martedì 29 maggio 2012

Ellenismo ed Epicuro


Il termine ellenismo venne utilizzato per la prima volta dallo storico tedesco J.G. Droysen (1808-1884) per indicare il periodo tra la morte di Alessandro Magno e la caduta dell’ultimo regno ellenistico, quello di Cleopatra in Egitto, ridotto sotto la potenza di Roma (30 a.C.).
E' un periodo di profonda trasformazione del contesto socio – culturale dell'antica Grecia, che persa l'antica dipendenza politica, si trasforma in una monarchia, con la cessazione della costituzione in città – stato, e con l'innesto di apporti culturali di civiltà diversissime a quella greca.
La cultura greca viene in contatto con quella egiziana, mesopotamica, iranica, indiana e di molti altri popoli. Con le conquiste operate da Alessandro il Grande erano stati infranti i confini che suddividevano i popoli, i quali entrano in contatto tra loro con il risultato di un forte sincretismo culturale.
Muore il vecchio mondo greco, chiuso in se stesso, dove coloro che non appartenevano alla loro cultura venivano reputati dei barbari, gente inferiore incapace anche di parlare, e nasce una nuova realtà sociale, dove le credenze, le religioni, le tradizioni, le lingue, le conoscenze s'innestano.
Il greco avverte la precarietà del proprio presente, data dalla fine della propria libertà politica; e questo senso di finitudine interesserà tutti i campi, sia artistici che filosofici.
In arte vediamo la perdita dell'armonia, della giusta misura, della proporzione tra le parti. Le nuove statue rappresentano il vero, con tutta la drammaticità dei volti e dell'espressione di questi.
Alla filosofia, invece, si chiede di essere una disciplina che faccia da ausilio all'animo umano, prostrato dalle carestie conseguenti alle guerre, dalla cessazione dell'autogoverno democratico delle polis e della condizione di cittadini. Il greco diviene un suddito, senza più diritti e con soli doveri.
Per queste ragioni non si sente più partecipe della politica, e, a dire il vero, non può più esserlo. Pertanto, si rifugia in se stesso, nel privato della propria anima. Al filosofo si chiede una parola di conforto, un messaggio di saggezza. La stessa religione, ormai confusa da nuove divinità e riti orientali, non riesce più a confortare l'individuo, il quale ora non segue più l'ideale dell'eroe, dell'uomo forte, bensì l'esempio del filosofo, di colui che ricerca la felicità non nella ricchezza, nella fama e nel successo, ma nell'autarchia e nell'apatia, ossia nell'imperturbabilità, nell'assenza di passioni, nel non farsi coinvolgere dalle vicende esterne, nel cercare nel proprio intimo l'equilibrio e la serenità. L'uomo greco diviene cosmopolita, cittadino del mondo, esce dai ristretti confini della propria città e si viene a collocare in un contesto molto più vasto, in cui la propria tradizione è un tutt'uno con quella delle culture orientali.
In un tale contesto l'uomo greco perde le proprie certezze religiose, politiche e culturali, e la filosofia matura una sorta di sfiducia in se stessa, nelle proprie possibilità conoscitive e interpretative, si connota anche di valenze pessimistiche e predica la fuga dalla realtà, o, ancora meglio, il disinteresse verso le vicende politiche esterne, verso la ricerca di successo, di notorietà, ecc.
Teofrasto, nato ad Ereso nel 372, alla morte di Aristotele nel 322 prese le redini del Liceo sino al 287 a.C., anno della sua dipartita.
Egli abbandona ogni pretesa metafisica, in quanto dell’essere non si può parlare, e proietta la ricerca scientifica entro una metodologia descrittivo – empirica delle singole scienze.
Dicearco di Messina, 350 – 290 a.C., volse gli studi verso l’Etica, sottolineando l’importanza della vita attiva, di contro alla contemplativa. Delineò un’ideale costituzione politica, che fondeva i tre tipi classici di costituzione (regno, aristocrazia, democrazia).
