giovedì 31 maggio 2012

Niccolò Machiavelli


Niccolò Machiavelli (1469 – 1527) fu cancelliere della seconda repubblica fiorentina. Venne costretto a lasciare tale carica con il ritorno dei Medici nel 1512. Dalla sua varia esperienza politica nascono le opere maggiori: Il Principe, Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio, Dell’Arte della Guerra, Le Istorie fiorentine e due commedie Mandragola e Clizia.
Il suo pensiero politico è la conseguenza della sua attività politica e e della lettura di classici come Livio, Senofonte, Diodoro Siculo, Plutarco e Polibio. Il Principe nasceva “da una lunga esperienza delle cose moderne e antique”. Parole queste che ritroviamo nel premio ai Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio. Problema principale de Il Principe è come fonda, si mantiene e si prede il principato. La grandezza della sua opera consiste nello studio realistico dello stato. In tale realismo vengono tralasciate istanze utopistiche e si procede ad una disamina disillusa e il più possibile veritiera della natura dell’uomo. A proposito degli uomini scrive che “si può dire questo generalmente: che sieno ingrati, volubili, simulatori e dissimulatori, fuggitori de’ pericoli, cupidi di guadagno”. Insomma, per Machiavelli, gli uomini sono tristi, cioè cattivi.
Chiarita la natura dell'uomo, diviene capibile e conseguente ciò che scrive nei Discorsi: è necessario a chi dispone di una repubblica ed ordina le leggi in quella, presupporre tutti gli uomini rei ”.
La visione dello stato offerta dal nostro autore rinuncia ad astratti codici etici e valoriali di bene e male, per concentrarsi, invece, sulla figura del principe, il quale deve operare con il solo scopo di salvare lo stato. Questo è il fine e l'obiettivo fondamentale del principe, e per raggiungerlo può ricorrere anche a vizi.
Il comportamento e le decisioni del principe non devono, pertanto, sottostare ai valori di giusto o sbagliato, di bene o di male, bensì soltanto allo scopo di mantenere in vita il proprio principato. Da ciò le crude indicazioni del capitolo XVIII del Principe, ove dalla disamina della concr5eta situazione storica nascono le direttive sul comportamento del principe, che deve usare la legge e la forza; che deve essere insieme uomo e bestia. E, come bestia, deve essere insieme volpe e leone. In altre parole, dovrà essere grande simulatore e dissimulatore.
Il principe non deve possedere le qualità della precettistica morale (pietà, umanità, fede, integrità), bensì deve sapere governare. Deve sapere, cioè, usare tali valori a proprio vantaggio e simulare di averli se necessario alla sopravvivenza del governo.
Dell’uso della religione nello stato Machiavelli ne parla a lungo nei Discorsi. La religione deve essere promossa e conservata dal principe, perché l’osservanza del culto divino è ragione delle grandezze delle repubbliche, pertanto il principe deve sempre mantenere i fondamenti della religione, anche quando a queste non credono. Ciò perché la religione è un mezzo per conservare la stabilità dello stato, prescindendo dalla sua verità e falsità. Esemplare per Machiavelli è il re romano Numa, che finse di avere dimestichezza con una musa per imporre, in suo nome, nuovi ordini, cioè nuove leggi che senza il ricorso al divino non sarebbero state accettate.
Machiavelli sviluppa una concezione naturalistica della religione, la quale è connessa ai movimenti dei cieli, e, pertanto, nasce e muore come tutte le altre cose. Anche lo stato, essendo un fenomeno naturale come la religione, è destinato a nascere e morire. Ciò per due motivi:
  1. perché segue i movimenti celesti e, conseguentemente, la nascita e morte di essi;
  2. perché una volta che ha raggiunto il massimo sviluppo e splendore, non potendo più migliorare, può solo scendere e disfarsi.
Esemplare in tal caso è la storia romana.
Machiavelli giudica il mondo essere sempre stato nel medesimo modo; tale concezione non lo chiude, però, in un disperato pessimismo e non gli toglie la fiducia in un principe straordinario.
Infine, Machiavelli analizza il rapporto che intercorre tra la virtù e la fortuna. Con quest'ultimo termine si intende il fato, ovvero la necessità che gli eventi vadano in un certo modo al di là delle proprie scelte e prospettive. L’uomo può vincere la fortuna, ma per farlo deve combattere con se stesso e con la propria natura. Deve compiere la scelta estrema. Ciò perché, per Machiavelli, la fortuna è donna, e per vincerla bisogna urtarla e batterla con forza.

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