Henri
Bergson
(1859 – 1941) si laureò
in lettere e in matematica. Le sue due prime opere sono
Quid Aristoteles de loco senserit
e il Saggio sui dati immediati della
coscienza.
Nel 1896 pubblica
il Materia e memoria.
Tra le altre sue opere abbiamo L'evoluzione
creatrice,
del 1907; L'energia spirituale,
del 1919; Durata e simultaneità,
del 1922; Le due fonti della morale e
della religione,
del 1932, Il pensiero e il movente,
del 1934; L'introduzione
alla metafisica e
L'intuizione filosofica.
Nel 1928 gli venne conferito il premio Nobel.
Il
pensiero di Bergson è in linea con quell'atteggiamento proprio di
fine ottocento e di inizio novecento, ossia con quell'atteggiamento
che accoglie e approfondisce le conquiste della scienza, ma che, al
contempo, ne ridimensiona
l'entusiasmo
positivistico che aveva comportato delle conclusioni ingiustificate.
In maniera generale, Bergson
accetta le istanze evoluzionistiche e polemizza contro le concezioni
affermanti la fissità
e la rigidità della specie. L'evoluzionismo di Bergson, però, è
contrario alle interpretazioni meccanicistiche,
e cioè a quelle interpretazioni che spiegano l'evoluzionismo come un
processo di associazione e di aggregazione di parti preesistenti. Al
contempo, Bergson polemizza anche contro
coloro che affermano il finalismo tradizionale, e cioè contro
coloro che interpretano la molteplicità come il risultato di un
piano intenzionale preesistente alla vita e alla specie. Ed infatti,
il meccanicismo
evoluzionistico
e il finalismo
tradizionale
interpretano
la
vita e
l'azione
della natura secondo un modello che è tipico dell'intelligenza
fabbricatrice
di oggetti artificiali. Bisogna,
pertanto, operare una distinzione ben precisa tra il concetto di
fabbricare
(tipico del modo di operare dell'intelligenza umana) e il concetto di
organizzazione,
ciò perché,
come afferma Bergson, “la
fabbrica va dalla periferia al centro; o meglio, direbbero i
filosofi, dalla molteplicità all'unità, l'organizzazione al
contrario va dal centro alla periferia. Comincia in un punto che
corrisponde
press'a poco a un punto matematico e si propraga intorno ad essi in
onde concentriche che si allargano via via. Il lavoro di costruzione
è tanto più efficace quanto maggiore è la quantità di materiale a
disposizione. Procede per concentrazione e compressione quello di
organizzazione, invece, ha qualcosa di esplosivo; gli occorre da
principio il minor spazio possibile, un minimum
di materia, come se le forze organizzatrici non entrassero nello
spazio che loro malgrado. Lo spermatozoo che mette in movimento tutto
il processo evolutivo della vita embrionale, è una delle più
piccole cellule dell'organismo”.
Bergson
afferma che il merito dell'evoluzionismo è quello di avere compreso
che la vita si sviluppa da forme di vita più semplici a più
complesse. Questo sviluppo, però, non è un processo meccanico di
mero adattamento all'ambiente e nemmeno un processo in cui sopravvive
il più forte; è, semmai, una continua invenzione e creazione di
forme nelle quali la vita si manifesta. In tal senso Bergson parla di
evoluzione
creatrice.