Questo insistere sull’etica diede vita ad un genere nuovo, la biografia. Basta ricordare Aristosseno di Taranto, nato nel 360 a.C. circa, che compose vite di filosofi. A Teofrasto successe al Liceo Stratone di Lampsaco, il quale resse il liceo fino alla sua morte, nel 268 a.C. Detto il fisico, rifiuto ogni teleologismo e ridusse tutto a materialismo e meccanicismo.
Epicuro
Epicuro nasce il 20 Gennaio del 341 a.C. A Samo. Nel 310 aprì a Militene la sua prima scuola, e nel 306 ne aprì una seconda ad Atene, la quale venne chiamata Il Giardino, e in cui venivano ammessi anche gli schiavi e le prostitute. All'insegnamento si dedica sino alla morte, avvenuta nel 270. Diogene Laerzio espone in breve la logica di Epicuro (canonica), e riporta per intero tre sue lettere: A Erotodo (sulla fisica e la canonica), a Pitocle (sui fenomeni celesti). A Meneceo (sull’etica), e una raccola di sentenze dal titolo Massime capitali, dove si tratta di etica, di gnoseologia, di diritto, di rapporti umani. Un altro complesso di sentenze venne ritrovato nella biblioteca vaticana e prende il titolo di Gnomologio vaticano. Altra opera epicurea è Sulla Natura in 37 libri, dei quali ci sono rimasti pochi frammenti. Di aiuto per capire e ricostruire l’epicureismo è il De rerum natura di Lucrezio (II – I sec. a.C.).
Il suo insegnamento sconfessa le capacità conoscitive della metafisica e della dialettica e si appella allo studio della fisica. Per lui l'indagine seria non deve uscire fuori delle possibilità umane e non deve parare in vuote chiacchiere o in astratti inutili sistemi. Il filosofare, ovvero la riflessione sulla realtà, deve aiutare l’uomo a rendersi conto della propria natura e delle proprie possibilità, liberandolo dai timori e dalle apprensioni di una realtà soprannaturale. Epicuro, pertanto, vuole rimuovere ogni superstizione, e far sì che ognuno si renda conto da sé delle proprie possibilità. Polemizza contro i valori della tradizione greca e afferma che ogni discorso filosofico è inutile se non lenisce le sofferenze umane. Queste ultime, quando non provengono dalle malattie, derivano dalle paure per la morte, per qualche divinità, per cosa ci aspetta nell'oltretomba. Ora, la cultura mitologica e religiosa non solo non diminuiscono queste paure, ma addirittura le accrescono. Non ad essa deve rivolgersi, quindi, il filosofo, bensì allo studio della natura, della fisica, che con lui acquisisce lo statuto di scienza.
Da Democrito Epicuro accoglie la teoria della conoscenza, per cui essa si fonda sulle sensazioni, le quali prese in sé sono sempre vere. Le sensazioni, infatti, non sono “discorsive”, ma sganciate le une dalle altre, e si vengono connesse per mezzo della “memoria”. Essa è l’accorgersi di sentire, il sentire di sentire. Nella memoria, grazie al ripresentarsi di certe sensazioni, si costituiscono le prolessi, o anticipazioni; in tal modo, appena pronunziamo la parola uomo subito, per anticipazione, si pensa la sua forma, secondo i dati precedentemente acquisiti dai sensi.
La sensazione, che è alla base di ogni conoscenza, attesta l’esistenza della corporeità. Ciò che è corporeo è, però, divisibile all’infinito, e perciò affinché non si riduca al nulla impensabile, bisogna ammettere il fatto che essi siano composti da una serie infinita di atomi indivisibili, detti da Epicuro anche semi. Epicuro riprende la concezione materialistica di Democrito, ma la cambia in maniera sostanziale. Ed infatti, gli atomi epicurei non sono astrazioni matematiche, ma elementi fisico – biologici, cioè effettivi organismi fisici. In tal senso, Epicuro si ricollega al naturalista Anassagora, per il quale la realtà è intesa biologicamente da semi.
