domenica 12 agosto 2012

Henri Bergson


Henri Bergson (1859 – 1941) si laureò in lettere e in matematica. Le sue due prime opere sono Quid Aristoteles de loco senserit e il Saggio sui dati immediati della coscienza. Nel 1896 pubblica il Materia e memoria. Tra le altre sue opere abbiamo L'evoluzione creatrice, del 1907; L'energia spirituale, del 1919; Durata e simultaneità, del 1922; Le due fonti della morale e della religione, del 1932, Il pensiero e il movente, del 1934; L'introduzione alla metafisica e L'intuizione filosofica. Nel 1928 gli venne conferito il premio Nobel.
Il pensiero di Bergson è in linea con quell'atteggiamento proprio di fine ottocento e di inizio novecento, ossia con quell'atteggiamento che accoglie e approfondisce le conquiste della scienza, ma che, al contempo, ne ridimensiona l'entusiasmo positivistico che aveva comportato delle conclusioni ingiustificate. In maniera generale, Bergson accetta le istanze evoluzionistiche e polemizza contro le concezioni affermanti la fissità e la rigidità della specie. L'evoluzionismo di Bergson, però, è contrario alle interpretazioni meccanicistiche, e cioè a quelle interpretazioni che spiegano l'evoluzionismo come un processo di associazione e di aggregazione di parti preesistenti. Al contempo, Bergson polemizza anche contro coloro che affermano il finalismo tradizionale, e cioè contro coloro che interpretano la molteplicità come il risultato di un piano intenzionale preesistente alla vita e alla specie. Ed infatti, il meccanicismo evoluzionistico e il finalismo tradizionale interpretano la vita e l'azione della natura secondo un modello che è tipico dell'intelligenza fabbricatrice di oggetti artificiali. Bisogna, pertanto, operare una distinzione ben precisa tra il concetto di fabbricare (tipico del modo di operare dell'intelligenza umana) e il concetto di organizzazione, ciò perché, come afferma Bergson, “la fabbrica va dalla periferia al centro; o meglio, direbbero i filosofi, dalla molteplicità all'unità, l'organizzazione al contrario va dal centro alla periferia. Comincia in un punto che corrisponde press'a poco a un punto matematico e si propraga intorno ad essi in onde concentriche che si allargano via via. Il lavoro di costruzione è tanto più efficace quanto maggiore è la quantità di materiale a disposizione. Procede per concentrazione e compressione quello di organizzazione, invece, ha qualcosa di esplosivo; gli occorre da principio il minor spazio possibile, un minimum di materia, come se le forze organizzatrici non entrassero nello spazio che loro malgrado. Lo spermatozoo che mette in movimento tutto il processo evolutivo della vita embrionale, è una delle più piccole cellule dell'organismo”.
Bergson afferma che il merito dell'evoluzionismo è quello di avere compreso che la vita si sviluppa da forme di vita più semplici a più complesse. Questo sviluppo, però, non è un processo meccanico di mero adattamento all'ambiente e nemmeno un processo in cui sopravvive il più forte; è, semmai, una continua invenzione e creazione di forme nelle quali la vita si manifesta. In tal senso Bergson parla di evoluzione creatrice.
L'evoluzione creatrice rivaluta il concetto di tempo e lo ridefinisce in senso vitalistico. Ed infatti, il tempo per il meccanicismo e per il finalismo non è altro che una ripetizione di processi, e, pertanto, si manifesta come un qualcosa di irrilevante rispetto alla struttura di ciò che la vita realizza, ossia una invenzione continua di forme organiche. Questa concezione del tempo porta il Bergson a polemizzare con la psicologia di tipo associazionistico. Ed infatti, analizzando i dati immediati della coscienza si intuisce che essa non si presenta mai in singole parti, ma in una unità profonda, dove le parti sono solo il risultato di un processo di analisi. Inoltre il meccanicismo presuppone una reversibilità delle entità spaziali. Questo processo di reversibilità è impossibile nel tempo