martedì 29 maggio 2012

La filosofia ebraica


La cultura araba ebbe grande influenza sulla filosofia ebraica, soprattutto per le sue accentuazioni platoniche. La Filosofia ebraica nasce soprattutto in riferimento alla tradizione biblica testamentaria e alla legge giudaica. Importante nello sviluppo del pensiero filosofico giudeo è Isaac ben Shelomoh Israeli (850-932) autore di un Libro sulle definizioni e di un Libro sugli elementi, nonché di uno scritto Sullo spirito e l’anima. Egli sviluppa un sistema in che riprende le tematiche emanazioniste sviluppate in seno al neoplatonismo. Per cui, Dio crea materia e forma, da queste deriva l’intelletto e le anime (vegetativa, animale, razionale) e tutto il mondo celeste e sublunare. L’anima umana è posta tra tempo ed eternità, ed è guidata dall’intelletto universale, al quale tende come ritorno perché suo luogo di perfezione. Tuttavia, solo alcuni uomini riescono a risalire all’intelletto e a divenire, in tal modo, intermediari fra Dio e gli uomini. Essi, quindi, sono i soli in grado di svelare il senso vero delle Sacre Scritture.
Avicebron (1021/22-1054/58) scrisse un’opera, in lingua araba, che nella sua traduzione latina prende il titolo di Fons vitae. Fondamentale in questo lavoro è la concezione che tutti gli esseri sono di composizione ilemorfica, ad eccezione di Dio. Pertanto, tutte le sostanze sono composte di materia e forma, e ciò vale anche per le sostanze materiali e per quelle spirituali (che sono formate da una materia spirituale e da una forma). Questa composizione ilemorfica definisce la sostanziale differenza tra Dio e le creature, infatti solo Dio è del tutto privo di materia e assolutamente semplice. Gli esseri individuali procedono per ulteriori discese nella molteplicità; quanto più gli esseri si allontanano dalla materia universale, tanto più si caratterizzano in una molteplicità di determinazioni. Nella gerarchia della discesa, dopo la materia e la forma universale, si pone l’intelletto (anch’esso composto di materia e forma), da cui deriva, per emanazione, l’anima razionale, la vegetativa e la sensitiva ( che si individuano nei singoli uomini). Tutto questo processo termina nell’ultima emanazione che è la natura. All’origine del tutto si ha Dio, che crea con un atto di libera volontà. L’anima razionale dell’uomo può, quindi, risalire alla volontà di Dio contemplando le creature e ritrovando in esse lo stimolo per fare emergere dentro di sé le forme di cui ciascuna anima è dotata. L’anima razionale infatti possiede la conoscenza delle forme, ma essa è appannata dal rapporto col corpo: attraverso l’osservazione del mondo sensibile, cioè attraverso le forme sensibili, l’anima può ritrovare in sé le forme intelligibili.
Mosè Maimonide (Cordone, 1138-1204) tenta di interpretare ed utilizzare la filosofia aristotelica in seno alla tradizione religiosa ebraica e all'esegesi biblica. La sua opera più importante è la Guida dei perplessi, nel quale cerca di togliere i dubbi a coloro che non trovano una reale conciliazione tra verità di fede e verità filosofiche. Maimonide distingue vari livelli di conoscenza: il popolo, legato al mondo della sensibilità, pratica i precetti ma non li indaga, perché non ha gli strumenti conoscitivi adatti per farlo. Non può, quindi, giungere a comprendere le verità profonde della rivelazione divina; per costoro Bibbia e Legge sono una guida sicura all’esistenza terrena. Il fine della religione è, pertanto, essenzialmente pratico, e i suoi insegnamenti debbono essere adottati in forza della tradizione. La filosofia, invece, costituisce lo strumento ermeneutico che permette ai pochi che ne sono capaci di cogliere il senso riposto della legge e di raggiungere, per quanto possibile, le più alte verità metafisiche. Tutti, dotti e ignoranti, si debbono attenere alla legge; ma mentre il popolo dei fedeli dovrà seguirne i dettami senza capirne il senso, i filosofi ne scoprono i misteri riposti. Solo i filosofi possono capire la profonda unità di filosofia e religione, le quali non presentano due diverse verità, bensì due strade diverse che coincidono nelle finalità, e cioè nel cogliere la verità. Il compito del filosofo, per Maimonide, è pertanto, quello di commentare la Bibbia e la Legge, ma il suo insegnamento è riservato ai pochi. Vi è tuttavia un nucleo di verità che debbono essere accettate anche dal popolo in nome dell’autorità della tradizione: tutti i fedeli debbono sapere che Dio esiste, che è uno, che non è corpo ed è eterno; solo Dio deve essere servito e lodato; la profezia è di origine divina, Mosè è il più grande dei profeti e la sua legge è di origine divina. Pertanto, è valida in eterno e non ammette modifiche; Dio conosce i bisogni dell’uomo, punisce e premia; Dio invierà il Messia per la restaurazione e l’indipendenza del regno di Israele; Dio resusciterà i morti.
Nella Guida dei perplessi Maimonide, dopo aver esposto le regole per una corretta interpretazione della Bibbia e del Talmud, tratta di Dio, dei suoi attributi, della profezia e della provvidenza.
La struttura aristotelica della sua filosofia si manifesta nelle prove che egli adduce per dimostrare l’esistenza di Dio. Ed infatti, egli afferma che deve esistere un primo motore non mosso; il passaggio dalla potenza all’atto presuppone la presenza di un principio sempre in atto, causa di quel passaggio. Le cose create, in quanto possono essere e non essere, sono contingenti, ed in esse l’esistenza è una determinazione esterna all’essenza; nella prima causa invece ( libera da ogni potenzialità) l’esistenza è identica all’essenza, essa, quindi, è causa necessaria. Di Dio però non si può dire nulla positivamente, Dio esclude ogni predicato, è al di sopra di ogni categoria. Di Dio si può solo dire – tautologicamente – che è Dio, di lui si può parlare solo tacendo e pregando. Il Dio di Maimonide è il Dio creatore della Bibbia. La creazione, dottrina centrale, lascia non risolto il problema dell’origine temporale o eterna del mondo, l’una e l’altra non possono essere infatti oggetto di dimostrazione. Per Maimonide è comunque essenziale affermare la radicale dipendenza del mondo da Dio. Legato alla dottrina peripatetica araba è la dottrina della conoscenza che presuppone un intelletto in potenza, parte dell’anima, e al di sopra dell’uomo un intelletto agente, ultima delle sostanze separate, che imprime nella materia le forme e nell’intelletto gli intelligibili. L’intelletto agente, nella conoscenza teoretica, agisce sull’intelletto; nella conoscenza per sogni e visioni agisce sulla immaginativa. L’unione con l’intelletto agente avviene per discontinue illuminazioni ed è comune sia alla profezia che alla filosofia. La filosofia è tuttavia superiore perché libera dal limite dell’immaginativa ed è capace quindi di attingere ed esprimere verità senza il ricorso ad immagini sensibili. Maimonide, infine, indica diversi modi di interpretare l’immortalità e la vita futura. L'immortalità è, infatti, una dottrina che il volgo ha assunto per forza della tradizione; i filosofi, invece, sanno che l’immortalità non è per tutti, perché pochi riescono a giungere alla la perfezione delle virtù intellettuali, e quindi, solo questi si uniscono con l’intelletto agente.

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