Gli atomi epicurei, pertanto, non si differenziano solo per forma e grandezza, ma anche, e soprattutto, per peso specifico. Il loro diverso peso fa sì che essi, cadendo nel vuoto (chora), si urtano in maniera continua, e da questo continuo urtarsi subiscono delle continue deviazioni del loro movimento. Da queste deviazioni si hanno le aggregazioni degli atomi e la costituzione dei corpi.
Per Epicuro non esistono essenze, ovvero strutture permanenti al di là delle varie configurazioni degli aggregati di atomi, i quali si differenziano tra loro per forma, grandezza, peso e aventi tutti un intrinseco movimento. Ogni atomo, avente un proprio peso specifico, si muove eternamente in direzione rettilinea nell’infinito spazio. Con l’urto tra gli atomi si hanno, come già detto, gli aggregati e quindi infiniti mondi, in parte simili al nostro, in parte diversi. Gli atomi cadono in perpendicolare, dalla deviazione (clinamen) dato dal loro scontro si hanno la costituzione delle cose.
L’anima, principio di sensibilità e di conoscenza, è corporea, composta da particelle sottili, diffuse in tutto l’organismo. Il conoscere è sensazione, contatto tra le immagini (eidola) che si staccano dai corpi, considerate come affluvi di atomi che colpiscono il soggetto. Ogni sensazione si manifesta pertanto in una rappresentazione.
Convenzionale è invece la costituzione di un linguaggio: “di comune accordo, a seconda di ciascun popolo furono stabilite particolari espressioni per potersi capire reciprocamente con la maggiore chiarezza”.
Il complesso di sensazioni, ricordi, prolessi, desideri e impulsi costituiscono la concreta vita dell’uomo, tesa tra dolore (urto disordinato di atomi) e piacere (equilibrio ed armonia). Ciò porta Epicuro da un lato a negare che gli dei si occupino delle faccende umane, dall’altro ad affermare che entro il mondo umano spetta all’uomo di proporre e conquistare una certa misura (piacere). E allora se equilibrio, ordine e misura tra gli atomi equivalgono a non dolore, a mancanza di affanno e di pena; mentre lo scontro, l’urto, equivalgono a dolore, noi non possiamo pensare agli dei come turbati e affannati dietro le cose umane, ma come imperturbabili, al di là da questo o da quel mondo. Perciò dice Epicuro “gli dei imperturbati e imperturbabili vivono negli intermundia, là dove non è tempesta”. Infine la morte è semplicemente la dissoluzione di un aggregato di atomi. La vita nell’uomo si scandisce tra due poli: piacere e dolore. L’ignoranza della vera natura delle cose porta a turbamenti e superstizioni, e quindi a dolore. La liberazione dall’ignoranza è piacere. Il piacere è pertanto assenza di turbamento (atarassia) e assenza di dolore (aponia), piacere stabile (catastematico) che si contrappone agli affannosi piaceri fuggevoli. Il piacere è godimento sereno del presente, senza alcuna ansia per il futuro. Per questo la prudenza è la massima virtù, essa è saggio raziocinio, misura ed equilibrio.
Epicuro polemizza e rifiuta la politica (del suo tempo) basata sulla violenza e sul dolore, ove il rapporto umano non si fonda su una consapevole misura, ma sulla paura dei soggetti e dei dominanti,che cercano prestigio, potenza, ricchezza per affrancarsi dalla paura degli altri. Per Epicuro non esiste una legge universale, un criterio assoluto che stabilisca cosa è giusto e l’ingiusto. La legge, la giustizia, non è fondata su astratti concetti universali, né è per natura: leggi, valori, giustizia esistono per convenzione, per accordo tra uomini. Il diritto varia, pertanto, da luogo a luogo, e anche nei vari luoghi è valido finché serve, ovvero finché si conservano certe circostanze. “Non è la giustizia un qualcosa che è per sé, ma solo nei rapporti reciprochi e sempre a seconda dei luoghi ove si stringe un accordo di non recare e di non ricevere danno, [per cui, segue] che una medesima cosa non è per tutti giusta”. Si realizza così l’amicizia (la più vera forma politica e cioè armonico e piacevole rapporto tra uomini liberi).

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