vissuto dalla coscienza. Bisogna, quindi, operare una distinzione tra il tempo vissuto, proprio della coscienza, e il tempo spazializzato (quello della clessidra, dell'orologio, ecc.) che serve esclusivamente per scopi pratici e scientifici, ma non ha nessuna consistenza reale. Il tempo spazializzato, infatti, è frutto di una operazione dell'intelligenza per finalità descrittive. Il tempo vissuto ha come sua dimensione determinante la memoria, la quale opera una distinzione ben precisa con il tempo spazializzato. All'interno della memoria, infatti, confluisce tutto il tempo passato, che, ovviamente, non può essere reversibile. Per tale ragione non possiamo più ripetere un'esperienza già precedentemente vissuta. Per esempio, se torniamo in una città conosciuta o se rileggiamo un libro, non possiamo avere le stesse emozioni e sensazioni della volta precedente. Non possiamo, quindi, come già detto, ripetere l'esperienza precedentemente vissuta. L'accentuazione dell'importanza della memoria comporta una polemica contro le tendenze materialistiche volte a ridurre la memoria (e quindi la coscienza) ad un organo specifico (il cervello) e a localizzarlo in esso. Tra il cervello e la memoria esiste un rapporto di solidarietà, come tra la punta e la lama di un coltello, ma mai di identità. Il rapporto cervello – memoria, ossia materia – divenire, spiega il perché la vita da un lato è slancio e invenzione, e dall'altro cristallizzazione, ossia necessaria tendenza ad arrestarsi. La tensione tra la vita e la materia spiega la differenza tra l'istinto e l'intelligenza, ossia tra la capacità innata di adoperare uno strumento naturale organico e la capacità di applicare strumenti inorganici, ossia artificiali. L'istinto e l'intelligenza operano tra loro in maniera opposta, anche se l'istinto genera quei bisogni e scopi necessari all'intelligenza affinché essa possa trovare da sola tutte quelle cose che altrimenti non sarebbe mai portata a cercare. È da dire, però, che l'intelligenza va ben al di là della semplice soluzione di bisogni fisiologici contingenti, come il ricercare il cibo perché si avverte la fame. Ed infatti, la soluzione di un problema comporta tutta un'altra serie di problemi e di idee. Ad esempio, la semplice misurazione dei terreni ha fatto nascere la geometria, i cui compiti e teoremi vanno ben oltre i semplici problemi contingenti. L'intelligenza, però, può operare solo per analisi, ossia scomponendo gli elementi di un processo per studiarli e interpretarli, ma non può in alcun caso cogliere la vita. L'uomo, però, non è capace solo di analisi, e, quindi, di intelligenza, ma anche di intuizione, ossia di una visione unitaria che va dal semplice al complesso, dall'unità alla molteplicità,. L'intuizione è, infatti l'organo della metafisica, ossia della conoscenza, della presa di coscienza, della realtà come vita e come evoluzione creatrice.
Anche nella vita morale, religiosa e sociale abbiamo una contrapposizione tra una forza creatrice, che opera come emozione produttiva di nuove forme di morale, di religione e di società, ed una forma di cristallizzazione che opera nel mantenimento delle raggiunte acquisizioni. In tal senso si ha una contrapposizione tra una morale aperta, come quella del Vangelo che si configura come slancio di carità, ed una morale chiusa, frutto di norme codificate ed abitudini; tra una religione dinamica, che si sviluppa in processi spirituali sempre più alti, ed una religione statica, che si regola in riti e culti; tra una società aperta, volta al raggiungimento di una democrazia che si basa su motivi semplici e genuini, ed una società chiusa, in cui gli uomini vivono legati tra loro in un atteggiamento di difesa. Bergson afferma che queste due forme di morale, di religione e di società non possono essere eliminate perché fanno parte entrambe della vita. Possono, però, essere equilibrate.

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