L'evoluzione
creatrice rivaluta il concetto di tempo e lo ridefinisce in senso
vitalistico. Ed infatti, il tempo per il meccanicismo e per il
finalismo non è altro che una ripetizione di processi, e, pertanto,
si manifesta come un qualcosa di irrilevante rispetto alla struttura
di ciò che la vita realizza, ossia una invenzione continua di forme
organiche. Questa concezione del tempo porta il Bergson a polemizzare
con la psicologia di tipo associazionistico. Ed infatti, analizzando
i dati immediati della coscienza
si intuisce che essa non si presenta mai in singole parti, ma in una
unità profonda, dove le parti sono solo il risultato di un processo
di analisi. Inoltre il meccanicismo presuppone una reversibilità
delle entità spaziali. Questo
processo di reversibilità è impossibile nel
tempo vissuto dalla coscienza. Bisogna,
quindi, operare una distinzione tra il tempo
vissuto,
proprio della coscienza, e il tempo
spazializzato
(quello della clessidra, dell'orologio, ecc.) che serve
esclusivamente per scopi pratici e scientifici, ma non ha nessuna
consistenza reale. Il tempo spazializzato, infatti, è frutto di una
operazione dell'intelligenza per finalità descrittive. Il tempo
vissuto
ha come sua dimensione determinante la memoria, la quale opera una
distinzione ben precisa con il tempo spazializzato. All'interno della
memoria, infatti, confluisce tutto il tempo passato, che, ovviamente,
non può essere reversibile. Per tale ragione non possiamo più
ripetere un'esperienza già precedentemente vissuta. Per esempio, se
torniamo in una città conosciuta o se rileggiamo un libro, non
possiamo avere le stesse emozioni e sensazioni della volta
precedente.
Non possiamo, quindi, come già detto, ripetere l'esperienza
precedentemente vissuta. L'accentuazione dell'importanza della
memoria comporta una polemica contro le tendenze materialistiche
volte a ridurre la memoria (e quindi la coscienza) ad un organo
specifico (il cervello) e a localizzarlo in esso. Tra il cervello e
la memoria esiste un rapporto di solidarietà, come
tra la punta e la lama di un coltello, ma mai di identità.
Il rapporto cervello – memoria, ossia materia – divenire, spiega
il perché
la vita da un lato è slancio e invenzione,
e dall'altro cristallizzazione, ossia necessaria tendenza ad
arrestarsi. La tensione tra la vita e la materia spiega la differenza
tra l'istinto e l'intelligenza, ossia tra la capacità innata di
adoperare uno strumento naturale organico e la capacità di applicare
strumenti inorganici, ossia artificiali. L'istinto e l'intelligenza
operano tra loro in maniera opposta, anche se l'istinto genera quei
bisogni e scopi necessari all'intelligenza
affinché
essa possa
trovare da sola tutte quelle cose che altrimenti non sarebbe mai
portata a cercare. È da dire, però, che l'intelligenza va ben al di
là della semplice soluzione
di bisogni fisiologici contingenti, come il ricercare il cibo perché
si avverte la fame. Ed infatti, la soluzione di un problema comporta
tutta un'altra serie di problemi e di idee. Ad esempio, la semplice
misurazione dei terreni ha fatto nascere la geometria, i cui compiti
e teoremi vanno ben oltre i semplici problemi contingenti.
L'intelligenza, però, può operare solo per analisi, ossia
scomponendo gli elementi di un processo per studiarli e
interpretarli, ma non può in alcun caso cogliere la vita. L'uomo,
però, non è capace solo di analisi, e, quindi, di intelligenza, ma
anche di intuizione,
ossia di una visione unitaria che va dal semplice al complesso,
dall'unità alla molteplicità,. L'intuizione è, infatti l'organo
della metafisica, ossia della conoscenza, della presa di coscienza,
della realtà come vita e come evoluzione creatrice.
Anche
nella vita morale, religiosa e sociale abbiamo una contrapposizione
tra una forza
creatrice,
che opera come emozione produttiva di nuove forme di morale, di
religione e di società, ed una forma di cristallizzazione che opera
nel mantenimento delle raggiunte acquisizioni.
In tal senso si ha una contrapposizione tra una morale
aperta,
come quella del Vangelo che si configura come slancio di carità, ed
una morale
chiusa,
frutto di norme codificate ed abitudini; tra una religione
dinamica,
che si
sviluppa in processi spirituali sempre più alti,
ed una
religione statica,
che si regola in riti e culti; tra una società
aperta,
volta al raggiungimento di una democrazia che si basa
su motivi semplici e genuini, ed una società
chiusa,
in cui gli uomini vivono legati tra loro in un atteggiamento di
difesa. Bergson afferma che queste due forme di morale, di religione
e di società non possono essere eliminate perché
fanno parte entrambe della vita. Possono, però, essere equilibrate.
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