "fatti
atomici", cioè oggetti semplici, così come il linguaggio
consta di proposizioni elementari costituiti da nomi. Queste
proposizioni, ovviamente, sono vere o false a seconda che si
accordino o meno ai fatti a cui si riferiscono. Conseguentemente le
"proposizioni molecolari", ossia quelle complesse,
sono vere nella misura in cui sono veri i fatti atomici, ossia le
proposizioni elementari che la costituiscono. La scienza naturale,
pertanto, è la totalità delle proposizioni vere.
Ora,
costruire le proposizioni significa compiere delle operazioni ben
precise sui nomi, i quali vengono combinati tra di loro mediante
delle precise regole logiche. Per tale motivo, le proposizioni hanno
delle proprietà logiche. Il compito della logica, quindi, è quello
di spiegare, di enunciare tali proprietà. La logica, tuttavia, non
incrementa o rafforza in alcun modo il nostro pensiero, e, pertanto,
non incrementa la filosofia rispetto alle altre scienze. Ciò perché
le proposizioni logiche, pur dotate di senso, mancano di significato,
ossia non dicono nulla nel senso che la verità affermata non può
essere confutata o affermata dall'esperienza. Le proposizioni
logiche, infatti, vanno giudicate solo in base alla loro forma,
ovvero in base a quelle regole formali che devono essere rispettate
nel costruire una affermazione, un giudizio, o quant'altro. La
logica, occupandosi soltanto della corretta applicazione delle
proprie regole formali, esprime espressioni tautologiche, ossia un
tipo di proposizione che risulta vera qualunque cosa accada: ad
esempio "nevica oppure non nevica". Conseguentemente,
l'analisi del linguaggio porta a riconoscere come dotate di
significato solo le proposizioni appartenenti alle scienze naturali.
La filosofia tradizionale, quindi, non può costituirsi come dottrina
perché le sue proposizioni sono tautologiche, in quanto prive di
significato perché non riferibili a fatti, e sono anche prive di
senso (pseudoconcetti), in quanto non sono nemmeno delle verità
logiche. Le proposizioni della metafisica, pertanto, sono errori del
linguaggio, e, in quanto tali, non si possono enunciare.
La
filosofia, pertanto, deve costituirsi come quell'attività
finalizzata alla chiarificazione delle proposizioni per dimostrare
l'inconsistenza dei problemi filosofici.
A
tal proposito Wittgenstein afferma che: "un'opera filosofica
consiste essenzialmente di elucidazioni. Risultato della filosofia
non è un insieme di proposizioni filosofiche, ma il chiarirsi di
proposizioni. La filosofia deve rendere i pensieri, che altrimenti
sarebbero nebulosi e confusi, chiari e nettamente delimitati".
Wittgenstein
giunge a delle conclusioni che negano la natura stessa della
filosofia. Chiare sono le sue parole a tal riguardo: "il vero
metodo della filosofia consisterebbe propriamente nel non dire nulla,
se non quello che si può dire, ossia le proposizioni della scienza
naturale - e quindi qualcosa che non ha nulla a che fare con la
filosofia - e poi sempre, quando qualcuno volesse dire qualcosa di
metafisico, mostrargli che nelle sue proposizioni non
ha dato alcun significato a certi segni".
L'opera
di Wittgenstein si conclude con l'affermazione che anche le sue
proposizioni sono soltanto chiarificatrici. Ciò deve apparire chiaro
a coloro che hanno capito il suo pensiero e che, pertanto, devono
superare tali proposizioni per innalzarsi al di sopra di esse. In
altre parole, il lettore "deve superarle: allora ha la giusta
visone del mondo. Di ciò di cui non si
può parlare, si deve tacere".
In
seguito Wittgenstein muta le affermazioni dette sopra. Si ha un
cosiddetto "secondo Wittgenstein". Ed infatti, egli
cambia prospettiva e rinuncia al presupposto che il linguaggio debba
necessariamente esser spiegato, giudicato e costruito in base ad un
rigido parallelismo con i "fatti atomici". Anche
perché i "fatti atomici" sono sempre
decontestualizzati, cioè colti in maniera artificiale e non nel loro
reale svolgersi nella natura. Pertanto, cade la possibilità di
costruire un linguaggio logicamente perfetto, e bisogna riconoscere i
carattere intrinsecamente pluralistico di esso. In altre parole, il
linguaggio è formato da una pluralità di linguaggi tra loro
irriducibili, anche se legati da una maggiore o minore affinità o
"aria di famiglia". Il linguaggio pertanto si
configura in maniera dinamica, come una serie di "giochi
linguistici", tra loro in parte simili e in parte diversi
proprio come sono i giochi nel senso usuale de termine (i giochi di
carte, i giochi di pallone, i giochi di scacchi, ecc.).
Da
ciò deriva il fatto che la filosofia non ha alcuna funzione
fondante, e non ha nemmeno un metodo, bensì una molteplicità di
metodi. La filosofia, quindi, si configura come una sorta di terapia,
di cura, a tutti quei problemi che si sono creati per un uso
maldestro del linguaggio. Infatti, afferma Wittgenstein nelle
Ricerche filosofiche, "noi
stabiliamo delle regole, ossia una tecnica per un certo gioco e poi,
quando seguiamo le regole, le cose non vanno come supponevamo.
Rimaniamo, cioè, per così dire, irretiti nelle nostre stesse
regole. Ed è proprio questo irretirci nelle nostre stesse regole che
vogliamo capire...Diciamo, appunto, per esempio, quando
affiora una contraddizione: <<non è questo che intendevo>>.
Lo stato civile della contraddizione, ovvero quale posto essa occupi
nel mondo civile: questo è il problema filosofico. La filosofia si
limita a mettere tutto a nudo; essa non spiega e non conclude nulla".
L'adozione
del concetto di "gioco linguistico" chiarisce che il
linguaggio è convenzionale, e un certo tipo di linguaggio, di gioco
linguistico è applicabile ad un campo del sapere e non ad un altro.
Stando bene attenti a non confondere un campo con un altro, ed
utilizzare un gioco linguistico, o parte di esso, al posto di un
altro gioco linguistico, perché ciò provocherebbe usi maldestri del
linguaggio e conseguenti problemi di significato.
Inoltre,
come dice Wittgenstein, sempre nelle Ricerche filosofiche,
" la nostra lingua si può considerare come una vecchia
città: un labirinto di vicoli e piazzette, di case vecchie e nuove,
di edifici parzialmente ricostruiti in tempi diversi; e tutto questo
circondato da una quantità di nuovi sobborghi, con strade
dritte e regolari nonché case tutte uguali".
Questa
concezione del linguaggio permette di cogliere meglio il legame tra
il linguaggio e la vita, e il perché si scelga di usare un tipo di
linguaggio, un tipo di gioco linguistico, piuttosto che un altro.
Questa concezione di linguaggio, oltre a spiegare il perché si
adotti un linguaggio e non un altro, non si inquadra più soltanto in
una serie di regole formali di coerenza, ma riporta alle forme di
vita da cui deriva e a cui corrisponde.
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